Le Leopoldine
Sotto Pietro Leopoldo I, a fine '700, si diffuse in Toscana un particolare tipo di casa contadina. È forse in una di queste che vissero gli Shelley nel loro soggiorno a Livorno, nell'estate del 1819
Alcuni nostri amici abitavano allora nelle vicinanze di Livorno, e prendemmo una piccola casa, Villa Valsovano, circa a metà strada tra la città e Monte Nero, dove soggiornammo durante l’estate. La nostra villa si trovava in mezzo a un podere; i contadini cantavano mentre lavoravano sotto le nostre finestre, nell’afa di un’estate molto calda, e alla sera la carrucola del pozzo cigolava mentre si procedeva a irrigare, e le lucciole brillavano tra le siepi di mirto: la Natura era luminosa, solare, e gioiosa, o variata da tempeste di un terrore maestoso, come non ne avevamo mai viste prima.
In cima alla casa c’era una specie di terrazza. È spesso così in Italia, e di solito hanno anche un tetto: questa era molto piccola, tuttavia non solo aveva un tetto ma anche delle finestre. Shelley ne fece il suo studio; dava su un ampio panorama di campagna fertile, e dominava la vista del mare vicino.
Potrei sbagliarmi ma credo proprio che in queste righe1 Mary Shelley stia descrivendo una tipica casa leopoldina, vale a dire la caratterista casa colonica toscana progettata e costruita nella seconda metà del ‘700, durante il governo di Pietro Leopoldo I. A dire la verità esiste ancora una Villa Valsovano a Livorno, anche se non corrisponde più alla descrizione data dalla scrittrice: non è più un podere circondato dalla campagna, ma una palazzina in mezzo a molte altre, alla periferia della città. Ma nel 1819 poteva benissimo essere una casa leopoldina. I toscani forse avranno già ben presente di cosa sto parlando, invece io non sapevo nulla di questa caratteristica casa contadina, e come mi capita spesso sono sprofondato nelle ricerche. E ora riemergo con la storia delle Leopoldine.
Pietro Leopoldo I fu granduca di Toscana dal 1765 al 1790: era in realtà nato a Vienna ed era un esponente della dinastia degli Arburgo-Lorena, e infatti a un certo punto tornò in Austria per assumere il titolo di Imperatore del Sacro romano impero, dal 1790 al 1792. Era uno di quei sovrani illuminati che si incontrano ogni tanto nella storia del ‘700 e varò un gran numero di riforme, tutte tese a razionalizzare e modernizzare l’amministrazione dello stato, anticipando alcune delle caratteristiche che nei decenni successivi avrebbero assunto gli stati moderni. Abolì alcuni residui dell’epoca feudale, limitò il potere del clero, e soprattutto durante il suo regno vennero abolite la tortura e la pena di morte, proprio come aveva proposto Cesare Beccaria nel suo Dei delitti e delle pene (1764).
Pietro Leopoldo si occupò anche di agricoltura, e la bonifica della Val di Chiana e di alcune parti della Maremma gli permisero di sperimentare nuove idee anche in questo campo. Sui nuovi terreni bonificati nacquero così nuove case contadine, poi dette Leopoldine appunto, progettate con lo scopo di razionalizzare la produzione e un po’ anche per migliorare le condizioni di vita dei contadini. La costruzione dei nuovi poderi si basava sulle idee esposte dall’ingegnere granducale Ferdinando Morozzi2 nel trattato Delle case de’ contadini (1770).
Secondo Morozzi la casa contadina andava costruita al centro del podere, e possibilmente al riparo dai dannosi venti meridionali.
Sia di mura grosse per cause de’ Venti, e Freddo, sia piuttosto bassa che alta, a motivo dico de’ detti Venti, semplice e luminosa, di stanze grandi per la miglior traspirazione.
A seconda del territorio - montagna, piano o collina - ogni podere doveva avere delle particolari caratteristiche. Ma in generale, secondo le idee di Morozzi, una casa colonica doveva essere composta da un pian terreno in cui svolgere tutte le attività, poi un pozzo, un forno, una cisterna per l’acqua, una tinaia, le stalle, un chiostro e una scala esterna. La cucina e le stanze dei contadini si trovavano invece al primo piano, insieme al granaio e a vari magazzini, oltre a una loggia coperta dove lavorare in caso di pioggia. E infine una colombaia, a mo’ di torretta, che diventerà poi la caratteristica principale delle case leopoldine.
Forse la parte più interessante del trattato di Morozzi riguarda la vita dei contadini, che, mi pare, venivano visti come strumenti più che come esseri umani! La casa era progettata per ospitare dalle 14 alle 16 persone, ma gli spazi erano quasi tutti dedicati al lavoro, tranne un’ampia cucina, detta anche Sala del contadino, e le camere. Morozzi raccomanda questo:
La principal cura è quella di non dare a’ Contadini una Camera per ciascheduno, ma sempre procurare che siano due letti per Camera a motivo dell’emulazione nel levarsi la notte a rivedere i Bestiami, e per esser solleciti la mattina al lavoro.
La Camera poi del Capo di Famiglia deve esser quella dove possa vedere, o sentire, se i sottoposti sono solleciti alle faccende per poterli correggere in caso di mancanza.
Le Finestre è vantaggioso che siano piuttosto piccole che grandi, a motivo de’ Venti a cui sono sottoposte le Case dei Contadini particolarmente di Montagna, ed in esse Camere bisogna ricordarsi di immurarvi de’ Cavicchi per attaccarvi le umili loro vesti.
Le case leopoldine si diffusero soprattutto nelle aree da poco bonificate, e infatti ancora oggi sono un elemento tipico della Val di Chiana (nel 2019 la Regione Toscana e una serie di Comuni hanno varato un progetto per ristrutturarle e riqualificarle). Cercando riferimenti per la casa degli Shelley sono capitato, su Google Maps, in uno stradone detto “La via delle Leopoldine”, in cui in effetti diverse Leopoldine si susseguono una dopo l’altra3. Siamo a Montecchio, tra Castiglione Fiorentino e Cortona, in provincia di Arezzo. Trovo affascinante che, pur seguendo sempre le indicazioni date a suo tempo da Morozzi, le Leopoldine siano comunque tutte diverse, ognuna con una sua piccola particolarità.
Ora non sono sicuro che la dimora degli Shelley a Livorno, Villa Valsovano, fosse proprio una Leopoldina, però non ho resistito alla tentazione di disegnarla così.