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L’autunno ha deciso di precipitarci addosso, sotto forma di una pioggia che cade ininterrottamente da più di un giorno. Cade sugli ombrelli, nelle pozzanghere, sulle foglie degli alberi, sui cappucci delle felpe dei ragazzi che tornano a scuola. A malincuore lascio la bici a casa e mi avventuro a prendere un autobus. Ma le linee sono tutte deviate perché la città è ancora piena dei cantieri estivi. Lascio passare il bus che avrei dovuto prendere, strabordante di studenti, e prendo un numero a caso, mi avvicinerò solo per un pezzetto e il resto della strada la farò a piedi confidando nei portici.
Così arrivo in ritardo - anche perché una fame inaspettata mi costringe a fare colazione in un bar. Questo, a differenza del bus, è pieno di professori che se la prendono comoda e forse lo fanno di proposito, per creare suspense nelle loro classi. Comunque arrivo nel liceo che ci offre gentilmente un’aula: devo tenere un laboratorio di fumetto per un gruppo di studenti di Scienze dell’educazione, che sono anche volontari del Gruppo Abele. L’idea è mostrargli come tengo un laboratorio di solito, così forse potranno provare a loro volta a usare il fumetto nei contesti, di solito piuttosto difficili, in cui andranno a operare.
Mi piace fare laboratori di fumetto per persone che non sono più abituate a disegnare. Mi è già capitato in passato ed è bellissimo vederle inizialmente interdette, poi lanciarsi sul foglio a disegnare, una cosa che in molti casi non avevano più fatto da quando erano bambini. Non è un laboratorio di disegno, ma di fumetto, o meglio di grammatica del fumetto. Tento di proporre una struttura molto semplice e tento anche di dare uno spunto il più possibile vicino alla loro esperienza. Qualcosa di non troppo complicato da disegnare, qualcosa che possano avere sottomano o che conoscano bene. Oggi, dopo tutta la pioggia caduta, gli propongo un titolo:
Storia di una goccia
Gli mostro come io svolgerei il tema, più o meno così:
Ma so che loro mi tradiranno. Già li vedo illuminarsi e capire che sanno in maniera quasi intuitiva come si racconta una storia a fumetti - anche se non li leggono più -, e se non lo sanno fanno in fretta a scoprire che è facile, che possono farlo anche loro. Ecco, adesso hanno già smesso di ascoltarmi per portare la goccia del titolo in direzioni che non avevo per nulla previsto. Io avevo pensato a una goccia di pioggia, invece qui abbiamo storie su gocce di caffè, gocce di tranquillanti, e anche gocce che si trasformano in lacrime.
Nei giorni seguenti, mi porto dietro la voglia di disegnare altre storie di altre gocce - in effetti non mi ero reso conto di quanti tipi di gocce esistano, anche solo contando quelle che produciamo noi! -, così il mio quaderno si è riempito di disegni, tanti che potrebbero benissimo diventare un librettino, dal titolo:
Il libro delle gocce
Ho anche fatto un prototipo, qui sotto:
Story of a (rain)drop
I proposed the title Story of a (rain)drop as a hint during a comic workshop I held some days ago. It was a rainy day an I thought that a raindrop falling could be a simple way to understand how comics work. This is what I first had in mind:
But the word (rain) is in brackets because some of the participants played with this idea in different ways and created stories about other kinds of drops: coffee drops, medical drops and even tears. I didn’t foresee this!
In the following days I found myself drawing many kind of drops: I had never realized how many types of drops there are, and it seems to me they could fill an entire book. So I began making a prototype and here are some drawings: