Un biscottificio che inizia per W
Storia dei "biscotti della salute", che sembrano fette biscottate ma non lo sono, e dello stabilimento che li produceva: la torinese Wamar
A Barriera di Milano, alla periferia nord di Torino, c’è un rettangolino di giardino pubblico. Sembra un giardino qualunque, ma se lo si guarda dall’alto - o, come ho fatto io, dal satellite di Google Maps - si può notare qualcosa di particolare: il sentiero che attraversa il giardino forma una grande W.
La W sta ad indicare il luogo dove una volta sorgeva il biscottificio Wamar, all’incrocio tra Corso Vigevano e Via Parella. E infatti questa è una storia di pasticceria industriale, non è un caso che si svolga proprio a Torino.
Il biscottificio non esiste più da molto tempo, ma il marchio Wamar si poteva trovare sugli scaffali dei supermercati fino a non molti anni fa (almeno a quanto mi risulta): una confezione gialla con una W gigante in tre dimensioni a sovrastare quelle che a prima vista sembrano fette biscottate… ma non sono fette biscottate, la dizione corretta è biscotti salute. Non sono mai stato un grande estimatore delle fette biscottate e in effetti non avevo mai sentito parlare di questi biscotti fino a pochi giorni fa, quando, per motivi che sarebbe troppo lungo spiegare qui, li ho provati. Dovrebbero avere come principale caratteristica quella di non spezzarsi quando ci si spalma sopra qualcosa (confermo, non si spezzano) e probabilmente sono anche un po’ più buoni delle comuni fette biscottate, perché in effetti la ricetta è un po’ diversa.
In giro per l’Italia ci sono diversi biscotti della salute - ovviamente la salute vera e propria non c’entra nulla - ma quelli di cui parlo io derivano dai biscotti del Lagaccio di tradizione genovese: a quanto pare erano molto utili ai marinai, dato che si conservano molto a lungo. Ne parlava già, a fine ‘800, Pellegrino Artusi nel suo celebre La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene, con toni entusiastici:
State allegri, dunque, ché con questi biscotti non morirete mai o camperete gli anni di Mathusalem. Infatti io, che ne mangio spesso, se qualche indiscreto, vedendomi arzillo più che non comporterebbe la mia grave età mi dimanda quanti anni ho, rispondo che ho gli anni di Mathusalem, figliuolo di Enoch.
Quelli che ho mangiato io sono però una versione industriale dei biscotti originari: a un certo punto della storia infatti i biscotti della salute hanno perso la preposizione della in mezzo e così accorciati sono diventati uno dei primi esempi di pasticceria industriale in Italia. A produrli era appunto la Wamar. Ritorniamo quindi a Torino, quando nel 1922 il signor Walter Marchisio - che cognome incredibilmente torinese! - decide di aprire un biscottificio in periferia, a Barriera di Milano. Lo chiama Wamar, fondendo il suo nome e cognome, ma secondo me attirato dalle possibilità di quella grande W, che è anche la W dei wafers: e infatti all’inizio la società si specializza in “wafers e affini”.
Fabbricare i biscotti in serie e non in modo artigianale doveva essere ancora un’idea nuova, e quando il giornalista Gino Gastaldi nel 1929 visita lo stabilimento Wamar per la rubrica “Le nostre industrie” del mensile Torino, ne scrive con entusiasmo futurista:
Tutto il macchinario è azionato elettricamente […] Nei laboratori non entra un grammo di carbone cosicché nel vastissimo salone domina incontrastato il bianco elemento fondamentale della lavorazione: «la farina». Tutto lo stabilimento che abbiamo potuto ammirare con un sol colpo d’occhio da una specie di osservatorio che domina tutti i reparti ci è sembrato un immenso cuore pulsante di vita, e ogni sezione un vero gioiello.
Trionfo assoluto della macchina!
Trovo in rete alcune foto dalla Fiera campionaria di Milano dei primi anni ‘30, dove campeggia un’enorme torre targata Wamar. Nel 1941, invece, una W gigantesca svetta tra i padiglioni. A testimoniare il “trionfo della macchina” c’è anche un un filmato Luce del 1932 che ci porta in giro per lo stabilimento Wamar.
Durante la Seconda guerra mondiale il biscottificio viene in parte riconvertito alla produzione di gallette per l’esercito. Subisce anche dei bombardamenti. Nel giugno 1943 la Wamar è una delle tante fabbriche torinesi dove si sciopera, ufficialmente per il prezzo del pane ma in realtà contro il regime fascista e per la fine della guerra.
Dopo il conflitto pian piano la Wamar riprende a sfornare biscotti e presto arrivano gli anni del boom economico. Nel 1961 si contano quasi 700 operai e la produzione si allarga a panettoni, colombe, pandori. Per vendere i biscotti si regalano figurine dei calciatori, matite, cartoline e poi ci sono delle bellissime scatole di latta (basta fare un giro su Ebay): la mia preferita è questa dove un bambino un po’ esagitato vola su piazza San Pietro usando un wafer Wamar come tappeto volante.

Siamo già agli anni ‘60 e ancora non sono ricomparsi i biscotti della salute: eccoli su Carosello, in uno spot con l’attrice Paola Penni intitolato Il mattino. Come dice la voce dopo la canzoncina, il biscotto salute è “fresco, croccante, delizioso”.
Nel corso degli anni ‘80 la Wamar vive una profonda crisi: licenziamenti, cassa integrazione, occupazioni e anche un cambio di proprietà. Lo stabilimento chiude definitivamente nel 1991. La grande W nel giardinetto pubblico a Barriera di Milano è tutto quel che ne resta. Tuttavia i biscotti della salute sono in qualche modo sopravvissuti, anche se con un altro marchio.
che voglia di averli mangiati (invece no)
Una storia così interessante! Grazie