Mi accorgo di non aver mai parlato in maniera approfondita, in questa newsletter, di Una stella tranquilla - Ritratto sentimentale di Primo Levi, il mio secondo graphic novel. Ma domani è la Giornata della memoria, quindi mi sembra il momento giusto per rimediare. Questo fumetto ha ormai 10 anni di vita editoriale e ha conosciuto diverse incarnazioni: era uscito originariamente all’inizio del 2014 per Comma 22, poi è stato pubblicato in Francia e in Brasile, ha vinto un premio al Festival International de la bande dessinée di Angoulême e nel 2021 è stato pubblicato in una nuova edizione da Coconino Press (lo trovate qui). In tutto questo tempo non ho mai smesso di andare in giro per presentarlo: ogni anno mi capita di parlarne in qualche festival, oppure di essere ospite di associazioni, biblioteche e soprattutto scuole. In questi giorni alcune tavole da Una stella tranquilla sono esposte a Bratislava, alla biblioteca Staromestská knižnica, nella mostra “L’olocausto e il fumetto” organizzata dall’Istituto italiano di cultura di Bratislava.
In maniera quasi istintiva, sentimentale come dice il sottotitolo, avevo pensato Una stella tranquilla proprio come a un testimone da passare da una generazione all’altra. La storica Anna Bravo, recensendo il fumetto per Pagine ebraiche nel marzo 20141, lo ha spiegato molto meglio di come potrei mai fare io:
Scarnera appartiene alla generazione dei figli dei figli, e si richiama più volte alla “delega” che Levi, e non lui soltanto, ha offerto ai giovani. Parecchi anni fa si discuteva sul desiderio di alcuni superstiti di far nascere figure nuove, che, pur non avendo vissuto l’esperienza, fossero in grado di fare propri i significati dei racconti e di trasformarsi da ascoltatori in divulgatori – una sorta di testimoni mentali da affiancare ai testimoni oculari. Una stella tranquilla è una conferma che i figli dei figli sono cresciuti, e lavorano con cura, competenza, e forse con più libertà e fiducia rispetto a noi generazione di mezzo. Vederlo è una gioia.
In questi 10-11 anni mi sembra che il discorso pubblico su Primo Levi sia cambiato, e anche migliorato: c’è più spazio per parlare dei lati meno noti della sua opera, non direttamente legati all’esperienza in lager. Questo soprattutto a partire dal 2019, centenario dalla nascita dello scrittore, e grazie al lavoro di tanti appassionati lettori e studiosi di Levi2. Nel frattempo una nuova generazione si è affacciata sui banchi di scuola: quando mi capita di incontrarli, quando vado a parlare del mio fumetto e di Primo Levi alle scuole medie o superiori, mi accorgo che anche loro, come me, sentono vicini gli eventi della Seconda guerra mondiale. Pur non avendo più una memoria familiare della guerra, dei nonni che l’hanno vissuta. Ma credo che percepiscano chiaramente che allora è accaduto qualcosa da cui non si può tornare indietro. Anche se quel che succede oggi nel mondo spesso non fa sperare in bene, e sembra sempre che non si sia imparato nulla, che gli stessi orrori non facciano che ritornare, questa consapevolezza è preziosa. Forse è l’unica cosa che può salvarci.
Pubblico qui sotto la Nota dell’autore che avevo scritto nel settembre 2013 e che compare come postfazione a Una stella tranquilla. Su Doppiozero si può leggere invece Primo Levi uno e bino, il testo che Marco Belpoliti ha scritto come prefazione per il mio fumetto.
Riscoprire Primo Levi
Come tutti, anch’io ho letto Se questo è un uomo a scuola. Mi era piaciuto, naturalmente, ma come tante letture scolastiche era rimasto lì, isolato, non aveva generato particolari conseguenze in me. Forse ero troppo piccolo per capirne l’importanza, forse era troppo presto. Così per anni Primo Levi per me non è stato altro che l’autore di quel libro, non sapevo nient’altro di lui. Molti anni dopo, per puro caso ho ripreso in mano una copia di Se questo è un uomo, che conteneva in appendice anche La tregua: l’ho riletto, poi ho letto La tregua, poi ho letto tutti gli altri libri di Levi, poi ho letto tutte le interviste e i saggi su di lui. Così ho scoperto una figura molto più complessa di quella che avevo immaginato: un autore che passava dall’impegno civile alla fantascienza, ironico, divertente, ma allo stesso tempo profondo e “importante”. Soprattutto, Levi mi sembrava estremamente familiare. Forse perché la nostra città natale è la stessa (Torino), forse perché i suoi racconti mi ricordavano moltissimo quelli di mio nonno: anche lui era stato prigioniero in Germania (come soldato italiano, però) e anche lui era diventato un narratore in seguito a quell’esperienza. Ecco, quello che mi affascinava di Levi era proprio questo: la storia di come è diventato uno scrittore, il suo bisogno di raccontare.
