H. G. Wells tra pace e guerra
Fu tra gli scrittori inglesi che visitarono il fronte italiano durante il primo conflitto mondiale. Pacifista ma convinto della necessità della Grande guerra, fu anche l'inventore del primo "war game"
C’è una categoria di “viaggiatori” che ho deciso di non considerare nel lavoro di ricerca per il mio fumetto. Sono viaggiatori tra virgolette perché si tratta di uomini di guerra, generali, condottieri, soldati. Non ho voglia di dedicare spazio ad Annibale, Carlo Magno, Federico Barbarossa e Napoleone (anche se alcune lettere di Napoleone dalle campagne italiane lo meriterebbero)… preferisco il punto di vista degli artisti. Certo ci sono delle eccezioni, anche grosse: Stendhal ed Hemingway arrivarono in Italia per partecipare a delle guerre, ma erano giovanissimi e non credo che si possa definirli dei soldati.
La Prima guerra mondiale, la Grande guerra, invece fu “grande” anche perché tutti dovevano partecipare, tutti dovevano dare un contributo allo sforzo bellico. E nel 1916, con il conflitto in pieno stallo, il governo inglese chiese ai suoi migliori scrittori di contribuire alla propaganda. Fu così che autori come Arthur Conan Doyle, Rudyard Kipling e Herbert George Wells arrivarono in Italia per visitare e raccontare il fronte, dal Trentino all’Isonzo.
Dei primi due magari scriverò in un’altra occasione, qui vorrei concentrarmi sul caso di H. G. Wells, l’autore di La macchina del tempo e La guerra dei mondi, che secondo me è il più interessante. Per noi che sappiamo che cosa è successo dopo, è molto difficile capire come mai tutti fossero così convinti della necessità di quella guerra - “la guerra che metterà fine alla guerra”: così la definì proprio H. G. Wells in una serie di articoli dell’agosto 1914. Eppure lo scrittore si dichiarava un pacifista convinto. Ecco cosa scriveva, nel 1917, in War and the future, il libro che raccoglie le sue osservazioni dalle visite al fronte italiano e francese:
Io mi dichiaro un pacifista estremo. Sono contro l’uomo che prende per primo le armi. […] Non voglio semplicemente fermare questa guerra. Io voglio inchiodare la guerra nella sua bara. La guerra moderna è una cosa intollerabile. […] L’ho sempre odiata, per quanto la mia immaginazione mi ha permesso di concepirla; e ora che l’ho vista, spesso da vicino e per un mese intero, la odio più che mai. […] È chiaro dovere di ogni uomo dare la sua vita e tutto ciò che ha se in questo modo può aiutare a terminarla. Odio la Germania, che ha imposto questa esperienza all’umanità, come odierei una qualche orribile malattia contagiosa. La nuova guerra, la guerra a livello moderno, è una sua invenzione e un suo crimine. Mi rendo conto che dalla nostra parte e nel suo vasto perimetro, questa guerra non è nulla di più di un gigantesco tentativo di ingegneria sanitaria; un tentativo di rimuovere il militarismo tedesco dalla vita e dalle regioni che ha invaso1, e di arginarlo, screditarlo e fiaccarlo così che mai più ripeta i suoi attuali assurdi e orribili sforzi. […] È mia irremovibile convinzione che essenzialmente gli Alleati stiano combattendo per una permanente pace mondiale, che principalmente non stiano facendo la guerra ma stiano resistendo alla guerra, questo mi ha riconciliato con questa esperienza non molto congeniale di fare un tour, da spettatore elettrizzato, attraverso le zone di guerra.
Accompagnato dal capitano Pirelli (sì, il figlio dell’imprenditore milanese), Wells visitò prima il fronte dell’Isonzo, da Udine ad Aquileia fino a Gorizia, e poi le postazioni sulle Dolomiti. Sinceramente non ho trovato nulla di molto interessante in queste pagine: posso solo notare il fatto che, mentre un secolo prima per i viaggiatori inglesi gli italiani erano essenzialmente dei “selvaggi”, ora Wells li dipingeva come disciplinati, sobri, decisi. Rimase positivamente colpito perfino dall’incontro con il re Vittorio Emanuele III, anche se inizialmente non riuscì a riconoscerlo: “Non l’ho riconosciuto all’istante perché sui francobolli e sulle monete è sempre di profilo”, scrive, e io spero proprio che in questo ci sia almeno una traccia di sarcasmo (insomma non dice nemmeno che era basso!). È chiaro: gli italiani sono alleati e non si può parlarne male, anzi questi articoli servono proprio a far capire agli inglesi lo sforzo bellico in atto in Italia. Al momento della visita di Wells, inoltre, l’Italia si scontrava con l’Austria ma non aveva ancora dichiarato guerra alla Germania, cosa per cui gli inglesi spingevano.
