L'inferno di Dostoevskij
Tra il 1868 e il 1869 lo scrittore russo visse diversi mesi a Firenze. Ma temeva l'arrivo dell'estate e avrebbe voluto andarsene prima: invece si ritrovò bloccato nella "vera arsura dell'inferno"
Considerando che questa newsletter va avanti da più di un anno, è sorprendente che ci siano artisti importantissimi di cui non ho ancora mai scritto. Ma l’argomento “viaggio in Italia” è inesauribile, e davvero tutti sono passati da qui. Poteva mancare Fëdor Dostoevskij? Certo che no. Ecco cosa scriveva in una lettera del 1861:
Quante volte fin dalla mia infanzia ho sognato di dare un’occhiata all’Italia! Dall’età di otto anni, quando lessi i romanzi della signora Radcliffe1, tutti gli Alfonsi, Caterine e Lucie rimasero impressi nella mia mente. E i Don Pedro e le Donna Clara continuo a sognarli anche oggi. Poi venne Shakespeare, con la sua Verona, Romeo e Giulietta, cielo quanto erano affascinanti! In Italia! In Italia! Ma invece che in Italia sono finito a Semipalatinsk [in Siberia] e prima nella Casa dei Morti. Davvero non riuscirò a vedere l’Europa? Dovrò morire senza aver visto niente?
Qui Dostoevskij si riferisce alla sua prigionia e all’esilio in Siberia a cui fu costretto per molti anni. Solo nel 1859 i provvedimenti contro di lui caddero e gli fu permesso di tornare a San Pietroburgo. Cominciò così a pensare a un viaggio in Europa: nel 1862 visitò diverse capitali e nel 1863, a 42 anni, arrivò per la prima volta in Italia.
Non fu però il viaggio di piacere che aveva sperato! Proprio mentre Fëdor era via, suo fratello Mikhail si trovò costretto a chiudere la rivista Vremja (Tempo), da lui fondata e diretta, ed era alle prese con molti debiti. Fëdor pensò di risolvere la cosa tentando la fortuna giocando alla roulette. In questo viaggio era inoltre accompagnato da una donna, Polina Suslova, mentre la sua prima moglie, Maria Dimitrievna Isaeva, era rimasta in Russia per via di una malattia.
Insomma, quando nel settembre del 1863, Dostoevskij arrivò a Torino, si trovava nei guai, come raccontò in questa lettera al fratello Mikhail (che lui chiama Misha).
Tu dirai: come puoi giocarti i tuoi ultimi soldi quando stai viaggiando con qualcuno che ami. Misha, amico mio! A Wiesbaden ho inventato un sistema di gioco, l’ho messo in pratica e ho vinto subito 10 mila franchi. La mattina dopo, per l’eccitazione, non sono stato fedele al mio sistema, e ho perso subito. La sera sono tornato di nuovo al mio sistema, con estremo rigore, e immediatamente e senza nessuno sforzo ho vinto 3 mila franchi. Dimmi quindi come potevo evitare di farmi trascinare, come potevo non credere che se avessi seguito quel sistema, la fortuna sarebbe stata nelle mie mani? E ho bisogno di soldi, per me, per te, per mia moglie, per la scrittura del mio romanzo. Qui si fanno vincite di migliaia [di franchi?] come se fosse uno scherzo. Sì, sono venuto qui con l’idea di salvare voi tutti e di tirarmi fuori dai guai.
Non dire niente a nessuno della mia situazione. È un segreto, le mie perdite, voglio dire.
A Torino - che trovò noiosissima - Fëdor non riusciva a scrivere nulla, e quel che scriveva lo strappava. Ma pochi giorni dopo, da Roma, le sue disavventure avevano generato evidentemente l’idea di un romanzo, come Dostoevskij raccontò in questa lettera all’amico e critico letterario Nikolay Nikolayevitch Strachov.
Ho (quella che mi pare) un’idea molto buona per una storia. La gran parte è già stata buttata giù su pezzettini di carta. Ho anche cominciato la stesura definitiva, ma per prima cosa fa troppo caldo qui, e come seconda non voglio passare più di una settimana a Roma; come potrebbe qualcuno, rimanendo solo otto giorni in una città come Roma, dedicarsi alla scrittura? Tutto questo girare mi stanca immensamente.
La mia storia descriverà una figura tipica, il russo che vive all’estero. […] La vera idea però sta nel fatto che lui ha sprecato tutte le sue sostanze, energie, talenti alla roulette. È un giocatore, ma non un giocatore comune…
Il romanzo, intitolato Il giocatore, uscirà effettivamente qualche anno dopo, nel 1866.
Di questo primo viaggio in Italia non sono riuscito a sapere molto, se non che Dostoevskij visitò anche Napoli. È molto più ricco di avvenimenti il secondo soggiorno in Italia, che si prolungò per diversi mesi tra il 1868 e il 1869.
