Dal diario di Hans Christian Andersen
Nel suo viaggio in Italia del 1833/34 lo scrittore danese trovò l'idea per il suo primo romanzo di successo, ma tracce di quell'esperienza si trovano anche nelle sue fiabe (e nei suoi disegni!)
Conosciamo tutti fin dall’infanzia Hans Christian Andersen per fiabe come La sirenetta o Il brutto anatroccolo: non sapevo però che il suo primo successo come scrittore fu in realtà un romanzo - L’improvvisatore - tutto ambientato in Italia, nato durante il viaggio che lo scrittore danese compì nella penisola tra il 1833 e il 1834.
Per una volta, iniziamo dalla fine:
Così domani inizio il viaggio verso il nord. Un sentimento strano e malinconico mi possiede! Lascio qui il Paradiso, quando è ancora sul procinto di sbocciare, in una certa misura, e non lo vedrò nella sua veste estiva, né andrò in Sicilia. A nord, a nord, dove i miei cari vivono nella neve e nella nebbia, si trova l’anello di ferro che è agganciato al mio piede.
Sì, sì, la Danimarca è un povero paese! La cornucopia dell’Italia è piena di frutti e fiori, mentre noi abbiamo solo erba e ginepro.
Questo addio così sentito all’Italia fu scritto da Hans Christian Andersen a Napoli, nel marzo del 1834, mentre si accingeva a intraprendere la via del ritorno verso la Danimarca. Il suo viaggio in Italia era iniziato diversi mesi prima, nel settembre del 1833, quando Andersen aveva 28 anni: aveva già pubblicato diverse cose ma non era ancora lo scrittore (di fiabe e non solo) che conosciamo.
All’inizio del 1833 Andersen aveva ottenuto quindi una borsa di studio (di 600 talleri d’argento all’anno per due anni) e in primavera era partito per Parigi e poi per l’Italia. Come vedremo, le emozioni e le cose viste in questo viaggio si ritrovano in molti degli scritti di Andersen, e anche nelle sue fiabe.
Tutto è raccontato nel suo diario, che ha anche degli splendidi disegni1. Andersen entrò in Italia il 19 settembre del 1833, attraversando il passo del Sempione.
Gli enormi massi di pietra mi avvinsero; da un lato una potente cascata si tuffava giù in profondità. - Tutto era di granito - era come viaggiare attraverso la spina dorsale della terra. Il tempo schiarì; poi arrivammo alla dogana italiana, e fummo ispezionati. Il cielo era, o meglio divenne, piuttosto nuvoloso, ma era strano quanto mite fosse l’aria. Un albero di fico cresceva sul bordo della strada; i castagni si slanciavano sopra le nostre teste; mais e uva, tutto mostrava i segni di una natura più fertile.
La prima notte Andersen si fermò a Baveno (“dove ho trovato una cattiva camera e un cattivo tè”) per poi attraversare in barca il lago Maggiore con una sosta a Isola Bella. La cito perché è la prima volta che incontriamo questa particolare zona d’Italia.
Sbarcai sull’Isola Bella, dove la famiglia Borromeo, da cui le isole hanno preso il nome, ha la sua residenza. Nel giardino c’erano alberi di aranci e di alloro; Napoleone qui incise la parola “batallia” su un cedro2. Tutto profumava; tutto era pacifico. Ma il cielo non era italiano, era danese - è bello, però, incontrare nella profumata Italia un cielo di casa.
Quando ripartimmo potevamo vedere la gigantesca statua di Carlo Borromeo sulla costa.
Andersen proseguì il viaggio in vaporetto - dove rimediò subito un’insolazione - fino a Sesto Calende e poi in carrozza verso Milano. Qui annotò che “le Alpi sembravano le montagne di vetro della fiaba, e io adesso le avevo attraversate”.
Lo sguardo di Andersen si posa spesso sulle piccole cose, sulla quotidianità e sulla gente comune. Nel suo diario non ci sono solo descrizioni di monumenti e chiese, dipinti e statue. Andersen descrive ad esempio le donne: non nobildonne ma donne comuni, donne del popolo. Come la ragazza che gli regala un fiore a Isola Bella, o la giovane tirolese che a Milano gli prepara il letto e chiacchiera con lui (“mi è sembrata un po’ libertina”) o la mamma che per strada a Milano interviene in difesa del figlio in una rissa tra due ragazzini, mettendosi anche lei a menare le mani.
