In viaggio con Virginia Woolf / 1
Seduta all'ombra in una giornata estiva in Toscana, oppure sdraiata sul divano a mangiare cioccolatini in un albergo di Venezia: i viaggi italiani della scrittrice sono contraddistinti dalla pigrizia!
“L’Italia - mio caro Rospo - prova solo a pensarci!”. Così scriveva, nel giugno del 1900, una diciottenne Virginia Stephen, che noi conosciamo meglio con il suo cognome da sposata: Woolf. Il Rospo a cui si rivolge la scrittrice inglese è l’amica Emma Vaughan, che in quel momento si trovava in Svizzera dopo aver visitato l’Italia - “perché mai tu abbia lasciato l’Italia, non riesco a capirlo”, le scrive Virginia.
Qualche anno dopo proprio l’Italia sarà la meta del primo viaggio all’estero della scrittrice, ed è solo la prima di tante vacanze italiane, sparse nell’arco di trent’anni di gite e vacanze in giro per l’Europa (si spinse fino in Turchia). Per descriverle tutte ho bisogno di spazio, per cui questa newsletter è eccezionalmente divisa in due parti (la prossima, tra una settimana!).
Tra la fine del 1903 e l’inizio del 1904 il padre di Virginia, Leslie Stephen, era gravemente malato. Quando infine si spense, Virginia, le sue sorelle e i suoi fratelli, reagirono a questa morte con la vita, come capita quando si è ragazzi. Ad aprile, per le vacanze di Pasqua, partirono per Venezia, senza però preoccuparsi di organizzare il viaggio e di prenotare un albergo. Il risultato è descritto in questa lettera:
Quando siamo arrivati qui a mezzanotte di sabato ci hanno detto che non c’erano camere né qui né da nessun’altra parte a Venezia. Alla fine abbiamo preso tre squallide camerette - e dormiamo insieme in un lurido posticino vicino piazza San Marco. […] Io e Nessa1 dormiamo insieme: è stravagante ma non si può evitare. Ovviamente siamo stati sciocchi a non organizzarci per tempo. […]
Abbiamo una camera proprio in cima, di fianco al Canal Grande: sotto sono ormeggiate tutte le gondole, e i gondolieri fanno un tale rumore che non riesco a pensare in modo coerente.
Questa scena mi ha entusiasmato così tanto che l’ho adattata in una tavola a fumetti (chi sottoscrive uno degli abbonamenti a pagamento di questa newsletter può trovarla in questo post).
Mi piace sempre molto quando i viaggiatori descrivono il loro primo ingresso in Italia. Qui lo fa anche Virginia Woolf.
È stato un viaggio eccitante, anche se è sembrato infinito. C’era una tempesta di neve sul San Gottardo: siamo scesi in un sole brillante, e i laghi erano di puro blu. Le montagne erano cosparse di neve. Non sembra una guida turistica? Vorrei che sapessimo l’italiano. È stupido dover parlare broken English e francese - e, davvero, veniamo imbrogliati ovunque. Ma [gli italiani] sono un popolo delizioso e noi - noi quattro, almeno - ci stiamo velocemente avvicinando al loro stato d’animo - una generale benevolenza.
L’opinione di Virginia Woolf sugli italiani cambia e spesso si contraddice: nella tappa successiva di questo primo viaggio, a Firenze, non le sembrano più un popolo così delizioso:
Non c’è mai stata una nazione più bestiale di questa per le sue ferrovie, le sue strade, i suoi negozi, per i suoi mendicanti e per molti dei suoi costumi. […] Siamo stati a Prato oggi e ha piovuto tutto il tempo e abbiamo visto l’unica cosa degna di una visita, e siamo stati fermati per strada da innumerevoli ragazzini, e storpi. Camminavamo più veloce degli storpi, ma un diavolo di ragazzo ha avuto la brillante idea di seguirci ovunque andassimo; e alla fine ha promesso di lasciarci in pace per due soldi. Non l’abbiamo pagato, e lui ci ha maledetto e se ne è andato. È mai esistita una nazione del genere?
Nel settembre del 1908 Virginia, che nel frattempo aveva cominciato a scrivere articoli per The Times Literary Supplement, era di nuovo in Italia. Visitò Milano, Siena, Perugia e Assisi insieme alla sorella Vanessa e suo marito, Clive Bell. Nel suo diario ci dà un’idea di che tipo di turisti fossero.
