Perdersi e ritrovarsi ad Amburgo
Diario con tante foto da Amburgo, dove ho presentato Viaggio in Italia al locale Istituto italiano di cultura. Ospiti speciali: i Beatles, Giorgio De Chirico e vari tassisti
Il tassista che mi accompagna in aeroporto non assomiglia a Robert De Niro, anche se potrebbe essere un suo coetaneo. Di sicuro è matto come il protagonista di Taxi Driver. A Bologna è l’ora di punta, piove e rimaniamo imbottigliati nel traffico per un bel tratto di strada. Ma appena riesce a divincolarsi dalle altre auto, il taxi si lancia a tutta velocità lungo la via Emilia; a un incrocio pedonale compaiono due agenti della municipale, uno si sporge sulla carreggiata e fa segno di rallentare, ma il mio tassista non ci pensa nemmeno, con un tocco del volante lo scansa e continua a correre, ridacchiando e commentando qualcosa che non capisco in bolognese stretto. Io rimango muto, perché i miei timori sono tutti concentrati sullo scalo che dovrò fare a Francoforte per arrivare ad Amburgo. Tutte le volte che sono passato da Francoforte (ciao Goethe!) sono stato costretto a rimanere a dormirci, per un ritardo o addirittura, una volta, per l’evacuazione di un intero terminal (si scoprì poi che era tutta colpa di una famiglia francese che aveva saltato i controlli di sicurezza). Stavolta invece va incredibilmente tutto liscio. Appunto solo una differenza sonora tra il volo Bologna-Francoforte, con chiacchiere e vociare tipicamente italiani, e il volo Francoforte-Amburgo, dove tutto si svolge in teutonico silenzio.

Sono ad Amburgo come ospite dell’Istituto italiano di cultura, per un workshop e una presentazione del mio graphic novel Viaggio in Italia (Coconino Press). Comincio dalla fine e dunque da questa sala - è la biblioteca dell’istituto- piena di italiani e tedeschi.
Accanto a me c’è Francesca Bravi dell’università CAU di Kiel che non solo modera ma traduce le mie lunghissime risposte. Devo dire che lo staff dell’istituto (Francesca, Stefania, Judith) mi ha immediatamente adottato, insieme a Gabriele, curatore della mostra Italia Rand Tour (vedi post precedente) che io ho idealmente chiuso1.

Amburgo ieri e oggi
Arrivo ad Amburgo pochi giorni dopo le elezioni e la città è ancora disseminata di manifesti, perché si deve ancora votare per la Città stato di Amburgo. Questi cartelloni mi fanno una strana impressione: non capendo le scritte, mi concentro sulle immagini e sembra che tutti i partiti abbiano fatto la stessa scelta grafica, ci sono solo facce da cui è impossibile capire la collocazione politica. Posso solo notare una maggioranza SPD - del resto Amburgo rimane una loro roccaforte: qui i socialisti hanno preso il 33%, i Verdi e la Cdu sono attorno al 19%, la Linke all’11% mentre l’Afd si è fermato al 7,5%. Sicuramente il volto più presente è quello di Peter Tschentscher della Spd, già primo sindaco della città.
Comunque non fa troppo freddo e posso lanciarmi in un lunghe passeggiate. Prima della partenza non mi sono preparato più di tanto, e in generale in tutto questo viaggio, come vedremo, non ho trovato le cose che cercavo ma in compenso ne ho scoperte molte altre inaspettate.
In quanto porto più importante della Germania, Amburgo fu una della città più duramente bombardate dagli Alleati durante la Seconda guerra mondiale: l’operazione Gomorra, lanciata nell’estate del 1943, fu particolarmente devastante, come si intuisce dal nome. Ma anche prima della guerra Amburgo fu periodicamente distrutta da incendi (il più grave nel 1842), tanto che uno dei simboli della città è un portatore d’acqua chiamato Hans Hummel. Di conseguenza non rimane quasi nulla di “antico”, la città è tutta ricostruita e anzi continua a cambiare volto molto velocemente. Ma sono comunque passati 80 anni e anche gli edifici e le strutture “nuove” cominciano ad avere una patina di antichità. È tutto molto industriale e portuale, mattoni rossi e ferro battuto, ma ogni tanto compare qualche palazzina o qualche elemento liberty. Su tutto spiccano le guglie delle cattedrali gotiche, che sotto questo cielo blu velluto spento2 assumono tutto un’altro significato.

