Albrecht Dürer alla fine del mondo
Al suo arrivo a Venezia, a inizio '500, l'artista tedesco era famoso come incisore ma non come pittore: nelle sue lettere racconta il mondo dell'arte nel Rinascimento, tra gelosie e grandi estimatori
Sul finire del 1400 in Europa si diffuse l’idea che il mondo sarebbe finito nel 1500, “metà tempo dopo il tempo”: questa è la scritta che si trova ad esempio in cima al dipinto di Botticelli Natività mistica, che raffigura la seconda venuta di Cristo, preludio al giudizio universale. Del resto il dipinto nacque nella stessa Firenze in cui predicava Girolamo Savonarola (“Ricordati che devi morire!!”). Più a nord, precisamente a Norimberga, in Germania, anche un giovane Albrecht Dürer stava lavorando sul tema della fine del mondo: l’artista tedesco realizzò alla fine del 1400 una serie di incisioni ispirate al Libro dell’Apocalisse.
Il mondo non terminò nel 1500, tuttavia qualche anno dopo Norimberga fu colpita da una tipica piaga apocalittica, una pestilenza di qualche tipo: per sfuggirle Dürer si fece prestare dei soldi dall’amico Willibald Pirckheimer, umanista convinto che aveva studiato a Padova e a Pavia, e nel 1506 si mise in viaggio per Venezia.
Probabilmente Dürer era già stato a Venezia qualche anno prima, intorno al 1495, anzi il lavoro per le incisioni dell’Apocalisse dovrebbe essere cominciato proprio durante questo primo viaggio in Italia. Non c’è la certezza che in questo primo viaggio l’artista sia giunto effettivamente sulla laguna, ma di sicuro Dürer arrivò almeno fino a Trento. Ci rimangono infatti alcuni paesaggi dipinti ad acquerello in cui l’artista ritrasse la città e la val di Cembra. Sono tra i primissimi esempi di dipinti in cui il paesaggio diventa un soggetto indipendente (non come sfondo a qualcos’altro, per intenderci).
Dal soggiorno a Venezia di Dürer tra il 1505 e il 1507, invece, sono giunte fino a noi una serie di lettere indirizzate all’amico Pirckheimer: per suo conto Dürer girava per Venezia alle prese con varie commissioni: acquistare gioielli, perle e pietre preziose ma soprattutto libri in greco - erano gli anni in cui Venezia ospitava i primi stampatori come Aldo Manuzio e Lucantonio Giunti! In queste lettere si parla molto poco della città, ma Dürer riesce comunque a darci un’idea dell’ambiente artistico in cui si muoveva. Due grandi maestri della scuola veneziana, Giovanni Bellini e Andrea Mantegna, erano ormai anziani, Tiziano era ancora adolescente, mentre Giorgione era in piena attività, seppur giovanissimo. Dürer era famoso come incisore, ma doveva ancora dare prova di sé come pittore. Ed era questo il suo cruccio in tutte le lettere veneziane.
Tra gli italiani ho molti buoni amici che mi avvertono di non mangiare e bere con i loro pittori. Molti di loro sono miei nemici e copiano il mio lavoro nelle chiese e dovunque riescano a trovarlo; e poi lo insultano e dicono che lo stile non è antico e non è granché. Ma Giovanni Bellini mi ha molto lodato davanti a diversi nobili. Voleva avere qualcosa di mio, ed è venuto da me di persona e mi ha chiesto di dipingergli qualcosa e l’avrebbe pagata bene. E tutti mi dicono che uomo giusto sia, così sono molto amichevole con lui. È molto anziano, ma è ancora il pittore migliore tra tutti loro.
I pittori qui, lascia che te lo dica, sono molto ostili nei miei confronti. Mi hanno convocato per tre volte davanti ai magistrati e ho dovuto pagare quattro fiorini alla loro scuola.
Finora in questa newsletter abbiamo sempre visto Venezia nella sua fase di decadenza, negli ultimi anni della Repubblica (quando la visitò Goethe) o sotto occupazione austriaca. Dürer invece arrivò a Venezia quando la Repubblica era all’apice della sua potenza, tanto che si preparava una guerra. “I veneziani”, scrive l’artista in una delle sue lettere, “così come il Papa e il re di Francia stanno raccogliendo molti uomini: cosa ne verrà fuori non lo so”. In effetti i primi anni del ‘500 videro il Papa e il Re di Francia alleati nel tentativo di arginare l’espansione di Venezia sulla terraferma.
