Inventare la fotografia sul lago di Como
Nel 1833, sulle sponde del lago, William Talbot ebbe l'idea per creare la tecnica della calotipia. Vent'anni dopo Jane Martha St. John la usò per fotografare il lago e tutto il suo viaggio in Italia
Questa settimana ci prendiamo una pausa dai disegni perché ho scoperto una cosa che non sapevo: e cioè che la fotografia fu inventata durante un viaggio in Italia. Va bene, le cose sono un po’ più complesse di così, ma come vedremo c’è una parte di verità in questa frase. Ma andiamo con ordine.
Stavo cercando notizie su una fotografa che ho scoperto di recente: Jane Martha St. John, che nel 1856 fece un lungo viaggio in Italia documentando tutto in circa un centinaio di scatti. Non ho trovato grandi informazioni su di lei, se non che viene considerata una delle prime fotografe amatoriali e che nessuno si spiega dove questa ricca signora inglese di mezza età (aveva 55 anni all’epoca del suo viaggio in Italia) avesse imparato una tecnica allora nuovissima come quella della fotografia1. Con una prospettiva devo dire leggermente maschilista, si tende a pensare che debba esserci stato un uomo a spiegarle come usare una macchina fotografica e dove procurarsi tutta l’attrezzatura necessaria. E quest’uomo potrebbe essere William Henry Fox Talbot, uno dei pionieri della fotografia e in effetti cugino alla lontana di Jane Martha St. John.
Nel 1841 Talbot brevettò un procedimento fotografico chiamato calotipia. In pratica inventò i negativi, che consentivano di rendere riproducibili le immagini, a differenza di quanto avveniva per i dagherrotipi, sviluppati dal francese Louis Jacques Mandé Daguerre solo due anni prima, nel 1839. In questa “corsa alla fotografia” che vedeva rivaleggiare francesi e inglesi, Talbot fu senza dubbio il primo a pubblicare un libro illustrato da fotografie: uscì nel 1844 e si intitolava La matita della natura.
Questo titolo ha subito fatto drizzare le mie antenne da disegnatore, quindi sono andato a sfogliarlo2. Presentando le fotografie stampate nel suo libro (solo cinque!), Talbot ne parla come se fossero state disegnate dalla natura stessa, tramite la luce e alcuni procedimenti chimici:
Le tavole di questo lavoro sono state ottenute dalla semplice azione della Luce su carta sensibile. Sono state formate e create unicamente tramite mezzi ottici e chimici, e senza l’aiuto di qualcuno che avesse confidenza con l’arte del disegno.
Perché per Talbot la fotografia - o come la chiama lui, il “disegno fotogenico” - è senza dubbio una nuova arte. È interessante vedere come questi primi fotografi avessero comunque in mente il disegno, mi ricorda un po’ il modo in cui a volte oggi si parla dell’intelligenza artificiale. Talbot procede poi a spiegare come e dove gli è venuta l’idea per inventare questa nuova arte, ed ecco che arriviamo in Italia.
Uno dei primi giorni del mese di ottobre 1833, mi stavo divertendo sulle belle coste del lago di Como, in Italia, a fare dei disegni con la Camera Lucida di Wollaston, o per meglio dire, a provare a farli: ma con la più piccola dose di successo possibile. Perché quando il mio occhio era distolto dal prisma - dove tutto appariva bello - mi accorgevo che l’infida matita aveva lasciato sulla carta solo malinconiche tracce.
La Camera Lucida, un sistema di lenti brevettato nel 1806 dall’inglese William Hyde Wollaston, permette di proiettare un’immagine su un foglio e quindi di ricalcarla. È imparentato con la Camera Obscura. Dovrebbe essere tutto più chiaro dai disegni qui sotto. O volendo in questo video c’è l’artista inglese David Hockney che spiega come funzionano queste tecniche e come nel tempo sono state usate dagli artisti (da Vermeer a Caravaggio).
Dobbiamo quindi immaginarci Talbot sulla riva del lago di Como intento a ricalcare.