La chiesa di St. Nikolai è l’unica “originale”. O meglio quello che ne rimane dopo i bombardamenti, oggi trasformato in un memoriale. L’altissima guglia, annerita non so se dalle bombe, dal tempo o dallo smog, sembra un enorme tizzone di carbone che spicca verso il cielo. È abbastanza impressionante e in effetti dà l’idea della devastazione.
Il viandante
Approfitto di una mattina di pioggia per visitare la Kunsthalle, il museo di storia dell’arte di Amburgo. Mi hanno già avvertito che non troverò quello che volevo vedere, e cioè il dipinto più famoso di Caspar David Friedrich, Il viandante sul mare di nebbia. Mi sembra molto buffo: Friedrich non ha mai viaggiato3 e adesso invece lo fanno i suoi dipinti. Il viandante è addirittura andato oltreoceano, per una grande mostra al Met di New York. E così gli altri suoi dipinti ospitati alla Kunsthalle, dove alcune sale sono desolatamente vuote.
Mi consolo però imbattendomi in una veduta del cimitero degli inglesi a Roma, dipinta nel 1848 dal pittore danese Thorald Læssøe. È uno dei soggetti che disegno più spesso come dedica sulle copie di Viaggio in Italia, quindi mi sembra che un po’ mi appartenga. Tra l’altro, sarà un caso se nella mia camera in albergo sono appese proprio delle vedute ottocentesche di Venezia, con tanto di gondola con felze?
Perdendomi nelle sale della Kunsthalle a un certo punto mi imbatto in una sezione chiamata “museo trasparente”, dove si racconta tutto il lavoro che c’è dietro al museo, errori compresi. Trovo molto divertente la storia di quando il museo comprò un falso De Chirico. Nessuno si accorse di niente fin quando Giorgio De Chirico in persona visitò Amburgo e scoprì l’imbroglio: il dipinto era stato realizzato in realtà dal pittore spagnolo Oscar Domínguez.
Sulle tracce dei Beatles
Sapevo già che non c’era molto da vedere per quanto riguarda la storia dei Beatles ad Amburgo, ma sono andato lo stesso sulla Reeperbahn, il grande viale che segna l’inizio del quartiere St. Pauli, densissimo di locali notturni. Qui John, Paul e George (Ringo ancora non era parte del gruppo, ma era anche lui ad Amburgo con un’altra band) fecero due anni di intensa gavetta, suonando notti intere per un pubblico di malavitosi e prostitute. Soprattutto conobbero un gruppo di ragazzi tedeschi, ribattezzati exis (esistenzialisti), da cui copiarono il celebre taglio di capelli. Tra loro c’era la fotografa Astrid Kirchherr, i cui scatti influenzarono parecchio il modo in cui i Beatles si sarebbero presentati sulle copertine dei futuri album4.
A parte le tristi statue della Beatles-Platz, i locali in cui suonarono, il Keiserkeller, l’Indra Club, ci sono ancora, ma a stento una targa ricorda il passaggio del gruppo. Li visito a metà mattina quando il quartiere è deserto a parte qualche vecchio punk e un beatlefan qua e là che come me si aggira perplesso. Ma non avevo voglia di venire qui di sera, dove a quel che mi dicono è come un eterno addio al celibato. Alla fine le insegne spente e le saracinesche abbassate e fatiscenti hanno più fascino, sembra di essere in un enorme parco giochi abbandonato, un po’ come all’inizio de La città incantata di Miyazaki.

In realtà io ho un’altra meta, meno scontata. In un’intervista a Spin del 1975 John Lennon raccontò che in una chiesa di Amburgo dovevano trovarsi ancora incisi i nomi dei Beatles e delle rispettive fidanzate di allora, una chiesa “appena fuori dalla Reeperbahn. Ma verso la città. E ha un grande campanile verde, dove si può salire”. La descrizione dovrebbe corrispondere alla chiesa di St.Michaelis. Nessuno però ha mai trovato queste iscrizioni. Io invece sono certissimo che ci riuscirò.
