Al tempo dei carbonari
Stendhal, Byron, Mary e Percy Shelley si trovavano tutti in Italia quando scoppiarono i moti carbonari del 1820-21: tutti seguirono con passione le insurrezioni, e alcuni ci rimisero in prima persona
Esiste un bellissimo bootleg registrato chissà quando durante un concerto di Fabrizio De André, in cui si accenna una canzone:
Ero convinto che fosse un’antica canzone anarchica, invece il brano si intitola I carbonari e non è nemmeno così vecchio: fu composto da Armando Trovaioli nel 1969 per la colonna sonora del film Nell’anno del signore di Luigi Magni. Il film racconta la vicenda di due carbonari condannati a morte nella Roma del 1825, in piena restaurazione.
Ma chi erano i carbonari? Devo ammettere che fino a poco tempo si trattava per me di una grigia nozione scolastica, così come i moti del 1820-21, la serie di insurrezioni che i carbonari animarono in varie parti d’Italia. Lo stesso termine “moto” suona polveroso e non credo di averlo mai incontrato fuori da un manuale di storia. Adesso però quel periodo brilla di una luce nuova. Perché quasi tutti i principali protagonisti del mio fumetto si trovavano in Italia quando scoppiarono i moti. Stendhal era nella Milano controllata dagli austriaci e passò guai seri in quel periodo; Lord Byron invece era a Ravenna, nella Romagna governata dai legati pontifici, e praticamente si unì ai carbonari; Mary e Percy Shelley abitavano a Pisa, nel tranquillo Granducato di Toscana, ma seguirono da vicino e con passione le varie insurrezioni, anzi direi che la loro idea degli italiani cominciò allora a cambiare radicalmente. All’appello manca Goethe, che nel 1820 aveva 70 anni e abitava a Weimar, ma temo che il poeta tedesco non vedesse di buon occhio le rivoluzioni.
Torniamo alla situazione italiana nel 1820. Napoleone era caduto da cinque anni - ma era ancora vivo a Sant’Elena - e con lui i vari regni italiani satelliti della Francia. La restaurazione aveva riportato le vecchie dinastie sui troni d’Italia, e in particolare l’Austria e la Santa alleanza mantenevano un ferreo controllo sulla penisola. Ma i ragazzi che avevano combattuto nelle armate napoleoniche erano ancora giovani e agguerriti e nel 1820 erano pronti a far capire all’ancient régime che non si poteva tornare indietro come se la rivoluzione francese e tutto quel che ne era scaturito non fosse mai avvenuto. Molti di loro si riunirono in una società segreta - la carboneria, appunto - che era nata già in Francia quando Napoleone si era proclamato imperatore. In pratica i carbonari erano dei discendenti dei giacobini e negli anni di cui parliamo il loro principale obiettivo era ottenere una costituzione e affermare i principi del liberalismo: parlamento, elezioni, libertà di stampa, eccetera. Quando nel marzo 1820 un’insurrezione in Spagna riuscì a ottenere una costituzione dal re Ferdinando VII, fu il segnale che anche in Italia era il momento di passare all’azione.
Il primo ad accorgersi che l’Italia era un vulcano sul punto di esplodere fu Lord Byron, che nell’aprile del 1820 scriveva:
Gli eventi spagnoli e francesi hanno messo gli italiani in fermento, e non c’è da meravigliarsi: sono stati calpestati troppo a lungo. Se i nativi me lo permetteranno, vorrei rimanere qui per vedere quello che ne verrà fuori. Mi sembrerebbe di gran lunga il più interessante spettacolo e momento nell’esistenza, vedere gli italiani mandare i barbari di ogni nazione indietro nelle loro tane. Ho vissuto abbastanza in mezzo a loro per sentirmi dalla loro parte come nazione più che per ogni altro popolo; ma vogliono Unità, e vogliono principi; e io dubito del loro successo. Comunque probabilmente ci proveranno, e se lo faranno sarà una buona causa. Nessun italiano qui può odiare gli austriaci più di me; eccetto gli inglesi, gli austriaci mi sembrano la più odiosa razza sotto il cielo.