A Milano Andersen si era un po’ annoiato, ma il suo entusiasmo si risvegliò nelle tappe successive: Genova, Sestri Levante, Pisa e Firenze. Da Sestri Levante3 scrisse:
Se la Francia è il paese della ragione, allora l’Italia è il paese dell’immaginazione (la Germania e la Danimarca quelli del cuore). Qui c’è tutto quello che si potrebbe desiderare in un paesaggio: le arance così gialle che penzolavano tra il verde rigoglioso; grossi limoni dal colore dell’erba ci accoglievano con il loro profumo… era tutto come in un dipinto.
Arrivato a Roma, Andersen passò la maggior parte del tempo con altri artisti danesi, svedesi e tedeschi (“una pan-Scandinavia del nord”), e in particolare con lo scultore Bertel Thorvaldsen, uno dei più importanti esponenti del neoclassicismo e “rivale” di Antonio Canova.
Nel suo diario da Roma non mancano però le scene di vita quotidiana - per il mio lavoro sono preziosissime! Qui Andersen ci descrive una cena in un’osteria sull’Isola tiberina.
Quando fece scuro, andammo in un’osteria su un’isola sul Tevere. Era letteralmente una cucina con aragosta bollita, pesce fritto e verdure. Una lampada bruciava di fronte a un dipinto della Madonna che era appeso alla parete; gente varia mangiava ai tavoli; fuori dei bambini cantavano con grazia vicino a un quadro della Madonna.
In effetti Andersen è l’unico tra i miei viaggiatori - a parte Goethe, direi - a descrivere con costanza mendicanti di vario genere, frati, contadini e briganti. Come in questa scena notturna, di ritorno dopo un’escursione al lago Nemi, ai Castelli romani.
Era sera prima che ci incamminassimo verso casa. - Camminavamo in gruppo per evitare assalti, perché non è sicuro qui sulle montagne. La luce della luna era molto bella. Incontrammo dei contadini che tornavano verso casa, alcuni di loro armati, ci salutarono amichevolmente, ma probabilmente non c’era da fidarsi.
Tornando alla lettera da Napoli con cui abbiamo iniziato, anche lì ritroviamo lo stesso sguardo, direi in maniera ancora più esplicita.
Ora mi affaccio al balcone e ti descrivo quello che vedo in questo momento.
Nella casa di fronte c’è un giardino pensile, gli alberi sono piegati dalle arance nella luce argentea della luna. Sotto la mia finestra quattro pentoloni stanno bollendo con zuppa e frittura; un lazzarone semi-nudo sta mangiando fichi fritti. I bambini si sono addobbati con bucce d’arancia e foglie verdi.
Ora si cantano serenate, e il Vesuvio illumina la parete del mio vicino. Ma no, non puoi veramente capire; dovresti essere qui!
Già a Roma Andersen aveva iniziato a scrivere quello che sarebbe diventato il suo primo successo, L’improvvisatore4 (il titolo danese era Improvisatoren). Uscito nel 1835, è l’autobiografia di un ragazzino romano, Antonio, poverissimo, nato in piazza Barberini, dove c’è la fontana del Tritone. In parte è davvero un’autobiografia - anche Andersen era stato molto povero da bambino - in parte è una descrizione romanzata proprio di quel mondo popolare che abbiamo visto affiorare nel diario dello scrittore: fra i personaggi troviamo una madre vedova, un frate cappuccino, lo zio Peppo, mendicante soprannominato “re di Piazza di Spagna”, un pittore squattrinato (che viene dalla Danimarca!). Il romanzo racconta poi le varie avventure che Antonio, crescendo, incontra lungo la strada che lo porterà a diventare un improvvisatore, cioè una specie di poeta/cantante capace di creare rime sul momento. Gli improvvisatori italiani all’epoca erano molto celebrati5. Dentro il libro ci sono tutte le tappe classiche del viaggio in Italia - Roma e la sua campagna, Napoli, il Vesuvio, Capri, Venezia - luoghi che Andersen aveva visto con i suoi occhi e che ora raccontava come dall’interno.
Mi ha stupito tuttavia scoprire diverse tracce del viaggio in Italia di Andersen anche nelle sue fiabe. Una in particolare è tutta ambientata a Firenze, dove lo scrittore si era fermato durante il suo viaggio di ritorno. Il porcellino di bronzo (1842) ha come protagonista il “porcellino” (che poi sarebbe un cinghiale) che dà nome alla Fontana del Porcellino nella Loggia del Mercato nuovo a Firenze, e che abbiamo già incontrato citato da Dostoevskij.