Quando ho iniziato a lavorare a questo libro, avevo due punti fermi in mente. Il primo: che avrei cominciato a raccontare da dove Levi si era “fermato”, cioè dalla fine de La tregua, dal giorno del suo ritorno a Torino. Il secondo: che avrei utilizzato solo episodi scritti o raccontati da Levi stesso. Questo perché c’è un confine molto netto tra l’immagine pubblica di Levi e la sua vita privata: ha sempre parlato pochissimo della sua famiglia, ancora meno dei suoi sentimenti. E credo proprio che gli infiniti dibattiti sul suo suicidio derivino da una confusione fra il Levi pubblico e quello privato. Del resto la vita di Levi dopo il lager è stata normalissima: un lavoro, una moglie, due figli, ha perfino abitato sempre nella stessa casa. Insomma ho deciso di rispettare questo confine pubblico/privato, e il risultato è che la mia non è esattamente una biografia: o meglio, è una biografia dello scrittore, della figura di Levi come emerge dalle sue opere, ma non è una biografia dell’uomo. L’approccio che ho tenuto è più o meno quello che si ha davanti a un vecchio album di famiglia, quando tenti di immaginare come erano i tuoi genitori o i tuoi nonni da giovani, quando non eri ancora nato. Questo approccio mi ha permesso, credo, di affrontare la figura di Levi da un punto di vista diverso dal solito.
Tutti i testi di questo libro (in alcuni casi leggermente adattati alla forma fumetto) provengono quindi direttamente dai libri e dalle interviste di Levi. Alcune sequenze sono liberi adattamenti di episodi raccontati da Levi, insomma ho immaginato come possono essere andate le cose descritte da lui. Ma è un libro a fumetti, e quindi c’è stato anche un lavoro di documentazione sulle immagini. Ho usato tutto quello che avevo a disposizione: le copertine dei libri, le foto, i disegni fatti da Levi al computer e naturalmente i luoghi della sua vita (Torino, la fabbrica della Siva…). Ma ho usato anche degli oggetti. C’è ad esempio una specie di scultura o di maschera, una testa di gufo fatta da Levi intrecciando il filo di rame, che nel libro acquista un valore simbolico. Il gufo è l’animale in cui Levi per scherzo si identificava, e c’è una foto in cui lui “indossa” questa maschera: nel libro l’ho usata per spiegare il confine tra il Levi pubblico e quello privato. Un altro esempio: nello studio di Levi c’era una cornice, con dentro una foto della recinzione in filo spinato di Auschwitz: nel libro questa cornice ritorna varie volte, sempre quando Levi “parla” del lager. Diventa un po’ una memoria fisica di quegli eventi.
C’era il problema infine di rappresentare i “sommersi”, i milioni di morti nei lager nazisti. Avevo inizialmente deciso di non disegnare il campo (se non in una scena, che però è un sogno). Poi ho scoperto i dipinti di Zoran Music, un pittore deportato come prigioniero politico a Dachau, che ha seguito un percorso molto simile a quello di Levi. Dentro il campo aveva un assoluto bisogno di disegnare quello che vedeva, principalmente corpi, cadaveri («paesaggi di cadaveri», come li chiama lui). Allo stesso modo, dentro il lager Levi aveva un assoluto bisogno di raccontare (aveva già iniziato a scrivere allora, rischiando la morte).
Anni dopo, Music ritornò a dipingere i cadaveri di Dachau, in una serie intitolata Non siamo gli ultimi. E anche Levi ritornò a scrivere di Auschwitz nel suo ultimo libro, il saggio I sommersi e i salvati. Ho pensato che i disegni di Music sono quanto di più vicino possa esserci alle immagini che Levi doveva conservare nella sua memoria, così li ho usati (copiandoli e re-interpretandoli) per accompagnare il testo nei punti del libro in cui si parla di Se questo è un uomo e di I sommersi e i salvati.
Qui la recensione completa, intitolata La stella tranquilla di Primo.
Ne approfitto per sengalare le attività del Centro internazionale di studi Primo Levi: quest’anno in particolare il Centro approfondisce gli scambi epistolari che Levi ebbe per tutta la vita con i suoi lettori tedeschi (una delle vicende più affascinanti della sua biografia letteraria) nella mostra Giro di posta, che nasce dal progetto curato da Martina Mengoni Levinet, dove si può leggere tutta la corrispondenza di Primo Levi.