Amore e guerra alla Scala di Milano
Nei palchi del teatro potevano svolgersi storie d'amore ma anche risse, oppure grandi incontri: come quello che una sera del 1816 vide radunati insieme Byron, Stendhal e il poeta Vincenzo Monti
Arrivo alle sette di sera, morto di fatica; corro alla Scala - il mio viaggio è ripagato.
Stendhal inizia così il viaggio in Italia raccontato in Roma, Napoli e Firenze. Milano, come ormai sappiamo, era la città d’adozione dello scrittore francese, quella da cui iniziava ogni suo soggiorno in Italia, e dentro Milano il Teatro alla Scala era la sua seconda casa. Sempre da Roma, Napoli e Firenze:
Chiamo la Scala il primo teatro del mondo, perché è quello che più fa avere il piacere della musica. Eccomi condannato a un disgusto eterno per i nostri teatri francesi: è il vero inconveniente di un viaggio in Italia.
Pago uno zecchino a sera per un palco in terza galleria, che ho promesso di tenere per tutto il tempo del mio soggiorno.
Il Teatro Grande alla Scala era stato inaugurato nel 1778 ed era rapidamente diventato il luogo prediletto della buona società milanese. Per approfondire la storia del teatro e i suoi cambiamenti nel tempo rimando a questa bellissima lezione di Carlotta Sorba (per il ciclo delle Lezioni di Storia La Terza Le opere dell’uomo). Qui invece vediamo cosa ne pensavano gli artisti stranieri che lo visitarono. Stendhal è di sicuro quello che lo frequentò di più, ma non è certo l’unico. Mark Twain, ne Gli innocenti all’estero, diario del suo viaggio del 1867, descrive la Scala con la consueta ironia:
Volevamo andare alla Scala, il teatro più grande del mondo, credo che lo definiscano così. Ci siamo andati. Era un posto molto grande. Sette masse di umanità separate e distinte - sei grandi circoli e un parquette mostruoso.
Tra i tanti musicisti che vissero in Italia, ho trovato un riferimento alla Scala solo nell’autobiografia di Richard Wagner. Siamo nel marzo del 1859:
Fu mio destino essere presente a una performance al Teatro alla Scala, dove, in un ambiente di straordinaria esteriore magnificenza, si rivelò vero che il gusto italiano stava tristemente degenerando. Davanti al pubblico più entusiasta e brillante che si potesse desiderare, radunato insieme in quell’immenso teatro, fu eseguita l’opera incredibilmente insulsa e falsa di un moderno compositore, il cui nome ho dimenticato. La stessa sera capii, comunque, che anche se il pubblico italiano amava appassionatamente la canzone, era il balletto quello che vedevano come numero principale; perciò la terribile opera iniziale era intesa solo per aprire la strada a una grande performance coreografica su un soggetto non meno ambizioso che quello di Antonio e Cleopatra.
Tuttavia, a parte la bellezza e la vastità del teatro e la qualità degli spettacoli, quello che più mi colpisce in questi racconti dal passato è il fatto che gli spettatori di una volta non stavano in silenzio né fermi. Al contrario, i palchi della Scala erano luoghi di ritrovo e di conversazione, anche durante gli spettacoli1!
Lo notò Hans Christian Andersen nel suo viaggio del 1833:
Alla sera andai al Teatro alla Scala. Facevano un melodramma: I due sergenti con musica di Luigi Ricci. […] I recitativi erano accompagnati unicamente da un violoncello; erano così stupidi che non posso biasimare gli italiani per aver chiacchierato per tutta la loro durata.
Lord Byron, che nell’ottobre del 1816 era appena arrivato in Italia, afferrò subito la vera funzione del teatro:
La vita di società si tiene in modo molto strano, - a teatro, e solo a teatro […]. La gente si incontra lì come a un evento mondano, ma in cerchie molte piccole.
Ed è proprio in uno dei palchi della Scala si avvenne l’incontro tra Byron e Stendhal. Ecco il racconto dello scrittore francese:
Nel 1816, il monsignor Ludovico di Breme, ex primo elemosiniere del re d’Italia Napoleone, riuniva a Milano, nel suo palco al teatro alla Scala, un gruppo di dodici o quindici giovani. […] Una sera vedemmo entrare nel palco un giovanotto piccolino che aveva degli occhi magnifici; mentre avanzava verso la parte del palco che dà sulla sala, notammo che zoppicava un po’. Il monsignor di Breme ci disse: Signori, lord Byron! e poi ci presentò a Sua Signoria; […] Dato che avevamo già qualche esperienza del carattere inglese, che fugge chi lo cerca, ci guardammo bene dal parlare a lord Byron e anche di guardarlo. Un bell’uomo che aveva un’aria da militare si trovava nel palco. Lord Byron sembrò perdere in suo favore un pò della sua freddezza britannica.
