Stendhal e le parole dimenticate
"All'improvviso dimentico tutte le parole francesi": così lo scrittore descrisse gli attacchi di apoplessia che, nel 1841, lo costrinsero a lasciare definitivamente l'Italia
Nei giorni in cui l’afa mi impedisce di disegnare, e in cui l’inchiostro della mia brush-pen sembra sciogliersi sul foglio, l’unico modo che ho di continuare il lavoro sul mio fumetto è dedicarmi alla sceneggiatura e allo storyboard delle tavole che sono ancora solo un’idea nella mia testa. Non sono molte ormai, ma tra queste c’è una parte sulle vicende di Stendhal in Italia che avevo lasciato in sospeso mesi fa.
Costruire una narrazione sensata dalle migliaia di pagine che Henri Beyle/Stendhal ha scritto sull’Italia o dall’Italia è un’impresa molto complicata. C’è un diario molto corposo, un’infinità di lettere e vari romanzi, saggi e guide di viaggio. Lo scrittore francese non fece un unico lungo viaggio in Italia come Goethe, ma passò moltissimo tempo in Italia, in un moltiplicarsi di visite e brevi viaggi dal 1800 al 1827, per poi stabilirsi a Civitavecchia dal 1831 al 1841 in qualità di console francese per lo Stato pontificio. I suoi scritti sono pieni di descrizioni, opinioni personali, racconti di fatti e aneddoti capitati ad altri, ma in fin dei conti Stendhal è piuttosto reticente sulla sua vita privata… insomma non c’è una storia lineare, come ad esempio nel caso di Mary e Percy Shelley (per quanto la loro sia una storia tragica). C’è invece un lungo macerarsi su storie d’amore vissute male, come quella con la dama milanese Angela Pietragrua negli anni tra il 1811 e il 1814. Ma sembra più il diario di un adolescente che un racconto. In più lo scrittore, oltre che un gran bugiardo - ho scoperto da poco che il racconto di un suo viaggio fino a Otranto è totalmente inventato! - era anche un gran pasticcione: bisogna saltare dai diari alle lettere ad altri vari scritti per ricostruire vagamente quello che deve essergli successo.
Per tentare di districarmi in questa caotica grafomania ho pensato di iniziare dalla fine, dall’ultimo periodo italiano di Stendhal, quando nel 1841 a Civitavecchia si manifestarono i primi attacchi dell’apoplessia di cui lo scrittore morì a Parigi nel 1842. Se ho capito bene, si trattava in pratica di ictus, emorragie al cervello, di cui Stendhal descrisse le conseguenze nelle sue lettere dell’aprile 1841. E qui ho trovato qualcosa di interessante da disegnare. La malattia si manifestava in Stendhal come una sorta di contrappasso: nelle sue crisi lo scrittore dimenticava “tutte le parole francesi”.
All’improvviso dimentico tutte le parole francesi. - Non so più dire: Donnez moi un verre d’eau. Mi osservo con curiosità; eccetto l’uso delle parole, godo di tutte le proprietà naturali dell’animale. Ciò dura otto o dieci minuti; poi, poco a poco, la memoria delle parole ritorna, e mi ritrovo molto stanco.
Ho avuto quattro soppressioni di memoria di tutto il francese nel giro di un anno; durano dai sei agli otto minuti; le idee ci sono, ma senza le parole. Dieci giorni fa, al cabaret con Constantin, ho fatto degli sforzi incredibili per trovare la parola verre. Ho sempre un mal di testa di fondo, che viene dallo stomaco, e sono stanco per aver cercato di scrivere meno male queste tre pagine.
Chissà se dimenticando le parole francesi Stendhal ricordava invece quelle italiane. Lui non lo dice, ma mi piace pensarlo. Dopo sei mesi di “dolorose emicranie”, Stendhal, che non stimava i medici, si decise a consultarne uno. Si rivolse a tale M. Severin, omeopata di Berlino. Non so se a metà ‘800 per omeopatia si intendesse la stessa cosa che intendiamo oggi, comunque Severin azzeccò la diagnosi - “apoplessia nervosa non sanguigna” -, anche se forse non il rimedio. Di sicuro non riuscì a conquistare la fiducia di Stendhal.
