Ultima notte a Roma
Il viaggio in Italia di Goethe si conclude con una passeggiata al chiaro di luna al Foro Romano. Ma quando lo scrittore la attraversò, l'area era molto diversa da come la conosciamo oggi
Alla luce di una luna quasi piena, in una notte d’aprile del 1787, Goethe prese commiato da Roma con un’ultima passeggiata lungo l’attuale Foro Romano, da piazza del Campidoglio al Colosseo. È la scena che chiude Viaggio in Italia, tra le più belle di tutto il libro, e io ho appena finito di disegnarla.
Mi piace disegnare i vecchi monumenti in rovina, assediati dalle erbacce. Memore di errori passati, questa volta sapevo già che all’epoca della passeggiata di Goethe l’area era molto diversa da come la vediamo oggi. Gran parte delle rovine erano ancora sepolte, e l’Arco di Settimio Severo emergeva in superficie solo per metà.
Per curiosità ho cercato notizie ne Il Foro Romano: storia e monumenti scritto nel 1904 dallo storico dell’architettura Christian Hülsen. Anche lui è un tedesco, e infatti non manca di citare Goethe:
Nel viaggio in Italia di W. Goethe il nome del Foro Romano non è ricordato nemmeno una volta. Quando il poeta [...] diceva addio alla città eterna in una notte illuminata da splendida luna nell’aprile 1787, “passeggiando (queste sono le sue parole) nella solitaria Via Sacra dall'arco trionfale di Settimio Severo sino al Colosseo” non sospettava nemmeno quanta storia si nascondesse sotto questi ruderi.
Il Foro si chiamava allora Campo Vaccino, perché da molto tempo l’area era diventata un pascolo e un mercato per il bestiame. Mentre disegnavo continuavo a chiedermi com’è stato che questi monumenti sono finiti sepolti… in fondo Roma non è stata abbandonata come altre città antiche. Allora com’è successo?
Hülsen racconta i vari fattori che lentamente trasformarono il Foro nel campo visitato da Goethe. Incendi, terremoti, saccheggi dei Goti e dei Vandali, ma anche l’avvento del Cristianesimo, che chiuse molti dei templi che popolavano l’area, e altri li riconvertì in basiliche. Solo all’inizio del VI secolo, nel periodo di relativa quiete portato dal regno degli Ostrogoti di Teodorico, si tentò di fare un minimo di manutenzione. Ma poi, abbandonati a incuria e intemperie, i monumenti diventarono pericolosi e a rischio crollo. Alcuni vennero demoliti. Nel XII secolo gran parte della zona era ormai diventata impraticabile; in altri punti “si elevavano, sopra gli avanzi dei monumenti antichi, case e casupole isolate, costruite con mattoni e con tetti di legno, circondate da orti e vigne”, scrive Hülsen. Il peggio avvenne nel Rinascimento, quando il Foro venne usato come cava di pietre: a dire la verità un artista come Raffaello aveva spiegato chiaramente che i monumenti dell’antichità erano da preservare, ma evidentemente gli abusi edilizi si praticavano già a quel tempo. Scrive Hülsen:
Le rovine del Foro ricevevano grave danno tanto dal rapido progredire della edificazione di S. Pietro in Vaticano, quanto dalla costruzione del sontuoso palazzo del cardinale Alessandro Farnese presso il Campo di Fiore. La decade 1540-1550 ha forse nociuto più ai monumenti antichi di Roma, che i due secoli precedenti riuniti insieme.
Nel 1600 si smise di scavare per estrarre pietra e l’area diventò un luogo dove abbeverare il bestiame, il Campo Vaccino appunto. Il Foro, di cui si era dimenticato anche il nome, venne riscoperto poco dopo la partenza di Goethe: il primo scavo scientifico fu eseguito nel 1788, poi nel 1801 si cominciò finalmente a riportare alla luce, lentamente, tutta l’area. Già nel 1803 l’arco di Settimio Severo, che Goethe aveva visto ancora interrato per metà, era stato liberato.
Per avere un’idea di come fosse l’area al tempo di Goethe, ho fatto riferimento soprattutto agli acquerelli del pittore inglese John Warwick Smith, che visitò Roma pochi anni prima di Goethe (tra il 1776 e il 1781): a differenza di altri artisti, che aggiungevano edifici (come Piranesi!) o toglievano quelli moderni, le vedute di Smith mi sembrano abbastanza fedeli alla realtà del tempo. In particolare ho usato i suoi disegni del Colosseo, come nella tavola qui sotto, scoprendo anche che all’interno dell’arena erano state piazzate le stazioni della via crucis, cosa che forse spiega il brivido provato da Goethe al cospetto del monumento.
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