Hemingway esplode
In "Addio alle armi" lo scrittore descrive l'esplosione in cui fu ferito sul fronte italiano durante la Prima guerra mondiale. Ho provato a disegnarla. In più, Hemingway a Venezia nel 1948
Questa settimana ho fatto saltare in aria Ernest Hemingway. Tra le varie tavole disegnate/ripensate/finite in questo ultimo periodo ce n’è infatti una ambientata nel giugno del 1917, quando lo scrittore fu ferito sul fronte del Piave durante la Prima guerra mondiale. Un colpo di mortaio nemico gli provocò un’innumerevole serie di ferite alle gambe, ma nonostante questo riuscì a soccorrere un soldato italiano ferito (Hemingway si era arruolato nella Croce rossa americana) e a portarlo al riparo. Alla fine allo scrittore non andò tanto male: fu ricoverato a Milano, dove si innamorò dell’infermiera Agnes von Kurowsky, e soprattutto trovò il materiale per quello che sarebbe diventato il suo primo romanzo, Addio alle armi (1929). Alle sue lettere dal fronte e dall’ospedale milanese ho già dedicato il post La guerra di Hemingway, tuttavia la descrizione dell’esplosione in cui lo scrittore fu ferito non si trova nelle lettere ma appunto in Addio alle armi.
Avevo già in mente da un po’ una frase dal testo di Hemingway che secondo me si poteva rendere bene a fumetti - “un ruggito che da bianco divenne rosso” - ma poi l’avevo lasciata in sospeso, finché in questi giorni non ho ripreso in mano l’idea. Ne è venuta fuori questa tavola, davvero minimale, e a me piace molto quando posso essere minimale. Avviso che la traduzione dall’inglese è mia e potrebbe essere anche sbagliata, ma insomma io l’ho letta così.
Nel post La guerra di Hemingway eravamo rimasti al 1923, al momento in cui Hemingway si era inimicato Mussolini per un articolo intitolato “Mussolini, il più grande bluff d’Europa”. Di conseguenza lo scrittore non era certo un gradito ospite nell’Italia fascista. Nonostante questo ci tornò nel 1927 per un viaggio di due settimane in auto insieme all’amico Guy Hickcok: viaggiarono da Ventimiglia a Rimini e ritorno, a quanto pare con lo scopo di recuperare un certificato di battesimo per Hemingway, che doveva sposarsi con la seconda moglie Pauline Pfeiffer, cattolica. Lo scrittore poi raccontò questi “dieci giorni di brutto tempo, spiacevoli interazioni con i locali e cattivo cibo” nel racconto Che ti dice la patria? (qui la versione in inglese).
Ma il vero ritorno di Hemingway in Italia ebbe luogo nel 1948, quando lo scrittore visitò ancora una volta i luoghi dove era stato ferito e soprattutto passò molto tempo a Venezia. È il periodo dell’Harry’s Bar cantato da Paolo Conte in Hemingway:
Anche da questa seconda esperienza in Italia nacque un romanzo piuttosto autobiografico. Il protagonista di Di là dal fiume tra gli alberi (1950) è il colonnello Richard Cantwell, anche lui ferito come Hemingway durante la Prima guerra mondiale in Italia. Nel romanzo il colonnello si trova nuovamente in Italia dove inizia una relazione con una giovanissima nobildonna, Renata, sempre rievocando la sua gioventù e la guerra. Davvero lo scrittore americano non ha fatto molti tentativi di mascherare con la fiction la sua storia d’amore con la contessa Adriana Ivancich, all’epoca 19enne, che aveva frequentato a Cortina e a Venezia e con cui instaurò una lunga relazione. Non mi va di fare pettegolezzi su questa vicenda, però è interessante notare che ci siano due donne, due storie d’amore, al centro di entrambi i romanzi “italiani” di Hemingway. La Ivancich disegnò anche la copertina dell’edizione americana di Di là dal fiume tra gli alberi.
Nel 2024 dovrebbe uscire l’adattamento cinematografico del romanzo, per la regia di Paula Ortiz.
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Fino a Rimini per recuperare un certificato di battesimo? Non capisco... era stato battezzato in Italia?