Gogol' e i profumi di Roma
Lo scrittore russo visse per lunghi periodi nella Capitale. La amava così tanto da desiderare di trasformarsi in un gigantesco naso, in modo da poter respirare il più possibile la primavera romana
Nel racconto Il naso un gigantesco naso se ne va in giro in carrozza per le strade di Pietroburgo, è vestito in uniforme da alto ufficiale, si comporta da essere umano e si rifiuta di riprendere posto sul volto del suo proprietario, il maggiore Kovalev. È uno dei più famosi racconti di Nikolaj Gogol’ e fu pubblicato nel 1836. Pochi anni dopo, nel 1838, lo scrittore russo si trovava a Roma, e per descrivere la primavera romana e i suoi profumi, fa praticamente un’auto-citazione, parlando proprio di un naso:
Che aria! Quando inspiri è come se almeno 700 angeli volassero nelle tue narici. Una meravigliosa primavera! […] Adesso le rose hanno ricoperto tutta Roma, ma i fiori che hanno appena iniziato a germogliare, di cui al momento davvero non ricordo il nome, sono molto più dolci per il mio olfatto… Non li abbiamo nel nostro paese. Puoi crederci? Spesso avverto un fortissimo desiderio di trasformarmi in nient’altro che un naso - in modo tale che non ci sia altro - né occhi, né braccia, né gambe, solo un gigantesco incredibile naso, le cui narici avrebbero le dimensioni di grandi secchi, in modo che io possa respirare il più possibile il profumo della primavera…
Tra il 1837 e il 1845 Gogol’ visse per lunghi periodi a Roma1. Nelle sue lettere descrive la città con un entusiasmo inusuale anche per i tanti artisti che abbiamo incontrato in questa newsletter. In questo passo dell’ottobre 1837, ad esempio, Gogol’ racconta il suo ritorno in Italia dopo una breve interruzione - a Roma si era scatenata un’epidemia di colera - trascorsa a Ginevra.
Se sapessi con che gioia ho abbandonato la Svizzera e sono fuggito verso la mia cara anima, la mia bellezza - l’Italia. Lei è mia! Nessuno al mondo me la porterà via! Io sono nato qui. - la Russia, Pietroburgo, le nevi, le canaglie, il dipartimento di servizio civile, il professorato, il teatro - tutto questo l’ho sognato. Mi sono risvegliato di nuovo nella mia terra natale.
A spingere Gogol’ in Italia c’erano però anche motivi di salute (non ho capito di cosa soffrisse esattamente): “Se nemmeno l’Italia mi aiuta, non so più cosa fare”, scrive durante il suo primo soggiorno romano, nel 1837. E anche negli anni successivi Roma - e l’Italia in generale - diventa sinonimo di salvezza. Per esempio nell’estate del 1840 Gogol’ si trova a Vienna quando comincia a star male - i sintomi sono un’irritazione nervosa, una forte pressione al petto e un disordine allo stomaco - tanto da temere per la sua vita.
Ma mi sembrava terribile morire in mezzo ai tedeschi. Ordinai loro di mettermi su una carrozza e di farmi portare in Italia. Arrivato a Trieste mi sentii meglio. Anche questa volta la strada, la mia unica medicina, ha prodotto il suo effetto. […] mi sono sentito meglio i primi giorni a Roma, almeno potevo fare una piccola passeggiata, anche se dopo ero stanco come se avessi percorso dieci verste. Ancora non riesco a capire come ho fatto a sopravvivere […]
Ogni volta che è costretto ad allontanarsi da Roma, Gogol’ la rimpiange - “la mia Roma, la mia bella meravigliosa Roma”, la definisce, “il mio paradiso promesso”.
Del resto Roma è anche l’unico luogo in cui Gogol’ riesce a scrivere della Russia, come spiega lui stesso in questo celebre passo, scritto a Mosca nel 18422:
Contenuta nella mia stessa natura è l’abilità di visualizzare un mondo solo quando mi sono molto allontanato da esso. È il motivo per cui posso scrivere della Russia solo a Roma. Solo lì sta davanti a me in tutta la sua enormità.
