Bologna come crocevia
È una tappa obbligata per tutti i viaggiatori in Italia: Melville si ferma per pranzo, Goethe sale sulla Torre degli Asinelli, Stendhal va a San Luca, ma solo John Ruskin la disegna
Forse se non abitassi a Bologna non avrei mai pensato a un libro sui viaggi in Italia. Questa città “col seno sul piano padano ed il culo sui colli”, come cantava Guccini, è da sempre il crocevia per chi viaggia da nord a sud, e viceversa. Che ci si sposti in treno o in automobile, è inevitabile passarci, e magari anche fermarsi per una coincidenza a Bologna centrale o per una fila in autostrada. E questo non è cambiato rispetto ai viaggi della fine del ‘700 e dell’800: tutti i protagonisti che finiranno nel mio fumetto passano per Bologna. Altre cose invece sono molto diverse: si viaggiava in carrozza o a cavallo, e soprattutto l’Italia era divisa in tanti staterelli, e questo significava dogane, domande, lunghi controlli dei documenti, trattative con i vetturini. Lungaggini che magari non davano tempo per visitare la città, ma che si prolungavano abbastanza per poter scrivere una lettera alla persona amata.
Così il poeta Percy Shelley, che nell’agosto 1821 da Pisa sta andando a trovare Lord Byron a Ravenna, ne approfitta per scrivere a Mary (Wallstonecraft Shelley):
Mia carissima, sono a Bologna e la caravella1 per Ravenna è prenotata. Sono stato trattenuto […] per più di dodici ore, altrimenti sarei arrivato a Bologna la scorsa notte invece che questa mattina. Anche se ho viaggiato tutta la notte a un ritmo di due miglia e mezzo all’ora, in un calesse aperto, sono in perfetta salute. […] Dai un bacio al piccolo, e accettane uno affettuoso anche per te. La carrozza aspetta. Ti scriverò meglio la prima notte a Ravenna. Sempre tuo, S.
Anche chi si ferma non lo fa a lungo. Per il viaggiatore che arriva da Venezia o da Milano, Bologna è solo un anticipo dei capolavori che lo attendono a Firenze e a Roma. Vale la pena di fermarsi per vedere L’estasi di Santa Cecilia di Raffaello o le opere dei Carracci e di Guido Reni… ma anche un tipo curioso come Goethe a Bologna scalpita perché ha fretta di raggiungere Roma. Non rinuncia però alla sua consuetudine di salire sul campanile più alto della città di turno, per avere una visione d’insieme. A Bologna non è un campanile ma la Torre degli Asinelli, ed ecco la descrizione che ne dà Goethe nell’ottobre 1786:
La vista è magnifica! A nord vediamo le colline di Padova; oltre quelle, le Alpi svizzere, tirolesi e friulane; in breve, l’intera catena settentrionale, che a tratti era avvolta nella nebbia. Verso ovest si allungava un orizzonte senza limite, sul quale solo le torri di Modena spiccavano. A est una pianura analoga raggiunge le coste dell’Adriatico, le cui acque si possono distinguere al tramonto. Verso sud, le prime colline dell’Appennino che, come quelle vicentine, sono coltivate fino in cima, o ricoperte di chiese, palazzi e residenze estive. Il cielo era perfettamente chiaro, senza una nuvola in vista, solo una specie di foschia all’orizzonte.
È buffo pensare a questi grandi scrittori che si muovono in luoghi a me così familiari, o fanno cose così comuni. Herman Melville, nel marzo 1857, si ferma a mangiare a Bologna, alla locanda dei Tre mori: “Per prima cosa a Bologna ho assaggiato la Bologna sausage2, per lo stesso principio per cui a Roma la prima cosa è andare a San Pietro”.
Stendhal è quello che si ferma più a lungo, ed è strano pensarlo proprio qui, sotto casa mia e nei dintorni, a visitare il cimitero della Certosa e a salire verso San Luca:
Sono [passati] duecento anni, credo, da quando i bolognesi hanno costruito un portico che ha seicentocinquanta arcate, e grazie al quale si può salire al coperto alla Madonna di San Luca. […]3 Ho risalito la collina seguendo questo portico, che è lungo una lega, e non ho mancato di prendermi un raffreddore osservando le pitture nella chiesa. È la terza volta che mi capita questo noioso incidente: un italiano si sarebbe munito di un berretto di seta nera.
Tra tutti i viaggiatori, quello che mi ha colpito di più è John Ruskin. Critico d’arte e artista a sua volta, è passato da Bologna varie volte, l’ha disegnata e a un certo punto, nel maggio del 1841, è anche andato a trovare Santa Caterina4, come scrive nel suo diario:
Una giornata deliziosa, non troppo calda. […] Sono andato a dare un’occhiata a Santa Caterina di Bologna - eccezionalmente brutta; non dev’essere stata granché bella da viva, e la morte di certo non l’ha migliorata. Storie favolose su di lei. Sembra non esserci limite alla credulità religiosa; in effetti non ce n’è - è colpa dei bugiardi, non una pazzia dei credenti. Poi sono andato all’Accademia, nella stanza ero completamente solo, sono rimasto un’ora davanti a Santa Cecilia.
Mi ha colpito perché io ho fatto la stessa cosa l’estate scorsa, l’ho anche disegnato in questa storia uscita su Doppiozero.
Credo sia un tipo di carrozza.
Presumo sia la mortadella!
Qui c’è una frase sulla cui traduzione non sono sicuro: “Les domestiques de Bologne se cotisèrent et bâtirent quatre arcades; les mendiants se cotisèrent et firent deux arcades”. Credo che parli di domestici e di mendicanti che si sono autotassati per costruire delle arcate.
Santa Caterina da Bologna, vissuta nel ‘400, il suo corpo “incorrotto” - cioè non si è decomposto - è tutt’ora esposto in una cappella nel santuario del Corpus Domini.
L'ultimo disegno di John Ruskin potrebbe forse essere via Oberdan? Fino all'800 Bologna era anche un luogo di transito fra est e ovest, da Venezia si arrivava in battello.