La disperazione dell'artista
Quando nel 1767 lo scultore svedese Johan Tobias Sergel arrivò a Roma fu sopraffatto dalla quantità di opere d'arte e di artisti più giovani e bravi di lui: "Bisogna studiare tutto da capo", si disse
L’impatto con l’Italia, per alcuni artisti, poteva essere un momento critico: oltre allo shock culturale descritto da molti, anche la bellezza dei capolavori dell’arte antica e del Rinascimento poteva mettere in crisi i viaggiatori (vedi la Sindrome di Stendhal!). È il caso dello scultore svedese Johan Tobias Sergel, che visse diversi anni nella Roma di fine ‘700 e che faticosamente si affermò come uno dei più importanti esponenti del neoclassicismo (ma qui scopriremo anche una vena molto più libera e giocosa, espressa dai suoi disegni1).
In una lettera del 1797 (scritta per mia fortuna in francese), Sergel ci racconta il suo arrivo a Roma: sopraffatto dalla quantità di opere d’arte e di artisti più giovani e bravi di lui, per mesi rimase in uno stato d’animo di malinconia e depressione.
Partii per Roma nel 1767, nel mese di giugno, vi arrivai nel medesimo anno il 12 di agosto, all’età di 27 anni. È da quel giorno che posso dire di aver cominciato i miei studi. Aprendo gli occhi sulla mia ignoranza, pieno di rimpianto per aver perduto gli anni della giovinezza, divenni malinconico e scoraggiato nel vedere la gioventù attorno a me piena di talenti. Ne fui talmente colpito che per tre mesi non potei combinare nulla. Il mio amor proprio era stato ferito. Avevo una certa reputazione in patria; Larchevesque2, contento di me, mi lodava sempre. Oso dire anche che mi attribuiva un certo talento, io gli credevo come a un Amico e a un Maestro, ma come rimasi deluso poi! Per riprendermi da quella condizione, che definirei infelice, feci un viaggio a Napoli. Il cambiamento d’aria, l’esercizio continuo insieme ad altri artisti mi rimisero in sesto e mi permisero di formulare il piano che poi seguii con scrupolo. Tornai a Roma verso Natale. Cominciai col dirmi: bisogna studiare tutto da capo.
Da buon neoclassicista, Sergel decise che esistevano solo due maestri: l’Antico e la Natura.
Dopo un anno di seri studi, animato dalla speranza, divenni sempre più infervorato man mano che mi vedevo avvicinarmi a quelli che mi avevano fatto disperare al mio arrivo a Roma. La notte e anche il giorno non erano fatti che per il lavoro. Tutti i piaceri sparivano davanti a me. Non respiravo che per studiare e migliorarmi. Negli intervalli facevo qualche disegno ispirandomi a Raffaello, Michelangelo, Domenichino e Annibale Carracci. Proseguii così per tre anni, poi volli vedere che progressi avevo fatto. Modellai il Fauno appoggiato su un otre di vino.
Ebbi la fortuna di riuscire al punto che la mia reputazione nacque dal giorno in cui lo mostrai in pubblico. Ebbi la soddisfazione di attirarmi della stima e dell’invidia. Dopo questa prova mi misi a studiare di nuovo, e ogni anno facevo il punto dei miei studi lavorando a un modello originale. Il Diomede mi fu commissionato in marmo da Milord Talbot, lo eseguii in grande.
Opere e studi si susseguirono alternandosi. Cominciai il gruppo di Amore e Psiche per Madame Dubarry. La morte di Luigi XV mandò in rovina le sue finanze, mi liberai dal mio contratto e quello stesso gruppo è attualmente in Svezia, e sarà collocato nel Tempio dell’Amore a Haga3.
Negli anni romani Sergel strinse amicizia con il pittore svizzero Johann Heinrich Füssli. Anche Füssli si era concentrato sulla malinconia, in questo caso suscitata dalla vista dei capolavori dell’antichità ormai in rovina.
A quanto pare Sergel e Füssli erano inseparabili ed entrambi mostravano un lato molto più ironico e giocoso nei loro disegni, molto meno “severi” rispetto alla loro produzione ufficiale. Spesso si ritraevano a vicenda. Qui ad esempio Füssli disegna lo studio romano dell’amico svedese…
…mentre Sergel qui disegna una caricatura di Füssli.
Mentre le sculture di Sergel non mi dicono molto, sono rimasto affascinato dai suoi disegni: non vorrei dire eresie ma li trovo molto “fumettosi”!
Sergel, “con molti rimpianti”, lasciò Roma nel 1778, quando fu richiamato a Stoccolma dal re Gustav III. Ma qualche anno dopo vi tornò proprio insieme al sovrano:
Nell’anno 1783 rifeci il viaggio a Roma con Gustav III e rimasi fuori nove mesi; quel periodo fu uno dei più felici della mia vita. Visitai di nuovo l’Italia con il Monarca più illuminato, più affabile che la terra abbia mai prodotto. Un ricordo che mi sarà caro fino al mio ultimo momento.
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Quasi tutte le immagini usate qui arrivano dalla collezione on line del Nationalmuseum di Stoccolma.
Pierre Hubert L’Archevêque era uno scultore svedese e fu direttore dell’Accademia delle Arti di Stoccolma dal 1768 al 1777.
Si tratta dell’Hagaparken, vicino Stoccolma. Il Tempio dell’amore a cui fa riferimento Sergel oggi non c’è più, fu demolito nel 1869.