Dalle lettere di Dürer ogni tanto emergono alcuni scorci sulla vita nella laguna. Veniamo a sapere ad esempio che Venezia era piena di violinisti, che per scrivere si usavano penne di cigno, che i soldati avevano lance a falce con 278 punte (“se solo toccano un uomo con quelle, muore, perché sono tutte avvelenate”). E che gli incendi dovevano essere all’ordine del giorno (“Proprio ora mentre ti stavo scrivendo, è stato lanciato l’allarme per un incendio e sei case vicino a Pietro Venier sono andate a fuoco, ed è bruciato anche un mio tessuto di lana per cui solo ieri ho pagato 8 ducati, così anche io sono nei guai”).
Ma sono solo brevi accenni. L’attenzione di Dürer è tutta per la sua carriera da pittore. Qui ad esempio parla dell’acclamazione ricevuta per il dipinto Festa del rosario, che realizzò nel 1506 per il Fondaco dei tedeschi (cioè il quartier generale dei mercanti tedeschi a Venezia).
Il mio dipinto, devi sapere, […[ è ben pitturato e colorato in modo splendido. Ne ho ricavato molte lodi ma poco profitto. Nel tempo che ho impiegato a realizzarlo avrei potuto facilmente guadagnare 220 ducati, e ora ho rifiutato diversi lavori in modo da poter tornare a casa. Ho tappato la bocca a tutti i pittori che dicevano che ero bravo come incisore ma, come pittore, non sapevo maneggiare i miei colori. Ora tutti dicono di non aver mai visto colori migliori. Anche il Doge e il Patriarca hanno visto il mio dipinto.
Lascia che ti dica che sulla terra non c’è un dipinto della Madonna migliore del mio; e tutti i pittori lo elogiano. Dicono che non hanno mai visto un dipinto più nobile, più incantevole, e così via.
A Venezia dunque Dürer trovò il giusto riconoscimento per il suo lavoro, tanto che Andrea Mantegna, ormai anziano e malato, chiese che l’artista tedesco andasse a visitarlo a Mantova: a quanto pare Dürer si mise in viaggio ma Mantegna morì prima che lui riuscisse a raggiungerlo. Secondo Joachim Camerarius, amico e biografo di Dürer, l’artista era solito dire che quello era stato l’evento più triste di tutta la sua vita. Anche Giorgio Vasari, nel 1550, citò Dürer nelle sue Vite - “Alberto Durero tedesco, pittore mirabilissimo et intagliatore di rame di bellissime stampe” - e Raffaello gli mandò in dono un suo disegno preparatorio da La battaglia di Ostia.
Non si può certo accusare Dürer di modestia, tuttavia nelle sue lettere mi sembra di notare una certa consapevolezza di quanto effimero possa essere il successo, per un artista.
Ho trovato un capello grigio sulla mia testa, è il risultato di tutta questa eccitazione.
Quanto siamo soddisfatti quando ci crediamo di un qualche valore. Quando qualcuno ci elogia, tiriamo in su la testa e gli crediamo. Ma forse è solo un falso ammiratore che in realtà ci disprezza.
E man mano che si avvicinava il suo rientro in patria, Dürer sembrava sapere che solo in Italia i pittori godevano di abbastanza prestigio da essere considerati dei gentiluomini. Lo scrisse all’amico Pirckheimer:
Ora che sei tenuto in così alta considerazione a casa, non oserai più parlare per strada con un povero pittore; essere visto con una canaglia di pittore sarebbe una grande disgrazia per te.
Dovrei aver finito qui nel giro di dieci giorni; dopo mi piacerebbe andare a Bologna per imparare i segreti dell’arte della prospettiva, c’è un uomo disposto a insegnarmeli. Dovrei stare lì otto o dieci giorni e poi tornare a Venezia. Poi verrò con la prima carrozza. Come congelerò dopo questo sole! Qui sono un gentiluomo, a casa solo un parassita.
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