Ma non è l’unica fiaba dove l’Italia ha un ruolo. Ne Le galosce della felicità (1838) le galosce del titolo trasportano magicamente chi le indossa in qualunque luogo desideri. “La cosa migliore che fecero le galosce” - come recita uno dei sottotitoli che compongono la storia - fu trasportare in Italia un giovane studente che desiderava viaggiare.
E, in un istante, si ritrovò lì, lontano, nel mezzo dell’Italia tra Firenze e Roma, dove il lago Trasimeno brilla nella luce della sera come un foglio d’oro fuso tra montagne blu scuro. Lì, dove Annibale sconfisse Flaminio, le viti si aggrappano l’una all’altra con l’amichevole presa dei loro verdi viticci; mentre, al bordo della strada, bambini mezzi nudi fanno la guardia a maiali neri come il carbone, sotto i boccioli di un alloro profumato. Se potessimo descrivere questa scena pittoresca dandole giustizia, i nostri lettori esclamerebbero: “Deliziosa Italia!”
Nella fiaba Incantevole! (1859) il protagonista è lo scultore Alfred che da giovane, dopo aver vinto una borsa di studio, era stato in Italia (chi ci ricorda?). Anni dopo viene invitato a raccontare del suo viaggio e una delle sue più avide ascoltatrici è la vedova di un ufficiale , con una bellissima figlia che però non parla. Nel tentativo di colpirla, lo scultore racconta dell’Italia.
Il signor Alfred parlò ancora dell’Italia e dei gloriosi colori del paesaggio italiano; le colline porpora, il blu profondo del Mediterraneo, l’azzurro dei cieli del sud, la cui luminosità e gloria poteva essere sorpassata, nel nord, solo dal blu profondo degli occhi di una vergine […]
“Bella Italia!” sospirarono alcuni degli ospiti.
“Oh, viaggiare lì”, esclamarono altri.
“Incantevole! Incantevole!”, era l’eco di ogni voce.
Lo scultore racconta quello che anche Andersen stesso deve aver raccontato mille volte. Racconta dell’obelisco antico di un migliaio di anni che si vede quando si arriva a Roma (in Piazza del popolo), mostra stampe a colori di Napoli e un suo disegno del Vesuvio in eruzione. Peccato che la vedova non sia molto sveglia, e questo dà luogo a una serie di comici fraintendimenti.
E poi c’è una brevissima storia che non è una favola ma un racconto di fantascienza. Tra mille anni (1852) in cui Andersen immagina un Grand Tour del futuro. I viaggiatori arriveranno dall’America a visitare l’Europa dei loro antenati su “navi a vapore volanti”. Dopo una prima tappa a Londra, “il viaggio continua attraverso il tunnel sotto il Canale della Manica”, poi Parigi, la Spagna e…
Poi attraverso l’aria, sul mare, in Italia, dove una volta si trovava la vecchia, eterna Roma. È svanita! La Campagna romana è deserta. Solo un muro in rovina è quello che rimane di San Pietro, ma ci sono dubbi sull’autenticità di queste macerie.
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I disegni tratti dal diario di Andersen li ho trovati qui: ce ne sono anche altri non relativi all’Italia.
Questa storia dell’albero inciso da Napoleone è un gran pasticcio. Pare che Stendhal abbia raccontato di quest’albero in una lettera (che io non ho trovato) a suo cugino Romain Colomb. Napoleone avrebbe inciso la parola “bataille” (battaglia) prima della battaglia di Marengo. Colomb a sua volta dice di essere stato sull’isola nel 1828 (quindi prima di Andersen): “Ho trovato ancora leggere tracce della parola incisa da Bonaparte, con la punta della sua spada. Si dice che un ufficiale austriaco abbia colpito con una sciabolata quei caratteri inoffensivi e che un inglese abbia strappato, come reliquia, un pezzo di corteccia”. Alexandre Dumas padre invece dice che la parola incisa era “victoire”. Per alcuni l’albero era un cedro, per altri un alloro, per altri ancora un tasso. Secondo me non è vero nulla - anzi mi sta venendo voglia di fare un post sui vari alberi legati in qualche modo alle vicende di Napoleone.
Il passaggio di Andersen da Sestri Levante ha dato il nome nel 1967 a uno dei più importanti premi per la letteratura per ragazzi - il Premio Andersen appunto, che è anche un festival: la prossima edizione è in programma dal 3 al 19 giugno 2022.
Una parte de L’improvvisatore si può leggere qui.
Una delle improvvisatrici più famose era Maria Maddalena Morelli, conosciuta come Corilla Olimpica. Alla sua figura si ispirò Madame de Staël per il suo romanzo del 1807 Corinna o l’Italia.