Nel frattempo, in Russia, il fratello Mikhail e la moglie Maria erano entrambi morti nel 1864. Dostoevskij aveva pubblicato Delitto e castigo nel 1866 e aveva conosciuto la sua seconda moglie, Anja Grigoryevna Snitkina, che aveva lavorato come dattilografa proprio alla stesura de Il giocatore. Si sposarono nel 1867. Quasi subito decisero di partire per l’Europa, ma anche in questo caso non si trattava di un viaggio di piacere. In una lettera spedita da Ginevra nell’agosto 1867, Dostoevskij spiegava i due motivi che lo avevano spinto a lasciare la Russia:
Ci sono due ragioni principali: in primo luogo, dovevo salvare la mia salute e anche la mia vita. Gli attacchi [di epilessia] si ripetevano ogni otto giorni, ed era insopportabile sentire e rendermi conto della distruzione dei miei nervi e del mio cervello. […] La seconda ragione era che i miei creditori non erano più disposti ad aspettare, e il giorno della mia partenza sono state emesse diverse denunce contro di me.
Fëdor e Anja si rifugiarono in Svizzera, dove lei rimase incinta. Ma lo scrittore sentiva moltissimo la mancanza della Russia:
Come fanno le persone a sopportare questa vita all’estero? Per Dio, senza casa la vita è una tortura. Posso capire andare all’estero per sei mesi, o anche per un anno. Ma viaggiare, come faccio io, senza sapere e nemmeno immaginare quando si sarà di nuovo a casa, è pessimo e doloroso. Il solo pensiero è difficile da sopportare. Ho bisogno della Russia per il mio lavoro, per la mia vita.
Le cose peggiorarono quando la primogenita di Fëdor e Anja, Sonja, nata all’inizio del marzo 1868, morì di polmonite a soli tre mesi. È a questo punto che la coppia decise di varcare il passo del Sempione e trasferirsi in Italia. La prima tappa, nel novembre del 1868, fu Milano.
Ho sofferto molto di crisi epilettiche e di altri attacchi nervosi. Anche mia moglie stava male. Così abbiamo attraversato il Sempione (l’immaginazione più ardente non potrebbe descrivere la bellezza del Passo Sempione) verso l’Italia, e ci siamo stabiliti a Milano; i nostri mezzi ci impedivano di andare oltre.
A Milano certo piove parecchio, ma il clima mi si adatta straordinariamente bene. Tuttavia si dice che le crisi siano molto frequenti a Milano; ma forse me ne sarà risparmiata una. Vivere a Milano è molto costoso. È una città grande, importante, ma non molto pittoresca e in qualche modo non italiana. Nelle vicinanze, in effetti, a mezz’ora di treno da Milano, si trova lo splendido lago di Como, ma non ci sono ancora stato questa volta. L’unica attrattiva in città è il famoso Duomo; è di marmo, gigantesco, gotico, ornato come una filigrana, fantastico come un sogno.
In breve però Dostoevskij giudicò Milano troppo cupa. I medici e le guide consigliavano Venezia - il cui clima avrebbe dovuto essere d’aiuto per le sue crisi epilettiche (ma perché??) - ma lo scrittore preferì Firenze, dove sapeva di poter trovare giornali e libri in russo, cose che gli mancavano enormemente.
Già, perché gli anni dal 1865 al 1871 sono quelli in cui Firenze fu Capitale d’Italia. Dostoevskij, che l’aveva vista già nel suo viaggio precedente, descrisse così il cambiamento avvenuto:
Ora Firenze è in un certo senso più rumorosa e più variopinta. C’è una terribile calca per le strade, molte persone sono accorse qui perché è la capitale. Vivere qui costa molto più di prima, ma rispetto a San Pietroburgo è ancora molto economica.
Come si sarà ormai capito, nelle lettere di Dostoevskij non c’è spazio per descrizioni di paesaggi o dei capolavori dell’arte italiana, ci sono solo brevissimi accenni. A Firenze però lo scrittore almeno fa una citazione per la Madonna della seggiola di Raffaello.
Firenze è bella ma molto umida. Ma le rose fioriscono ancora all’aperto nel Giardino di Boboli. E che tesori ci sono nei musei! Dio, avevo esaminato la Madonna della seggiola nel ‘63, avevo passato una settimana a guardarla e solo ora l’ho vista davvero.
A Firenze Dostoevskij finì di scrivere L’idiota e Anja rimase nuovamente incinta. Da quel che ho capito i fiorentini sono molto fieri di aver ospitato Fëdor2, tuttavia lui non ricambiava del tutto, secondo me. A parte la sempre più feroce nostalgia per la Russia e la cronica mancanza di denaro, lo scrittore già nel maggio del 1869 temeva l’arrivo della calura estiva (viste anche le condizioni di Anja). Tentò di andarsene in tempo, ma non riuscì a racimolare denaro sufficiente.