Dopo vari tentativi infruttuosi, misi da parte lo strumento e arrivai alla conclusione che il suo uso prevedeva una precedente conoscenza del disegno, che io non possedevo. Pensai quindi di provare di nuovo un metodo che avevo sperimentato molti anni prima. Questo metodo consisteva nel prendere una Camera Obscura e di proiettare l’immagine degli oggetti su un pezzo di carta trasparente su un pannello di vetro nel fuoco dello strumento. Su questa carta gli oggetti si vedono distintamente, e possono essere ricalcati con una matita con un certo grado di accuratezza, ma non senza molto tempo e fatica.
Questo mi portò a riflettere sull’inimitabile bellezza delle immagini del dipinto della natura che la lente di vetro della Camera proietta sulla carta nel suo fuoco - immagini incantate, creazioni di un momento e destinate a sparire rapidamente.
Fu nel corso di questi ragionamenti che mi venne l’idea… come sarebbe bello se fosse possibile far restare impresse queste immagini naturali in modo durevole, e farle rimanere fisse sulla carta! E perché non dovrebbe essere possibile? Mi chiesi.
Senza entrare nei dettagli, l’idea di Talbot era che le immagini non fossero altro che Luce, e che doveva esserci un modo per fissare l’azione della Luce sulla carta.
Ero allora un vagabondo nell’Italia classica, ed ero, ovviamente, impossibilitato a cominciare un’impresa di tale difficoltà, ma nel caso il pensiero mi fosse sfuggito da allora fino al mio ritorno in Inghilterra, scrissi una attenta nota, anche degli esperimenti che pensavo sarebbero stati i più utili a realizzare [questa idea].
Rientrato in patria, Talbot sviluppò infine la sua idea e creò la calotipia, proprio la tecnica fotografica che Jane Martha St. John utilizzò nel suo viaggio in Italia del 1856, una ventina d’anni dopo l’intuizione di Talbot sul lago di Como. Ecco che lei poteva fotografarlo.
L’album della fotografa, conservato al Paul Getty Museum di Los Angeles, per me è utilissimo perché in molti casi i suoi scatti ritraggono gli stessi luoghi frequentati dai miei viaggiatori, e così posso verificare di non aver disegnato troppi anacronismi, anche se lei li visitò qualche decennio dopo. Ad esempio, nella foto qui sotto, vediamo Cadenabbia, dove Mary Shelley soggiornò nel 1840.
Jane attraverso tutta l’Italia, dal lago di Como, Milano e Venezia, fino a Napoli, Salerno e Paestum. Come Mary e Percy Shelley prima di lei, durante il soggiorno a Napoli andò a visitare Baia: nel mio fumetto sono impazzito disegnando una scena in cui gli Shelley sbarcano in un molo davanti al Tempio di Venere a Baia. Seguivo una classica veduta, dipinta da molti pittori. Anche Jane scelse un’inquadratura simile, con il Castello di Baia sullo sfondo.
Recentemente ho disegnato una scena in cui Stendhal si dispera perché si è appena reso conto di star per compiere 50 anni; nel frattempo osserva il panorama di Roma da San Pietro in Montorio. Eccolo in uno scatto di Jane.
In molti casi gli scatti della fotografa inglese seguono le stesse inquadrature che fino ad allora avevano usato i pittori paesaggisti, ma a volte Jane ci sorprende ritraendo scorci inediti, come questa vista sul retro dell’Hotel des estrangers a Napoli, dove alloggiava.
Come in tanti scatti dei primi fotografi, non ci sono mai persone in questi scorci cittadini. Non ho capito se era una scelta voluta o se i tempi di esposizione erano ancora troppo lunghi… però Jane fotografò degli animali, come nel caso di questo carro trainato da bufali a Roma.
Non c’è nemmeno una foto in cui Jane ritragga se stessa (ma possiamo vederla qui). Spendiamo due parole su di lei. Prima di prendere il cognome St.John, la fotografa si chiamava Jane Martha Hicks Beach. Era nata nel 1801 in una ricca famiglia inglese. Anche se non era figlia unica, rimase per molti anni in famiglia, probabilmente per non lasciar sola la madre. Si sposò tardi, a 46 anni, quando conobbe Edward William St. John, di 14 anni più giovane di lei. Insieme fecero il viaggio in Italia da cui provengono queste foto.
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Ho fatto riferimento a queste note biografiche su Jane Martha St. John.
Un’edizione digitale è disponibile sul sito della New York Public Library.
Il prossimo fumetto sarà solo sul viaggio in Italia di Jane Martha ♥️