In seguito credemmo di indovinare che lord Byron fosse allo stesso tempo entusiasta e geloso di Napoleone Bonaparte. Diceva: Siamo i soli, lui e io, a firmarci N.B. (Noel Byron). Il giorno in cui lord Byron venne nel palco del monsignore di Breme, gli avevano detto che vi avrebbe incontrato qualcuno che aveva fatto la campagna di Mosca. Nel 1816 quell’evento aveva ancora il fascino della novità […]. Lord Byron prese il nostro amico con i baffi per il fuggitivo di Mosca.
L’indomani lord Byron si accorse che si era sbagliato; mi fece l’onore di parlarmi della Russia. […] Mi prese sotto braccio e passeggiammo per un’ora negli immensi e solitari foyer della Scala. […] Lord Byron aveva voglia di fare qualche domanda sulla campagna di Russia a un testimone oculare; voleva arrivare alla verità e cercava di mettermi in difficoltà; di fatto subii una cross examination. Ma non me ne accorsi; la notte seguente ero folle di piacere nel rileggere Childe Harold. Amavo lord Byron.
Sarà vero quello che racconta Stendhal?? Come sempre mi rimane il dubbio - anche se è vero che fu a Mosca con Napoleone -, in ogni caso Byron non fa menzione di questo incontro.
Sia Byron che Stendhal raccontano invece un altro episodio avvenuto alla Scala: una rissa che vide come protagonista il medico e scrittore John William Polidori, amico di Byron e autore del racconto Il vampiro (1819), primo esempio di storia moderna sui vampiri, scritta molto prima del Dracula di Bram Stoker (1897). Mi dilungo su questo episodio perché quella sera alla Scala c’era davvero una concentrazione di artisti! Nel gruppo di Byron e Stendhal infatti c’era anche il poeta Vincenzo Monti.
Ecco cosa dice Byron:
[Polidori] È arrivato a Milano qualche settimana prima di me. Circa una settimana fa, in seguito a una lite al teatro con un ufficiale austriaco, in cui era straordinariamente nel torto, è riuscito a farsi cacciare dal territorio [di Milano] ed è andato a Firenze. Non ero presente, dato che la scena del litigio è stata la platea; ma sono stato chiamato dal palco del Cavaliere di Breme, dove stavo tranquillamente osservando il balletto, e ho trovato quell’uomo di medicina circondato da granatieri, arrestato dalle guardie, trasportato nel guardaroba, dove si sono dette molte parolacce in diverse lingue. Volevano trattenerlo per la notte; ma dando il mio nome e garantendo che sarebbe comparso la mattina dopo, gli è stata permessa l’uscita. Il giorno dopo ha avuto l’ordine dal governo di andarsene nel giro di 24 ore, e di conseguenza se ne è andato qualche giorno fa.
Stendhal ci racconta anche la causa del litigio, in una versione leggermente diversa da quella di Byron.
M. Polidori, che era molto alto e di bell’aspetto, nel parterre era stato infastidito dal berrettone di pelo del granatiere di guardia, che, diceva, gli impediva di vedere il cantante, e l’aveva pregato di toglierlo. Il fatto è che, malgrado il suo nome italiano, M. Polidori era nato in Inghilterra, e di conseguenza aveva spesso bisogno di vent his spleen on somebody, “di sfogare il suo malumore su qualcosa o qualcuno”.
Il grande poeta Monti era sceso con noi al posto di guardia della Scala; circondammo il prigioniero in quindici o in venti persone. Tutti parlavano nello stesso momento; M. Polidori era fuori di sé e rosso come la brace. Lord Byron, al contrario molto pallido, conteneva a mala pena il suo furore. Il suo cuore patrizio era violentemente lacerato dalla vista del poco potere e considerazione di cui godeva. Senza dubbio in quel momento rimpiangeva vivamente di non essere un ultra [un reazionario] e di non essere ammesso alle cene e all’intimità dell’arciduca viceré di Milano. Tale fu la nostra opinione.
Comunque sia, l’ufficiale austriaco forse vide in noi un principio di insurrezione […]. Monti si accorse che usciva correndo dal posto di guardia per chiamare i suoi soldati, che presero i fucili poggiati fuori dalla porta. Monti ebbe allora un’idea eccellente: Sortiamo tutti; restino solamente i titolati. Rimasero il monsignor di Breme con il marchese di Sartirana, suo fratello, il conte Confalonieri e lord Byron. Questi signori scrissero i loro nomi; alla vista di quei titoli, l’ufficiale di guardia dimenticò l’insulto fatto al suo berretto e lasciò uscire M. Polidori.
Forse sarebbe stato bello disegnare questa rissa nel mio fumetto, ma non credo di aver abbastanza spazio… però almeno una scena ambientata alla Scala non potevo non metterla.