Più efficaci, almeno secondo me, alcune descrizioni della vita dietro il fronte. Udine oscurata per evitare bombardamenti, un falò di oggetti tedeschi davanti al duomo di Milano, e poi l’indignazione di Wells per il bombardamento aereo che poco prima della sua visita aveva ucciso 35 persone in piazza delle Erbe a Verona. Sempre da Verona scrive:
Ho fatto uno speciale pellegrinaggio per vedere come stava quel monumento a Can Grande, lo Scaligero a cavallo col sorriso di traverso, per il quale confesso una ridicola ammirazione. Can Grande, posso dire con gioia, si è ritirato in una scatola di mattoni, sormontata da un ripido tetto di lastre di spesso ferro2; non esiste nessun aeroplano in grado di trasportare abbastanza bombe per schiacciare quel riparo; lì potrà sorridere in sicurezza finché non tornerà la pace.
Pace e guerra si alternano sempre nelle parole di H. G. Wells. Indagando un po’ di più ho scoperto che qualche anno prima, nel 1913, Wells aveva inventato quello che forse è il primo war game, il primo gioco di ruolo di guerra. L’idea nacque dopo un pranzo a casa di Jerome K. Jerome (l’autore di Tre uomini in barca), che in attesa del caffè si mise ad armeggiare con un cannoncino giocattolo, caricandolo per colpire dei soldatini. Utilizzando quel che avevano a disposizione in casa, i due scrittori - due uomini di mezza età, ricordiamolo! - riprodussero in breve un campo di battaglia sul pavimento e diedero delle regole al gioco.
Wells pubblicò tutto in Piccole guerre3 (edito in Italia da Sellerio): il racconto della genesi del gioco, il regolamento, esempi di battaglie, accompagnati da diverse fotografie e dalle illustrazioni di J. R. Sinclair4. Nel finale Wells scrive:
Quanto è meglio questa amabile riproduzione in miniatura della Vera Guerra! Ecco un rimedio omeopatico per l’ingegnoso stratega. Qui abbiamo la preparazione, l’eccitazione, e la tensione nell’ottenere la vittoria o il disastro - ma niente corpi schiacciati e sanguinanti, nessun bell’edificio distrutto né campagne devastate, nessuna crudeltà gratuita […] Io offro il mio gioco per un fine particolare e per uno generale; mettiamo il monarca baldanzoso e lo sciocco allarmista, gli eccitabili “patrioti”, gli avventurieri e tutti i professionisti della Welt Politik in un grande Tempio della Guerra, con tappeti di sughero dappertutto, e tanti piccoli alberi e piccole case da buttar giù, e città e fortezze, e soldati a non finire - a tonnellate, a cantinate - e lasciamo che conducano la loro vita lì, lontano da noi.
Il mio gioco è buono quanto il loro, ma più sano grazie alla sua taglia. Ecco la Guerra, ridotta a proporzioni razionali […]. Per quanto mi riguarda, io sono preparato. Ho circa cinquecento uomini, più di venti cannoni, e mi arriccio i baffi e dalla mia casa nell’Essex lancio la sfida verso est, attraverso il canale d’Inghilterra.
E poi c’è questa frase:
Vi basterà giocare a Piccole guerre tre o quattro volte per capire che errore madornale dev’essere una Grande guerra.
Nell’agosto del 1914 la Germania aveva invaso il Belgio e questo aveva trascinato nel conflitto l’Inghilterra. Per saperne di più come non consigliare le lezioni del professor Alessandro Barbero sulla Prima guerra mondiale al Festival della mente 2018?
In realtà la statua originale, che originariamente si trovava sopra la tomba di Cangrande in un portale laterale della chiesa di Santa Maria Antica, era già stata spostata nel 1909, nel Museo civico, e sostituita da una copia. Ora l’originale si trova al Museo di Castelvecchio.
Il sottotitolo era: “Un gioco per ragazzi dai 12 anni ai 150 anni di età e per le ragazze più intelligenti a cui piacciono i giochi e i libri da ragazzi”.
Non sono riuscito a trovare nessuna informazione in più su questo Sinclair, ma in questo articolo si ipotizza che si tratti di James Ramage Sinclair, artista scozzese nato nel 1866 a Edimburgo e scomparso nel 1816.