Siamo viaggiatori molto rilassati. Alla mattina ci immergiamo in una chiesa o in un museo, sediamo nelle nostra stanze all’ombra finché non è l’ora del tè, e tutto il nostro esercizio consiste in una tranquilla passeggiata al tramonto […]. È infinitamente piacevole sedersi e lasciar svanire il calore della giornata, finché si alza una brezza e si fa ora di cena.
Quasi sempre la meta della scrittrice non sono le grandi città, che spesso trovava troppo affollate e confusionarie: la Woolf preferisce la provincia, le campagne e le colline dell’Italia centrale in particolare. Nel suo diario e in alcune lettere descrive le vigne piene di grappoli ormai maturi, e la differenza tra la campagna inglese e quella italiana - “non mi sono mai abituata a quanto è spoglia l’Italia, l’erba è così spelacchiata”. L’Umbria doveva essere una delle regioni predilette nella cerchia di Virginia Woolf: nel 1908 la sua amica Margaret Symonds2 aveva appena pubblicato il volume The Story of Perugia:
Ho pensato anche a te - perché siamo andati a Perugia, e siamo stati al tuo hotel, e tutti i visitatori leggevano Miss Symonds, e parlavano di come fosse la migliore guida dell’Italia. Abbiamo creato un gran trambusto dicendo che ti conosciamo.
Anche nella primavera 1909 Virginia raggiunse la sorella e il cognato in Italia (a Firenze), ma l’unica lettera di questo viaggio venne scritta da Milano, sulla via del ritorno, ed è interessante perché la scrittrice stava viaggiando da sola.
Ora devo trovare la strada per la stazione, e poi scoprire qual è il treno giusto. Non so una parola di italiano, e anche in Inghilterra raramente trovo la strada giusta, così questa lettera è una specie di addio. Ho passato la notte scorsa con un gruppo di suore; sembravano estremamente serene e distaccate, ma non la smettevano di bisbigliare - se fosse a proposito dell’anima dei loro vicini, non lo so. Gli italiani sono un popolo affascinante - non vedo come possano evitarlo, con così tanta aria e così pochi slums [bassifondi? Quartieri malfamati?].
Il 10 agosto del 1912 Virginia si sposò con Leonard Woolf, scrittore, teorico politico e giornalista. La luna di miele fu un viaggio di sei settimane tra Spagna, Italia e Francia. È Leonard a sostituirsi a Virginia in questa lettera spedita da Venezia a fine settembre:
Virginia è molto pigra, ora è sdraiata sul divano e sta mangiando cioccolata e leggendo e guardando le figure, incluso il suo stesso ritratto, nello Strand Magazine3. Dovrebbe scriverti lei, ma sono sicuro che non lo farà prima del tè, così lo faccio io per lei.
Passeranno 15 anni prima che Virginia e Leonard rimettano piede in Italia, tuttavia la scrittrice provò nel frattempo a imparare l’italiano (non sarà l’ultima volta!): ecco una pagina da un suo quaderno del 1916, dedicata allo studio dei verbi irregolari.
In questi anni Virginia pubblicò i suoi primi romanzi - La crociera (1915), La signora Dalloway (1925) e Gita al faro (1927) -, oltre a numerosi racconti, e fondò insieme a Leonard una casa editrice, la Hogarth Press. La cito perché mi sono innamorato delle copertine disegnate da Vanessa Bell per i libri della sorella: ne metto una sola e rimando a questo bellissimo post.
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Vanessa Stephen, poi Vanessa Bell, sorella maggiore di Virginia. Fu una pittrice e disegnò molte delle copertine dei libri di Virginia.
Margaret (che Virginia chiama spesso Madge) era figlia del poeta John Addington Symonds. Aveva sposato il cugino di Virginia, Will Vaughan, ma nelle sue pubblicazioni manteneva il cognome del padre. Più grande di Virginia di 13 anni, Madge fu una delle figure più importanti nella vita della scrittrice: a lei confessò le sue prime ambizioni letterarie e a Madge dovrebbe essere ispirato il personaggio di Sally Seton ne La signora Dalloway (1925).
Lo Strand Magazine era una rivista letteraria inglese, attiva dal 1891 al 1950: pubblicava storie brevi o a puntate, ad esempio le avventure di Sherlock Holmes, di Arthur Conan Doyle.