[…] Qui sento un ostacolo fisico allo scrivere. A Roma scrivevo davanti a una finestra aperta, rinfrescato dall’aria salubre che fa meraviglie per me.
Ci sono solo due cose che turbano lo scrittore nei suoi primi periodi romani. La prima è la notizia della morte del poeta Aleksandr Puskin, che per Gogol’ era un maestro e a cui aveva promesso di scrivere quello che diventerà il suo capolavoro, Le anime morte. Poi ci sono i problemi economici. Nell’aprile del 1837 Gogol si lamentava così con un suo amico, il poeta Zukovskij:
Ci si prenderebbe cura di me se fossi un pittore, anche un cattivo pittore; qui a Roma ci sono circa quindici dei nostri pittori mandati dall’accademia (alcuni di loro disegnano peggio di me); tutti ricevono 3000 [rubli, immagino] all’anno. Anche se diventassi un attore sarei garantito; gli attori prendono ciascuno 10,000 in argento e anche di più, e tu sai che non sarei un cattivo attore. Ma sono uno scrittore - e perciò devo morire di fame.
Alla fine Zukovskij riuscì a convincere lo zar Nicola I a versare 5 mila rubli a Gogol’. Sarà forse per questo rancore nei confronti delle altre arti che nelle lettere di Gogol’ non ho trovato riferimenti alla pittura, alla scultura e all’architettura di Roma. In compenso c’è una certa attenzione per la letteratura3. Qui scrive alla sua allieva Marja Balabina:
Probabilmente non ti è mai capitato di leggere i sonetti del poeta contemporaneo Belli, che, comunque, bisognerebbe sentire quando li legge di persona. In questi sonetti c’è così tanto sale, c’è un umorismo così totalmente inaspettato, e la vita degli attuali trasteverini è così fedelmente riflessa che rideresti […]. Sono scritti in Lengua romanesca; non sono stati pubblicati, ma te li manderò più avanti.
A noi è nota solo la letteratura epica degli italiani, la letteratura del XV e XVI secolo. Ma bisognerebbe sapere che nell’Ottocento già trascorso e anche alla fine del Settecento, gli italiani hanno rivelato una forte predilezione per la satira, per l’allegria. E se vuoi studiare lo spirito degli italiani contemporanei, devi studiarlo nei loro poemi comico-eroici. Pensa che la collezione di Autori burleschi italiani consiste di quaranta grossi volumi. Così tanto umorismo, un umorismo così originale, brilla in molti di loro che è strano che nessuno ne parli. Però devo far notare che solo le tipografie italiane possono stamparli. In molti di loro ci sono delle espressioni indecenti che non a tutti può essere permesso leggere…
A lungo andare però anche Roma perderà il suo influsso positivo. E Gogol’ non sentirà più quel profumo e quell’aria dolce che amava tanto. Nel 1846, durante un soggiorno a Napoli, scriveva così4 all’amico Zukovskij:
[…] ogni volta sono sempre tornato a Roma come nella mia patria. Ma adesso, passando per Roma, non vi ho trovato nulla che mi coinvolgesse, nemmeno la grande manifestazione di entusiasmo generale per l’elezione del nuovo Papa, persona davvero degna. Sono passato per Roma come si passa per una stazione di posta: il mio olfatto non ha percepito nemmeno quell’aria dolce che amavo tanto ritrovare ogni volta che vi tornavo; al contrario, i miei nervi hanno avvertito il contatto col freddo e l’umidità.
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Ai soggiorni dello scrittore nella Capitale è dedicato il saggio di Tommaso Landolfi che dà titolo alla raccolta Gogol’ a Roma, edita da Sellerio.
Nel 1842 Gogol’ pubblicò la novella Roma, pubblicata in Italia da Sellerio.
Si parla naturalmente dei Sonetti romaneschi di Giuseppe Gioachino Belli.
Questo brano l’ho trovato nell’utilissimo articolo “Roma di Gogol’ e la città eterna” di Rita Giuliani.