[M. Severin] Ha pronunciato frasi da cui sono riuscito a capire che si trattava di apoplessia nervosa non sanguigna.
M. Severin (fisionomia maligna, spirituale, propria del ciarlatano) mi ha fatto prendere dell’aconito per rianimare la circolazione, e, all’inizio, voleva farmi prendere lo zolfo1.
Così lo scrittore decise di rivolgersi a un altro medico, un luminare dai modi bruschi di nome Dematteis, che riceveva a Roma. E qui entriamo come già ci è capitato altre volte nelle folli pratiche (viste oggi) dei medici dell’800.
[Dematteis] non ha voluto dissanguarmi una terza volta; ha la testa dura; rifiuta l’omeopatia. Pretende che il mio male sia una gotta che, non andando ai piedi, si diriga alla testa. Quattro o cinque volte al giorno sono sul punto di soffocare; ma cenare mi guarisce a metà e dormo bene. Ho fatto cento volte il sacrificio della vita, coricandomi, credendo fermamente di non risvegliarmi più.
Ieri mi hanno messo un essutorio2 al braccio sinistro; stamattina mi hanno fatto un salasso. Il sintomo più spiacevole è il torpore della lingua che mi fa farfugliare.
Voglio darvi il mio addio, nel caso che questa lettera sia l’ultima.
Da aprile a luglio Stendhal si sottopose a nove salassi. Erano una pratica molto comune nella prima metà dell’800, per quanto oggi ci sembrino insensati. Forse per questo allora i medici non erano molto ben visti… anche Stendhal li definiva “uomini mediocri”.
Eccone un esempio nella litografia qui sopra. Viene da Les métamorphes du jour, una serie di illustrazioni di Jean-Ignace-Isidore Gérard, in arte Grandville, tutte con protagonisti animali antropomorfi. Fu pubblicata nel 1829 in Francia ed ebbe un grande successo. Su Gallica però ho trovato una edizione di qualche anno più tardi (1854), in cui la litografia è accompagnata da un testo in cui si spiega e ci si prende gioco della mania per i salassi. Lo trovo interessante perché si ripercorrono velocemente le varie mode che attraversarono la medicina nell’800.
Fu il tempo in cui le sanguisughe avevano il monopolio del sangue umano. Dei sapienti dottori avevano stabilito perentoriamente che nel sangue c’erano il principio e la causa di tutti nostri mali. Troppo sangue, abbondanza di sangue, sangue viziato, sangue aspro… e allora? Sanguisughe, ancora sanguisughe, sempre sanguisughe, accompagnate dalla dieta e dalla traspirazione. Sembrava che l’umanità fosse troppo robusta, e che una congrega di vampiri avesse giurato di dissanguarla.
Una volta provata l’utilità e l’importanza delle sanguisughe, o almeno ammessa da parte dei poveri malati, così creduloni finché gli si prometteva la guarigione, non si videro altro che sanguisughe, dappertutto, in tutte le classi, in tutte le professioni sociali, le sanguisughe alzavano la testa e si vantavano delle loro virtù aspiranti e assorbenti. […]
Ma a forza di diete, di salassi, di acqua calda, di solventi, le sanguisughe un bel giorno furono detronizzate e… E l’omeopatia ha minacciato di prendere il monopolio dell’arte di guarire. […] Infine, un bel mattino, è venuto il turno della canfora! Si prendeva canfora in tutte le maniere, in polvere, in grumi, nelle sigarette, nei liquori, da tutti i pori. E poi le acque minerali, e bagni termali di tutti tipi!
I nove salassi subiti da Stendhal però si rivelano inefficaci e lo scrittore decise di rinunciare al suo incarico di console a Civitavecchia. Così ad agosto scrisse al ministro degli Affari esteri François Guizot:
È venuto dunque il momento di sollecitare a Vostra Eccellenza un congedo. Vorrei cambiare aria e andare a consultare, a Ginevra, M. Prévost, che qualche anno fa mi ha guarito da una grave malattia.