Il ritratto scomparso
Nel maggio del 1819, a Roma, l'intera famiglia Shelley posò per i pennelli della pittrice Amelia Curran: fu lei a dipingere il ritratto più famoso di Percy, ma che fine ha fatto quello di Mary?
Via Sistina, a Roma, è un lungo rettilineo che collega la collina del Pincio a piazza Barberini. Originariamente la via era ancora più lunga, circa 2,7 chilometri, e arrivava fino alla Basilica di Santa Maria Maggiore. La sua posizione collinare la rendeva una meta privilegiata per gli artisti stranieri, che qui trovavano un’aria più salubre rispetto ad altre zone di Roma. Abitarono qui lo scrittore russo Nikolaj Gogol’ e lo scultore danese Bertel Thorvaldsen. E nel 1819 abitava in via Sistina, al civico 64, proprio di fianco a Trinità dei Monti, anche la pittrice Amelia Curran.
Irlandese, figlia del politico e avvocato John Philpot Curran, Amelia era un’amica di vecchia data di Mary e Percy Shelley, pur essendo più grande di loro (aveva allora sui 45 anni). La incontrarono per caso un pomeriggio, passeggiando per Villa Borghese. Gli Shelley, che non amavano la vita di società e non frequentavano i salotti e le conversazioni, dovettero essere molto felici di incontrare a Roma un volto amico, tanto che si trasferirono anche loro in via Sistina (al civico 65). “Non conoscevamo essere vivente a Roma”, scrisse Mary in una lettera, “e stavamo iniziando a desiderare di andare in campagna, ma da allora abbiamo incontrato una vecchia amica, e questo ci ha indotto a rimanere di più”.
Uno dei motivi di questo prolungato soggiorno a Roma era che tutta la famiglia Shelley stava posando per i pennelli di Amelia. Percy, Mary, il piccolo William e anche la sorellastra di Mary, Claire Claremont, che fu con gli Shelley durante tutto il loro soggiorno in Italia ma che io ho deciso di non inserire nel mio fumetto1 (ho già troppi personaggi!). Fu dunque Amelia Curran a dipingere uno dei rari ritratti di Percy, e senza dubbio il più famoso.
Sospettavo già che questo ritratto non fosse particolarmente somigliante, ma non sapevo che anche Amelia non lo amava. Quando nel 1822 Mary le scrisse per avere il dipinto, la pittrice rispose:
Pensavo che nessuno avrebbe mai chiesto notizie del dipinto per cui ora mi scrivi: è stato eseguito così male, e sono stata sul punto di bruciarlo insieme ad altri prima di lasciare l’Italia. Fortunatamente l’ho salvato proprio mentre il fuoco stava cominciando a bruciacchiarlo, e ora si trova a Roma impacchettato insieme ad altri miei dipinti.
Non so perché questi personaggi di inizio ‘800 avessero l’abitudine di bruciare le cose. È anche per questo, credo, che abbiamo pochissime notizie di Amelia. Sappiamo solo che era arrivata a Roma nel 1818, che visse per un po’ a Napoli e poi di nuovo a Roma, dove morì nel 1847. La sua carriera artistica rimase probabilmente sempre a livello amatoriale, e le uniche opere della pittrice giunte fino a noi sono proprio i ritratti degli Shelley. Mary riuscì infine a ottenere il ritratto di Percy, ma solo nel 1826. Scrisse allora nel suo diario: “Il dipinto è arrivato, il mio Unico - i tuoi occhi che parlano, quell’aspetto mite e tuttavia animato”. Anche in questa occasione Amelia fece un po’ di autocritica:
Ho aspettato a scriverti finché non potevo dirti che, infine, ho trovato l’occasione di mandarti il dipinto per cui sei tanto ansiosa. Temo che ne rimarrai delusa. All’inizio lo condannasti, ricordo. Se riesci a ricavarne qualcosa di migliore [una copia], per favore conserva per me l’originale.