Dopo diversi anni a Venezia, Byron si era trasferito a Ravenna seguendo la sua amante, la contessa Teresa Guiccioli. Il fratello di Teresa, il conte Pietro Gamba, era appunto un carbonaro e tramite lui il poeta inglese poteva tastare il polso della situazione politica in Italia. Bologna e la Romagna erano in effetti pronte a insorgere contro lo stato pontificio, ma la rivoluzione, nel luglio del 1820, scoppiò prima a Napoli, dove i carbonari riuscirono a ottenere la costituzione dal re Ferdinando I.
Mentre il clima in tutta Italia si faceva incandescente, dalla tranquilla Pisa Mary Shelley annotava:
Trent’anni fa era l’era delle Repubbliche, e sono tutte cadute - Questa è l’era delle costituzioni […]. Che cosa gloriosa sarebbe se la Lombardia riguadagnasse la sua libertà - e la Toscana - tutto è così mite qui che sarà l’ultima, e tuttavia spero che alla fine la gente qui risollevi i propri corpi e spiriti caduti e diventi qualcosa di meglio di quel che sono adesso.
I moti carbonari cambiarono drasticamente il modo in cui Mary e Percy Shelley vedevano gli italiani: quelli che prima sembravano solo selvaggi ora apparivano come un popolo oppresso, soffocato dalle superstizioni, ma ancora vitale. Percy scrisse varie poesie a sostegno della causa, in particolare Ode a Napoli1. Per Mary invece abbiamo una lettera scritta direttamente in italiano (la riporto lasciando tutti gli errori).
Vedete che intanto conoscemo ogni giorno un poco piu dei Italiani, e sentiamo un grandissimo interesso nella guerra minacciata a Napoli. che faranno? I nobili di Napoli sono indipendente e bravi; ma il popolo è schiavo. Quanti e tanti italiani sospirono per la libertà, ma come in ogni paese i poveri non hanno potere e i ricchi mai vogliono rischiare i di loro denari.
Stranamente, il meno partecipe ai moti carbonari fu Henri Beyle/Stendhal, che pure aveva combattuto per Napoleone, seguendolo anche nella campagna di Russia. Ma dopo la disastrosa ritirata da Mosca, Stendhal aveva trovato rifugio a Milano e, disilluso, pensava solo al suo amore poco ricambiato le dame milanesi, alla musica lirica e a viaggiare per l’Italia. In alcune sue lettere, un po’ scritte in codice e un po’ condite con termini inglesi per sfuggire alla censura, Stendhal ci dà il suo quadro della situazione italiana. A parte Napoli, i carbonari secondo lui avevano qualche possibilità di successo solo a Bologna, in Romagna, forse ad Ancona. Ma nel resto d’Italia il liberalismo sembrava essere più che altro una moda. “Roma è marcia”, dice Stendhal, “a Firenze si chiacchiera molto”, ma i nobili erano liberali solo per finta, e al momento buono si sarebbero schierati con i preti per fermare ogni cambiamento. Solo in Piemonte il re sembrava davvero disposto a concedere una costituzione: “Questo spiacevole rimedio è il solo che possa mantenere Genova sotto la monarchia”. Nella Milano sotto controllo austriaco dove si trovava Stendhal, e anche a Venezia, la situazione invece era tranquilla, “nonostante quello che dicono i liberali”.
A Milano e Venezia il governo è così giusto, così dolce, così lento che in fondo va bene così. Delle voci vaghe, niente di più.
Alla fine del 1820 gli austriaci spedirono un’armata in Italia per soffocare la rivoluzione napoletana. Preoccupato, Percy scriveva a Mary:
A Napoli il partito costituzionale ha dichiarato al ministro austriaco che se l’imperatore dovesse entrare in guerra contro di loro, la loro prima azione sarebbe quella di mettere a morte tutti i membri della famiglia reale. Quanto poco ci vorrà perché l’Inghilterra, e forse l’Italia, vengano prese dal sacro fuoco? E, per passare dal sistema solare a un granello di sabbia, che cosa faremo noi?
