Presagi
Una tavola in cui Mary Shelley si trova faccia a faccia con il Laocoonte, a raffigurare gli "ill spirits" di cui soffriva la scrittrice, come presagi dei lutti che la colpirono nei suoi anni in Italia
Qualche giorno fa discutevo con un altro autore di fumetti (Niccolò Cedeno, trovate qui i suoi lavori) dell’opportunità o meno di seguire uno storyboard quando si lavora a un libro a fumetti. A qualsiasi disegnatore all’ascolto, direi subito che è meglio averne uno piuttosto che procedere alla cieca, ma in alcuni casi si può lavorare anche senza avere preparato già ogni scena nei minimi dettagli, sopratutto se si fa tutto da soli: scrittura, sceneggiatura, disegno, eccetera. Spesso chi procede così ha un modo molto personale di approcciarsi a una storia, anche a seconda di cosa deve/vuole raccontare, e negli anni ho visto autori e autrici sperimentare tante tecniche diverse anche per quanto riguarda questa fase di scrittura. Non avere uno storyboard super-dettagliato probabilmente rende più lungo tutto il lavoro, ma ha almeno un vantaggio: lascia la possibilità di sorprendersi.
In questo fumetto sui viaggi in Italia il destino dei miei personaggi è già scritto. E nel caso di Mary e Percy Shelley la realtà supera qualsiasi sceneggiatura d’invenzione. Insomma io so già quali cose devono accadere, quando e dove. E ho nella testa una scaletta che, per le tavole che sto disegnando ora, fa più o meno così:
La morte di Clara, Venezia - ottobre 1818
Napoli, Napoli - dicembre 1818
La morte di William, Roma, giugno 1819
Clara e William erano i due bambini degli Shelley: entrambi morirono in Italia, a pochi mesi di distanza l’una dall’altro. Avevo già iniziato a disegnare le tavole sulla morte di William, poi però mi sono detto che queste due tragedie risultavano davvero troppo ravvicinate: poveri Mary e Percy, diamogli almeno un momento di serenità, di pace prima della tempesta. Rileggendo le loro lettere ho trovato facilmente del materiale per aggiungere qualche tavola.
Se a Napoli gli Shelley avevano vissuto in solitudine, ancora scossi dalla morte della piccola Clara, a Roma trascorsero effettivamente un periodo più felice, anche se breve. Percy, in mezzo alle rovine delle Terme di Caracalla, scrisse una delle sue opere più importanti, il dramma Prometeo liberato. Mary prese lezioni di disegno e scoprì di essere incinta. Ho trovato anche spazio per il piccolo William, che, in visita ai Musei Vaticani, rimase estasiato dalle varie sculture di capre e di cavalli (presumo che si trattasse della Sala degli animali), e fu invece molto addolorato per tutti i men rotti, gli uomini-rotti, espressione coniata dal bambino per indicare le varie statue antiche prive di braccia o altri pezzi.
Tutto sembrava andare bene, “se non fosse per il fatto che soffro di ill spirits”, scriveva Mary da Roma. Non so esattamente come tradurre ill spirits, forse con cambiamenti d’umore, o con un senso di inquietudine. Mentre disegnavo William in braccio a Percy, con il bambino che indica dispiaciuto la statua priva di un braccio dell’Ermes Belvedere, nel Cortile Ottagono del Museo Pio Antonino, mi sono ricordato che in quello stesso cortile c’è un’altra statua, molto più celebre: il gruppo del Laocoonte. Ecco un modo per esprimere graficamente gli ill spirits di Mary. Il padre disperato mentre il serpente marino stritola lui e i suoi due figli, come non vedere in quella scultura un presagio di quel che accadde a Percy e ai due bambini?
Secondo il racconto di Virgilio nell’Eneide, Laocoonte era un sacerdote e veggente troiano che provò ad avvertire della minaccia rappresentata dal Cavallo donato dai greci. Per punirlo, Atena mandò due serpenti marini a uccidere i suoi figli, Antifate e Timbreo: Laocoonte tentò di salvarli, finendo stritolato anche lui.
E questa è la scena raffigurata in una delle più celebri sculture dell’antichità, che merita un po’ di spazio in questa newsletter, in fondo era una delle principali attrazioni per gli artisti che visitavano l’Italia. Fu scolpita probabilmente da artisti stranieri - guarda un po’! - che abitavano a Roma: si pensa a scultori greci provenienti da Rodi, attivi attorno alla metà del primo secolo avanti Cristo1. L’opera fu ritrovata nel 1506 durante alcuni scavi in una vigna sul Colle Oppio. La sua scoperta nel tempo assunse i contorni della leggenda, e nel 1773 il pittore francese Robert Hubert immaginò così il momento del ritrovamento.
Più tardi, nel 1834-35, Pierre-Nolasque Bergeret entrò più nel dettaglio, per mostrarci l’impatto che la scultura ebbe sugli artisti del Rinascimento italiano e in particolare su Michelangelo. Eccolo infatti raffigurato mentre indica la statua a Papa Giulio II, e nel dipinto c’è anche Raffaello che accorre ad ammirare l’opera.
Giulio II, appassionato di antichità, acquistò subito il Lacoonte, e questo può essere considerato l’atto di nascita dei Musei Vaticani. Il gruppo venne collocato nel Cortile a forma ottagonale progettato dal Bramante, dove si trova tuttora. Ma non è sempre rimasto lì, questa è una scultura che ha viaggiato! Nel 1798 Napoleone se la portò a Parigi, insieme a tante altre opere frutto delle cosiddette spoliazioni, e fino al 1815 la scultura rimase esposta al Louvre.
Qui il disegnatore Benjamin Zix ci mostra Napoleone e Maria Luisa in visita alla scultura in una sala del Louvre, ma vorrei richiamare l’attenzione sui due omini che sembrano reggere dei riflettori per illuminare la statua. Era un modo di visitare i musei, alla luce delle torce, citato anche da Goethe, proprio a proposito del Laocoonte, nel suo Viaggio in Italia.
Mi apprestavo dunque a disegnare una tavola con Mary Shelley di fronte al Laocoonte, ma ormai mi muovo con estrema circospezione quando devo disegnare opere dell’antichità (vedi il Pantheon con i campanili che ho disegnato più sopra).