In gita sul Vesuvio
Per i viaggiatori il vulcano era una meta irresistibile, e per gli artisti, da William Turner a Andy Warhol, uno dei soggetti più rappresentati
Il Vesuvio esplode. Lo storico vulcano d’Italia scoppia nella più spaventosa e devastante eruzione degli ultimi 70 anni. Sopra il cratere ardente, una grande nube di fumo e ceneri si libra nel cielo. Per il popolo italiano è lo spettro gigantesco di pene infinite: dopo aver subito molti anni di brutale fascismo, poi l’occupazione tedesca, poi i bombardamenti alleati, poi la devastazione delle battaglie, ora tocca al Vesuvio.
Con queste parole un cinegiornale americano descriveva l’ultima eruzione del Vesuvio, avvenuta nel marzo del 1944, in piena Seconda guerra mondiale e con le truppe alleate a Napoli da pochi mesi. Da allora il vulcano è entrato in una fase di quiescenza, il cratere è “tappato” e sulle sue pendici cresce l’erbetta. Anche il pennacchio di fumo, che per anni aveva contraddistinto il panorama partenopeo, è scomparso.
La tranquillità odierna è analoga a quella che si era mantenuta per tre secoli prima della grande eruzione del 1631. Ma da allora, dal 1631 al 1944, si susseguirono una cinquantina di eruzioni1. All’epoca dei viaggi di cui mi sto occupando, tra ‘700 e ‘800, il Vesuvio era dunque in piena attività. Per i nostri viaggiatori era una meta irresistibile, e per gli artisti dell’epoca uno dei soggetti più rappresentati.
Goethe, Stendhal, Shelley, Twain… tutti si sono lanciati nell’ascensione del Vesuvio. Io avevo iniziato a disegnare quella di Goethe, che secondo me è la più avventurosa: lui vuole guardare proprio dentro il cratere, anche se in quel momento ne escono esplosioni, fumo e detriti.
Una scena per me difficile da immaginare, così per disegnarla ho fatto un po’ di ricerche. Quasi subito mi sono imbattuto in questa illustrazione, che è a tutti gli effetti un fumetto del 1767:
È opera del pittore napoletano Pietro Fabris e mostra la formazione di una montagnetta all’interno del cratere del Vesuvio, tra il luglio e l’ottobre del 1767. È una delle numerose e splendide illustrazioni che Fabris realizzò per Campi Phlegraei, il volume in cui Sir William Hamilton, allora ambasciatore inglese a Napoli, riportava le osservazioni sul Vesuvio raccolte nell’arco di diversi anni2.
Sir Hamilton è anche uno dei personaggi frequentati da Goethe durante il suo soggiorno a Napoli. Nel Viaggio in Italia ne parla diffusamente, e non può fare a meno di citare anche Lady Hamilton, e lo si può capire. Nata Amy Lyon, poi conosciuta come Emma, era un’attrice e modella dell’epoca - modella nel senso che posò per numerosi dipinti, spesso impersonando figure mitologiche (Circe, le Baccanti, Titania…). Come scrive Goethe:
Sir William Hamilton, che ancora risiede qui come ambasciatore dall’Inghilterra, dopo tanto amore per l’arte e dopo lunghi studi sulla natura, ha infine trovato la più perfetta realizzazione della natura e dell’arte in una bella e giovane donna. Vive con lui: è un’inglese di circa vent’anni. È molto attraente e di bell’aspetto.
Non sto divagando come sembra: la vicenda di Emma, il suo matrimonio con Sir Hamilton (e la sua successiva avventura con l’ammiraglio Nelson!), è stata raccontata da Susan Sontag nel romanzo The Volcano Lover (1992)3, che in copertina giustamente ha un’altra delle illustrazioni di Pietro Fabris.
Ma torniamo al vulcano vero e proprio. Il Vesuvio in eruzione era uno dei soggetti più dipinti, non solo per il suo fascino ma anche perché permetteva di sperimentare vari effetti di luce: poteva quindi mancare tra le opere di William Turner?
Anche chi non aveva mai assistito a un’eruzione di persona poteva provare a dipingerla: è il caso dell’inglese Joseph Wright of Derby, studioso della luce e delle tenebre, che raffigurò il Vesuvio almeno una trentina di volte. Insomma il vulcano partenopeo divenne una sorta di archetipo per i vedutisti napoletani e non, per almeno tre secoli. Nel 1985 il soggetto fu ripreso infine da Andy Warhol, che in quel periodo aveva visitato Napoli diverse volte: la sua serie dedicata al Vesuvio fu esposta nel 1985 nella mostra Vesuvius by Warhol, al museo di Capodimonte, come racconta qui la storica dell’arte Luciana Berti.
Così riporta l’Osservatorio vesuviano dell’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia).
La versione digitalizzata di Campi Phlegraei si trova qui.
Pubblicato in Italia da Nottetempo con il titolo L’amante del vulcano.