Nel frattempo la repressione si faceva più dura, sopratutto nei confronti degli stranieri. Si capisce dalle lettere di Byron:
Non posso dirti niente sull’Italia, perché il governo qui mi guarda con occhio sospetto, perché sono ben informato. Come se io, uno straniero solitario, potessi fare qualche danno. È perché mi piace sparare col fucile e con le pistole, credo, si sono allarmati per la quantità di cartucce che ho consumato - i sapientoni!
Forse le autorità non avevano tutti i torti a sorvegliare Lord Byron, dato che anche in Romagna si preparava un’insurrezione e il poeta diede una mano trasformando casa sua in un deposito per le armi e le munizioni dei carbonari (vedi tavola in fondo, per chi è abbonato).
I romagnoli furono sorpresi però dalla veloce avanzata delle truppe austriache dirette a Napoli - “gli unni”, come li chiamava Byron -, che attraversarono il Po con largo anticipo. L’insurrezione non ebbe il tempo di scoppiare, Pietro Gamba finì nelle liste dei sospetti carbonari e fu costretto a rifugiarsi a Firenze2.
Nel frattempo lo scontro tra l’esercito austriaco e i napoletani era imminente, con poche speranze per questi ultimi. Shelley annotava:
Siamo ora in piena crisi in Italia. Gli eserciti di Napoli e dell’Austria si stanno rapidamente avvicinando l’un altro, e la notizia di una battaglia può arrivare ogni giorno. Gli austriaci avanzano negli Stati della Chiesa e hanno preso ostaggi a Roma, per assicurarsi la neutralità di quel potere, e sembrano determinati a provare la loro forza in una battaglia in campo aperto. Non c’è bisogno che ti dica quante poche possibilità ci siano che le nuove e indisciplinate leve di Napoli riescano a resistere contro una forza superiore formata da veterani. Ma la nascita della libertà nelle nazioni abbonda di esempi di rovesciamenti delle normali leggi: la sconfitta degli austriaci sarebbe il segnale di insurrezione lungo tutta l’Italia.
Lo scontro avvenne infine nel marzo del 1821, con la battaglia di Antrodoco, vicino Rieti, e si risolse con la prevista vittoria austriaca. Per Byron fu una grande delusione:
Hai visto che gli italiani hanno rovinato tutto. Tutta colpa di tradimenti e divisioni fra loro stessi. Mi ha dato un gran fastidio. Il disprezzo che si è accumulato sui napoletani da parte degli altri italiani è all’unisono con quello del resto d’Europa.
Rimanevano fuochi di ribellione in Piemonte, ma nel corso del 1821 la restaurazione riportò tutto all’ordine. Mary scriveva:
Napoli è vergognosamente caduta e il Piemonte è solo un passo indietro - tuttavia potrebbe essere stato posto il seme di cui raccoglieremo il frutto tra qualche anno.
Nel frattempo a Milano possiamo secondo me immaginare il disincantato Beyle/Stendhal scuotere la testa in segno di disapprovazione, come dire “ve l’avevo detto”. Lo scrittore francese fu però in grado di anticipare quel che accadrà nel 1848, quando in tutta Europa si scatenerà una nuova serie di insurrezioni e rivoluzioni.
Sono diventato very cool sulla politica. All Europe shall have the liberty in 1850, ma non prima. Ecco il mio calmante.
Tuttavia chi dai moti carbonari ci rimise in prima persona fu proprio Stendhal. Era pur sempre un francese, anzi un ex ufficiale di Napoleone, in una Milano occupata dagli austriaci: qualcuno - forse un marito geloso? - cominciò a far girare la voce che fosse una spia e poi anche un carbonaro. E così Stendhal fu costretto a lasciare l’Italia e la tanto amata Milano, che non avrebbe mai più rivisto.