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Nei miei primi fumetti usavo poco le onomatopee, quelle meravigliose parole che dovrebbero imitare i suoni delle cose o i versi degli animali - e invece sono arbitrarie pure quelle, e infatti cambiano da lingua a lingua. Le usavo poco, mi limitavo a scriverle con un font e a inserirle in un baloon. Ero troppo preso dal far funzionare i disegni o la storia e questa era una soluzione veloce… ma certo non era il massimo.
Sicuramente sottovalutavo l’importanza delle onomatopee. E invece sono così caratteristiche del fumetto che in molti casi hanno finito per rappresentarlo. Roy Lichtenstein lo aveva capito subito, inserendole nelle sue opere. E chi ricorda il telefilm di Batman anni ‘60, in cui i vari Bong!, Clunk!, Pow! quasi saltavano fuori dallo schermo? Oppure, per rimanere in Italia, la sigla di Gulp! I fumetti in TV, disegnata da Secondo Bignardi (1972) e quella di SuperGulp! con i personaggi di Nick Carter disegnati da Bonvi (1978)?
Certo le onomatopee non sono necessarie per fare un fumetto, e alcune storie si prestano meno di altre al loro uso - tuttavia, se si usano, bisogna considerarle come parte integrante del disegno. È una cosa di cui mi sono reso conto da un po’ e di cui ho avuto un’ulteriore conferma di recente.
Circa un mese fa tornavo da Bruxelles con sotto braccio un albo di Tin Tin, il fumetto creato e disegnato dagli anni ‘30 agli anni ‘70 da Hergé, vero capostipite della bande dessinée francofona. Sfogliandolo - era l’avventura Uomini sulla Luna - mi colpiva la cura riservata a ogni più piccolo elemento, anche a quelli che a prima vista sembrerebbero secondari in un fumetto: oltre alle onomatopee, il lettering e la forma dei baloon. Anche questi dettagli contribuiscono a creare un mondo che il lettore può subito riconoscere, in cui può “accomodarsi”, sentendosi a casa. È quello che chiamiamo stile. Hergé lo aveva, anche Schulz lo aveva.
Lavorando al mio ultimo libro a fumetti, Viaggio in Italia, mi sono detto che era il caso di imparare a disegnare delle onomatopee a modo mio, soprattutto in certe scene in cui erano necessarie, ad esempio per rendere i suoni del Vesuvio in eruzione. All’inizio mi sembravano molto goffe, poi pian piano ho preso fiducia. E anche gusto, come si intuisce dalla tavola qui sopra, che è un esercizio nel raccontare una situazione usando solo le onomatopee.
Thunderstorm
An exercise in the use of onomatopoeias.
Che ideona! Solo il cri cri del primo disegno non capisco che suono sia... per me il cri cri è quello dei grilli che circolano per terra e non sulle cime degli alberi 🤓
Articolo interessante e ben scritto, come sempre, ma per favore togli quell'apostrofo da "un'esercizio".