Fumetto, lingua madre
Per uno che ha imparato a leggere su "Topolino", la grammatica del fumetto funziona in modo automatico, ma qui mi fermo a descrivere una particolare tecnica di montaggio che sto usando nel mio libro
Si racconta nella mia famiglia che io abbia imparato a leggere direttamente sulle pagine di Topolino. Ho da portare come prova una foto, che ho ritrovato qualche anno fa e che mi fa sempre molto ridere. Siamo io e la mia sorellina, i miei nonni e mio papà, in qualche spiaggia della Puglia, probabilmente. Loro li ho ridisegnati perché non mi va di diffondere cose troppo private, ma invito a notare il caratteristico broncio del fumettista in erba, sprofondato nella lettura mentre il resto della famiglia sorride allegramente verso l’obbiettivo.
Questa introduzione per dire che il fumetto è per me una sorta di lingua madre. Non saprei calcolare la quantità di fumetti che ho letto dall’epoca di questa foto - dovevo avere 8 o 9 anni - a oggi. Di conseguenza, quando penso a come raccontare qualcosa a fumetti, procedo in automatico, senza doverci ragionare, attingendo a una grammatica che conosco da sempre. Riuscire poi a disegnare le sequenze proprio come mi vengono in mente, invece, è tutto un altro discorso… Ho iniziato a riflettere un po’ di più su come funzionano i fumetti da quando mi capita di insegnarli, ad esempio per spiegare cosa va e cosa non va nelle storie che presentano gli studenti. E di conseguenza sto anche più attento alle scelte che faccio quando disegno.
In questo fumetto sui viaggi in Italia mi sono reso conto di aver usato, in alcuni punti, una tecnica che nel cinema si chiama “montaggio ellittico”: il nome può sembrare complicato, ma in realtà abbiamo tutti presente di che si tratta, basti pensare alla scena iniziale di Up, dove in pochi minuti seguiamo la vita di due personaggi, Carl e Ellie, dal matrimonio fino alla terza età. Cinema e fumetto hanno molte cose in comune: sono nati più o meno in contemporanea e in entrambi in casi si tratta di immagini in movimento, così è normale che un’arte attinga dall’altra e viceversa.
Avevo già usato questa tecnica di contrazione del tempo per illustrare il viaggio in Sicilia di Goethe. In quel caso si trattava di un periodo di circa un mese, e ogni vignetta scandiva uno dei luoghi visitati da Goethe.
Ora mi trovo a utilizzare la stessa tecnica ma per un periodo molto più lungo. Vale a dire dal 1811 al 1821, una manciata di anni che Henri Beyle/Stendhal trascorse quasi sempre in Italia, a parte un’importante parentesi per partecipare prima alla campagna di Napoleone in Russia (1812), e alla conseguente disastrosa ritirata, e poi alla campagna di Germania (1813). Lo re-incontriamo dunque quando, dopo questa interruzione, torna a Milano, nel settembre 1813.