E in effetti il ritratto di Amelia fu la base per numerose copie realizzate negli anni successivi e pubblicate nelle varie edizioni delle opere di Percy. Solo di recente ho scoperto l’esistenza di un altro ritratto di Percy, un acquerello dipinto da Edward Ellerker Williams nel 1822, quindi poco prima della scomparsa del poeta. Anche questo non mi pare riuscito benissimo!
Il 28 maggio posò per Amelia anche Mary Shelley. Ma che fine ha fatto quel ritratto? Ce ne dà notizia, molti anni dopo, Edward John Trelawny, un conoscente degli Shelley famoso per essersi occupato della cerimonia funebre di Percy sulla spiaggia di Viareggio. Il corpo del poeta fu bruciato, tranne il cuore2, che Trelawny conservò e consegnò a Mary Shelley, incontrandola a Pisa nell’estate del 1822. Molti anni dopo Trelawny ricordò così3 quell’incontro, in cui si parlò anche del ritratto di Mary.
Narrai a lei e a quelli presenti un resoconto della cerimonia. Mrs. Shelley disse: “Ho scritto a Miss Curran a Roma perché dia a te il ritratto che fece di Shelley; non è finito, ma non ce n’è un altro, e sono molto ansiosa di averlo”. Dopo una pausa, aggiunse: “Ce n’è anche uno mio, ma non avrà valore per nessuno”. Io dissi “Per me, sì”. “Puoi averlo, ma non è finito, e lei mi ha dipinto come una gran sciattona4; non me ne importa nulla; il mio unico sincero desiderio è avere quello di Percy, e che tu prenda le più grandi precauzioni per farmelo avere intatto; è l’unico tesoro che ho, e so che starai attento che non gli accada nulla, perché tu gli volevi bene. Sono entrambi non finiti; avremmo dovuto posare di nuovo, ma non lo abbiamo fatto”. Eseguii questa commissione. Da allora Mrs Shelley non vide mai il suo ritratto, né espresse mai nessun desiderio di vederlo fino a quindici o venti anni dopo. Allora chiese o scrisse che desiderava che glielo facessi avere, dato che un suo particolare amico era molto ansioso di vederlo. Rifiutai questa richiesta, a parole o per iscritto, e dopo lei non ne fece mai più menzione.
Quando Trelawny morì, nel 1881, la nuora di Mary, Jane Gibson, scrisse per cercare di ottenere il ritratto eseguito da Amelia tanti anni prima, ma a quanto pare senza successo. Tuttora non si sa se il ritratto di Mary esista ancora né dove sia.
Ma torniamo in via Sistina nel maggio 1819. Amelia dipinse anche il ritratto di Claire Claremont, e soprattutto quello del piccolo William, che aveva allora tre anni e mezzo e che sarebbe morto poche settimane dopo, nel giugno del 1819, probabilmente di malaria. Negli ultimi giorni ho appunto disegnato le tavole relative a questo ennesimo lutto… La morte di William avveniva infatti a pochi mesi di distanza da quella della piccola Clara Everina, morta a Venezia nell’ottobre 1818. In questo caso però Mary e Percy furono molto più provati. Subito lasciarono Roma e partirono per Livorno. Mary entrò in uno stato di profonda depressione (i suoi diari si interrompono bruscamente). E Percy compose la poesia My lost William (Il mio perduto William) - qui si può vederla scritta di suo pugno.
Non avevo nessuna voglia né intenzione di disegnare la morte di un bambino, così, come faccio spesso davanti a situazioni particolarmente tragiche, ho cercato delle immagini per evocarla. Ne ho trovata una nelle strade di Roma: al civico 65 di via Sistina, dove abitavano gli Shelley, sorge infatti il Palazzetto Zuccari, conosciuto anche come “casa dei mostri” per via della caratteristica facciata che dà su via Gregoriana.