Playlist Stendhal
Dalla Scala di Milano al San Carlo di Napoli, i teatri lirici erano tappe fondamentali nei viaggi dello scrittore. Ecco una selezione di ascolti stendhaliani, da Cimarosa a Rossini
Senza la musica, è probabile che Henry Beyle non sarebbe mai diventato Stendhal. La sua prima pubblicazione in assoluto, nel 1814, è Vite di Haydin, di Mozart e di Metastasio, a cui fa seguito nel 1823 la Vita di Rossini. E naturalmente tutti i libri “italiani” di Stendhal, le lettere e i diari, sono pieni di visite ai teatri - la Scala di Milano in particolare - e di recensioni di opere liriche: insomma Stendhal era un vero melomane.
Così ho pensato di creare una playlist di ascolti stendhaliani, che secondo me è fondamentale per provare a immaginare i turbamenti della sua anima. Sarebbe un lavoro enorme rintracciare tutti i brani citati dallo scrittore francese nella sua opera, ma qui provo a fare una selezione, in cui ogni pezzo è accompagnato da un aneddoto o da un ricordo di Stendhal.
Ecco la palylist per intero su Spotify o su YouTube, qui sotto i singoli brani.
Il matrimonio segreto, di Domenico Cimarosa (1792)
L’incontro con l’opera lirica italiana avviene al primo ingresso in Italia del giovane Beyle, nel 1800. Appena dopo aver varcato il San Bernardo insieme all’esercito napoleonico, Stendhal va a teatro a Novara, per una serata che, a sentir lui, segnerà la sua vita.
La sera, vissi un’emozione che non scorderò mai. […] Andai allo spettacolo: davano Il matrimonio segreto di Cimarosa, l’attrice che interpretava Carolina aveva un dente di meno sul davanti. Ecco tutto quello che mi resta di una felicità divina.
All’istante le mie due grandi azioni: 1° aver passato il San Bernardo, 2° essere stato sotto il fuoco [nemico], sparirono. Tutto ciò mi sembrava volgare e basso. […] Bisognava vivere, avrei visto il mondo, sarei diventato un bravo militare e dopo un anno o due sarei tornato alla musica, miei unici amori. Mi dicevo di queste frasi enfatiche.
La mia vita fu rinnovata e tutti i miei dispiaceri di Parigi sepolti per sempre.
Vivere in Italia e ascoltare questa musica divenne la base di tutti i miei ragionamenti.
La testa di bronzo, di Carlo Evasio Soliva (1816)
Tra il 1811 e il 1821 Stendhal fu spesso in Italia, appena poteva andava a Milano, per via delle sue storie d’amore con varie dame milanesi, e la prima tappa al suo arrivo era sempre la Scala. In Roma, Napoli, Firenze (1817 e poi in una nuova edizione 1827) Stendhal raccoglie le varie esperienze di viaggio vissute nell’arco di anni, magari romanzandole anche un po’. In ogni caso così descrive un suo arrivo a Milano: l’opera rappresentata è La testa di bronzo di Carlo Evasio Soliva.
Arrivo, alle sette di sera, stanco morto; corro a la Scala - Il mio viaggio è ripagato.
Chiamo la Scala il più grande teatro del mondo perché è quello che fa avere più piacere dalla musica. Non c’è nemmeno una lampada nella sala; questa è illuminata solo dalla luce che si riflette dalle decorazioni. Impossibile anche solo immaginare qualcosa di più grande, più magnifico, più imponente, più nuovo […].
Pago uno zecchino a serata per un loggione al terzo piano, che ho promesso di tenere per tutto il tempo del mio soggiorno. Malgrado la mancanza assoluta di luce, distinguo molto bene le persone che entrano nel parterre. Ci si saluta attraverso il teatro, da un loggione all’altro. Io sono presente dalle sette alle otto. Trovo cinque o sei persone in ciascuno di questi loggioni, e la conversazione si stabilisce come in un salotto.
Ah! Qual colpo inaspettato da Il barbiere di Siviglia, di Gioacchino Rossini (1816)
Al teatro del Cocomero di Firenze (oggi Teatro Niccolini), Stendhal assiste alla rappresentazione de Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini. E ne approfitta per scherzare sulla c aspirata fiorentina.
Volo al teatro del Hhohhomero, è così che si pronuncia la parola Cocomero. Sono furiosamente scioccato da questa lingua fiorentina, così esaltata. In un primo momento, ho creduto di sentir parlare arabo […].
La sinfonia comincia, ritrovo il mio amato Rossini. L’ho riconosciuto dopo tre battute. Sono sceso nel parterre e ho chiesto; in effetti, è il suo Il barbiere di Siviglia che si rappresenta.
Non trovo niente di assolutamente nuovo, ne Il barbiere di Siviglia, tranne il terzetto del secondo atto tra Rosina, Almaviva e Figaro.
Otello, di Gioacchino Rossini (1816)
La rappresentazione dell’Otello di Gioacchino Rossini al San Carlo di Napoli è l’occasione per Stendhal di annotare lo strano comportamento degli italiani alle prime!
Gli italiani hanno una singolare passione per le prime serate dei teatri (prime sere). Le persone che sono le più econome nel corso di tutto un anno spendono anche 40 luigi per un loggione il giorno della prima. […] Avari per le piccole cose, sono prodighi nelle grandi: è il contrario in Francia, dove c’è più vanità che passione.
La magnificenza del San Carlo fa adorare il re Ferdinando. Un napoletano, indignato dal realismo prodotto in me dalla bella architettura del San Carlo, mi racconta questa storia: “Vedete un teatro, mi ha detto, ma non vedete i villaggi”. Ha ragione di rimproverarmi. […]
Ho debuttato al San Carlo con l’Otello di Rossini. Niente di più freddo*. […] L’ouverture è di una freschezza sorprendente, deliziosa, facile da capire e divertente per gli ignoranti, senza avere nulla di comune.
* [Nota aggiunta da Stendhal nel 1827]: Per punirmi di aver così pensato nel 1817, lascio questa parola. Ero spinto, a mia insaputa, dalla mia indignazione contro il marchese Berio, autore dell’esecrabile libretto che fa di Otello un Barbablù. Nel dipingere i sentimenti teneri, Rossini è rimasto a mille leghe da Mozart e da Cimarosa; in compenso, ha inventato una rapidità e una brillantezza sconosciute a quei grandi uomini.
Se cerca, se dice da L’Olimpiade di Giovanni Battista Pergolesi (1735)
Le opere citate finora sono tutte di contemporanei (o quasi) di Stendhal, ma come si faceva a costruirsi una cultura musicale nell’800, a scoprire i brandi del passato, quando la musica era solo dal vivo (o scritta, per chi sapeva leggerla)? Un modo lo troviamo nei diari di Stendhal: a Napoli, nel 1811, si mise a copiare da un altro libro (Napoli e suo contorno, 1803) alcune note sui compositori napoletani. Tra questi spicca uno dei più amati da Stendhal, Giovanni Battista Pergolesi: quest’aria citata tra i suoi capolavori non la conoscevo (sono ignorantissimo sulla musica lirica), ma in effetti è meravigliosa.
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