Sono rimasto così a lungo bloccato a Firenze solo perché non avevo soldi per lasciarla. Bene, caro amico, raccogli tutto il potere della tua immaginazione e prova a pensare a cosa siamo andati incontro noi a Firenze, per gli interi mesi di giugno e luglio e metà agosto! In tutta la mia vita non ho mai provato nulla del genere! Le guide diranno anche che Firenze, per via della sua posizione, d’inverno è la città più fredda d’Italia (intendono la vera Italia, cioè l’intera penisola); ma d’estate, è la città più calda di tutta la penisola, e anche di tutta la regione del Mediterraneo - solo alcune parti della Sicilia e dell’Algeria possono raggiungere Firenze per il caldo. Ecco, era caldo come l’inferno, e noi l’abbiamo sopportato come dei veri russi, che come si sa possono sopportare qualsiasi cosa.
Le nostre finestre davano sulla piazza di un mercato con arcate e splendidi pilastri di granito; nella piazza c’era una fontana municipale sotto forma di un gigantesco cinghiale di bronzo3 dalla cui gola scorreva l’acqua (è un capolavoro classico di rara bellezza). Bene, ora considera che tutti quei portici e i massi di pietra da cui l’intera piazza è circondata bevevano e accumulavano il calore del sole e diventavano bollenti come i tubi in un bagno a vapore - quella era l’atmosfera in cui dovevamo vivere. La vera arsura, ecco, la vera arsura dell’inferno, sotto cui abbiamo dovuto gemere per sei settimane (prima era a malapena sopportabile); c’erano sempre 34 o 35 gradi Reaumur4 all’ombra. Devi sapere che l’aria, nonostante l’afa e la siccità (non ha piovuto nemmeno una volta), era meravigliosamente leggera; il verde nei giardini (ce ne sono incredibilmente pochi a Firenze; non si vede quasi solo altro che pietre) - il verde non seccava né appassiva, ma sembrava ogni giorno più brillante e più fresco; i fiori e gli alberi di limoni a quanto pareva non aspettavano altro che il caldo; ma quello che mi stupiva di più - a me, che ero imprigionato a Firenze da una circostanza deplorevole - era che i viaggiatori stranieri (quasi tutti molto ricchi) per la maggior parte rimanevano a Firenze; anzi ne arrivavano di nuovi ogni giorno. Di solito i turisti di tutta Europa, all’inizio della stagione calda, si ammassano nelle spa tedesche. Quando ho visto per le strade donne inglesi ben vestite, e perfino francesi, non riuscivo a capacitarmi del perché queste persone, che avevano soldi per andarsene, rimanessero volontariamente in un tale inferno. Più di tutto mi dispiaceva per la povera Anja. La poveretta era allora al settimo o ottavo mese, e così soffriva tremendamente per il caldo. In più, la popolazione di Firenze passa l’intera notte in piedi, e si canta parecchio. Ovviamente noi avevamo le finestre aperte la notte; poi verso le cinque del mattino la gente inizia a far chiasso al mercato, e gli asini a ragliare, così che non riuscivamo mai a chiudere occhio.
Questo resoconto Dostoevskij lo scrisse da Dresda, quando finalmente era riuscito a partire da Firenze. Ora anche io non sopporto il caldo, e abito a Bologna che in quando ad afa estiva ha poco da invidiare a Firenze: potevo non trasformare tutto il racconto di Dostoevskij in un fumetto? Ecco qui una prima tavola:
Prima di lasciare definitivamente l’Italia, passando da Trieste, Fëdor e Anja si fermarono due giorni a Venezia. Per fortuna, l’ultimo loro ricordo dell’Italia è positivo!
Quando Anja ha visto piazza San Marco e i palazzi, ha quasi gridato per la gioia.
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Ann Radcliffe, scrittrice inglese, visse a cavallo tra il ‘700 e l’800 e fu una delle più importanti esponenti del romanzo gotico. Le sue opere erano spesso ambientate in Italia, come A Sicilian Romance (1792) e The Italian (1797), anche se non ho capito quali siano esattamente quelle a cui si riferisce Dostoevskij.
Oltre a una targa vicino a Palazzo Pitti, nelle cui vicinanze Dostoevskij abitò per un po’, da qualche mese c’è anche una statua dello scrittore russo al Parco delle Cascine.
È la Fontana del Porcellino, quindi Dostevskij abitava nei pressi della Loggia del mercato nuovo.
Il grado Réamur prende nome dal fisico francese René-Antoine Ferchault de Réaumur, vissuto tra ‘600 e ‘700. Il grado Réamur è un po’ diverso rispetto ai nostri gradi Celsius, la temperatura qui indicata da Dostoevskij corrisponde a 42-43° Celsius: decisamente caldo!