Velázquez e lo schiavo liberato
Nel 1649, a Roma, per prepararsi a dipingere Innocenzo X, il pittore spagnolo si esercitò ritraendo il suo schiavo Juan de Pareja: qualche mese dopo lo liberò, e Juan divenne a sua volta un artista
Questo è il ritratto di Juan de Pareja, dipinto dal pittore spagnolo Diego Velázquez nel 1649 a Roma.
Juan de Pareja era lo schiavo di Velázquez. Era nato in Spagna ed era probabilmente un morisco, cioè uno di quei musulmani costretti a convertirsi al Cattolicesimo, ma mai completamente accettati, dopo la Reconquista con cui i sovrani spagnoli avevano cacciato definitivamente gli Arabi dalla Spagna.
Velázquez dipinse il suo ritratto per “sciogliersi le mani” e prepararsi a un lavoro molto più importante, probabilmente il massimo a cui potesse aspirare un pittore del ‘600: il ritratto di Papa Innocenzo X, di cui parleremo più avanti. Nel volto di Juan de Pareja colpiscono l’umanità e la dignità, nonostante l’abbigliamento non certo fastoso e perfino uno strappo sulla manica che lascia intravedere un po’ del bianco della camicia. Nel bel documentario Velázquez - L’ombra della vita (si può vedere su Rai Play), il ritratto di Juan de Pareja viene mostrato nella sua sede al Metropolitan Museum of Art a New York, momentaneamente affiancato a un altro dipinto di Velázquez dello stesso periodo, il ritratto del Cardinale Camillo Astalli. Per la precisione il suo ruolo era quello di Cardinale nipote, cioè la persona che governava Roma per conto del Pontefice. Anche se nobile e potente, ritratto da Velázquez il cardinale risulta vuoto, antipatico e noioso se messo al confronto con l’umile Juan de Pareja.
Qual era allora il rapporto tra il padrone Velázquez e lo schiavo Juan? Come sempre è rischioso guardare al passato con gli occhi di oggi, tuttavia è un fatto che qualche mese dopo aver dipinto il suo ritratto, il pittore spagnolo liberò il suo schiavo. La storica dell’arte Jennifer Montagu ha scovato nell’Archivio di Stato a Roma il contratto di manumissio che sancì la liberazione di Juan de Pareja. Come era consuetudine all’epoca, si stabiliva un periodo di quattro anni prima della liberazione vera e propria, in cui Juan si impegnava a non fuggire né a commettere crimini.
Juan de Pareja doveva comunque essere più di uno schiavo per Velázquez e probabilmente fu anche suo assistente. Una volta libero, Juan diventò pittore a sua volta, e forse fu questo il motivo per cui Velázquez lo affrancò, dato che solo le persone libere potevano praticare l’arte, o meglio ricevere commissioni e iscriversi a una corporazione. Nel 1661 Juan ritrasse se stesso nel dipinto La vocazione di San Matteo. Lo vediamo in fondo a sinistra.
Questa storia che non conoscevo ha “risolto” questa newsletter, permettendomi di parlare di Velázquez e dei suoi viaggi in Italia, perché purtroppo non sappiamo molto altro. Perfino la canzone di Roberto Vecchioni che mentre scrivevo ho canticchiato tutto il tempo tra me e me - Ahi Velasquez non t’avessi mai seguito - non parla del pittore ma di un navigatore spagnolo… però è una delle mie preferite di Vecchioni quindi la metto lo stesso.
Dei viaggi in Italia del pittore non ci sono rimasti né lettere né taccuini né diari, e tutte le notizie su Velázquez ci arrivano da altri due pittori dell’epoca: Francisco Pacheco, maestro di Velázquez nonché suo suocero, che scrisse una Arte de la pintura nel 1640, e Antonio Palomino, che nel 1724 pubblicò Le vite dei principali pittori e scultori spagnoli.
Velázquez visitò l’Italia due volte. Partì per il primo viaggio nel 1630 e trovò un paese in guerra, per l’esattezza la guerra di successione di Mantova e del Monferrato, che durò dal 1628 al 1631. Ora sarebbe troppo complicato spiegare le ragioni del conflitto, diciamo solo che vedeva da una parte la Spagna, il Sacro Romano Impero e i Savoia e dall’altra la Francia e la Repubblica di Venezia. E infatti Velázquez arrivò a Milano insieme al generale genovese Ambrogio Spinola Doria, che era al servizio della Spagna. In seguito Velázquez lo ritrasse nel dipinto La resa di Breda (1634-35), che si rifersice ancora a un’altra guerra, la cosiddetta Guerra degli ottant’anni, in cui i Paesi Bassi si rivoltarono contro il dominio spagnolo.
Nel suo primo viaggio in Italia Velázquez visitò Venezia, poi Ferrara e Cento - forse perché lì abitava il Guercino - per poi scendere fino a Roma passando da Bologna e da Loreto. Il pittore spagnolo aveva allora 30 anni e il viaggio doveva completare la sua formazione, permettendogli di studiare da vicino artisti come Tiziano, Michelangelo, Raffaello e soprattutto Caravaggio. A Roma Velázquez ottenne di stabilirsi per qualche tempo a Villa Medici, che qualche decennio dopo sarebbe diventata sede dell’Accademia di Francia a Roma e dove abbiamo visto soggiornare tanti altri pittori. Il passaggio di Velázquez è testimoniato da due dipinti che ne ritraggono il giardino (anche se non è certo se risalgano al primo o al secondo viaggio a Roma dell’artista). Prima di tornare in Spagna Velázquez fece tappa a Napoli, dove ebbe il tempo di ritrarre la Regina d’Ungheria Maria Anna d’Asburgo.
Il secondo viaggio in Italia è del 1648: Velázquez ricevette l’incarico di comprare pitture originali e statue antiche. Rifece il giro della prima volta (Milano, Venezia, Bologna) ma stavolta passò anche per Firenze, Modena e Parma prima di raggiungere Roma. È qui che, nel 1650, dipinse il ritratto di Papa Innocenzo X.
Innocenzo X - cioè Giovanni Battista Pamphilj - aveva all’epoca 75 anni circa ed era Papa da più di 15. Pare che fosse notoriamente bruttissimo, ma personalmente mi sembra che in questo ritratto Innocenzo X sia rappresentato come l’archetipo del super cattivo. Eppure c’è qualcosa di più, è come se dicesse “Sono stato malvagio tutta la vita e a cosa è servito?”, oppure “Sono stanco di essere cattivo”. Sicuramente i contemporanei dovevano vedere questo dipinto con altri occhi, però mi sono sempre chiesto come facessero questi potenti ad accettare di essere ritratti in modo così spietato. Bisogna forse pensare che l’opera di Velázquez non era destinata al grande pubblico: rimase infatti nella galleria della famiglia Pamphilj, dove si trova tutt’ora, destinata agli sguardi di pochi intenditori.
Poi nel ‘900 arrivò l’artista irlandese Francis Bacon, che rimase talmente ossessionato dal ritratto di Velázquez da ridisegnarlo in continuazione, in più di cinquanta varianti nell’arco di vent’anni. Tuttavia Bacon si basò sempre su fotografie del dipinto e anche durante il suo soggiorno a Roma si rifiutò di vedere l’originale. Perché? Come l’artista spiegava in questa intervista del 1966, “probabilmente per paura di vedere la realtà del [dipinto di] Velázquez dopo il modo in cui lo avevo manipolato. […] Vedere questo meraviglioso dipinto - almeno io l’ho sempre considerato meraviglioso - e pensare alle stupidaggini che ne avevo ricavato”.
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