Entro, mi siedo su una panca a caso convinto che sarà proprio il caso a farmi trovare i nomi dei Beatles. E invece mi rendo conto che l’impresa è impossibile: la chiesa è enorme ed è tutta di legno, non solo le panche ma anche le pareti e le logge, praticamente l’incisione beatlesiana potrebbe nascondersi in ogni angolo. Non solo. La chiesa è sorvegliata a vista: una signora, una custode, mi squadra a intervalli regolari, come dire “So che cosa stai cercando”, ma anche “Non pensare nemmeno a incidere anche tu il tuo nome”. Faccio comunque un giretto, sempre meno convinto anche perché mi accorgo che tutto è perfettamente conservato, anzi la manutenzione è in corso in questo preciso momento: una signora spazzola le statue, un uomo fa dei lavori di riparazione in cima al pulpito. Figuriamoci se possono essersi lasciati sfuggire le scritte di un gruppo di ragazzacci inglesi di 60 anni fa. Tuttavia la gita vale la pena anche solo per il maestoso organo sopra l’ingresso.
Verso l’Elba
Nel mio ultimo giorno ad Amburgo finalmente spunta il sole, così ne approfitto per andare verso il fiume Elba, visitare la zona del porto e soprattutto la Elbphilarmonie, sala da concerti che si affaccia sul fiume costruita tra il 2007 e il 2017.
L’ingresso alla piazza interna è gratuito, anche se purtroppo non si può accedere alla sala da concerti. Però passeggio sfidando le vertigini sulla passerella che circumnaviga l’edificio. Da qui si vede un’impressionante distesa di argani, cisterne, magazzini… è il porto, ma credo solo una minima parte, e davvero si ha l’impressione di essere a una delle porte d’ingresso d’Europa.
Nel pomeriggio prendo un taxi per l’aeroporto. Stavolta il tassista è simpatico, anche se non parla una parola di inglese (ma per fortuna sembra capirlo): non è l’unico, anche vari commessi e camerieri mi sono sembrati in difficoltà con l’inglese, alcuni non ci hanno nemmeno provato a parlarlo. Sarà perché qui, a quel che mi dicono, il turismo è quasi tutto interno. Comunque il tassista non si fa problemi e in tedesco mi racconta con entusiasmo il suo viaggio in Italia, giustamente. Però non ricorda il nome di quella città che ha visitato nel sud Italia, come si chiamava? “Pizzastadt!” mi dice lui per farmi capire, “Napoli!” rispondo io e un po’ mi fa tenerezza.
Non è l’unico evento internazionale che mi riguarda: in questi giorni alcune tavole dal mio Una stella tranquilla - Ritratto sentimentale di Primo Levi (sempre Coconino Press) sono esposte alla biblioteca Ján Bocatius di Košice, in Slovacchia, nella mostra “Olocausto e fumetti”, curata dall’Istituto italiano di cultura di Bratislava, insieme a tavole di Lorena Canottiere, Paolo Bacilieri e Carmine Di Giandomenico.
La storia di Caspar David Friedrich e dei suoi (mancati) legami con l’Italia l’ho già raccontata nel post Arrivare senza viaggiare.
Rimando all’articolo Astrid Kirchherr: alle origini dei Beatles che avevo scritto per Doppiozero qualche anno fa. Sugli anni dei Beatles ad Amburgo si può vedere anche il primo capitolo della Beatles Anthology oppure il film del 1994 Backbeat, con Sheryl Lee (la Laura Palmer di Twin Peaks) nei panni di Astrid: il film è notevole per la colonna sonora, in cui i classici del rock’n’roll che componevano il primo repertorio dei Beatles sono reintepretati da un supergruppo formato tra gli altri da Thurston Moore (Sonic Youth), Mike Mills (R.E.M.), e Dave Grohl (Nirvana).
I tuoi racconti sono sempre interessanti. Io vedo i posti e li visito insieme a te.