Storia di una barca
E cioè del "Don Juan", quella su cui nel luglio del 1822 fece naufragio Percy Shelley. Prendeva il nome dal poema dell'amico Byron... ma che tipo di imbarcazione era esattamente?
Qualche anno fa ho attraversato uno di quei periodi che capitano nella vita di un lettore, quando si decide di leggere solo classici. A me ne mancavano moltissimi, in particolare i grandi romanzi di mare che si solito si leggono da ragazzini (ma all’epoca li trovavo noiosissimi, anche perché spesso non sono affatto libri per ragazzi!): Moby Dick, L’isola del tesoro, La linea d’ombra… in tutti questi romanzi il momento in cui il protagonista vede per la prima volta la nave su cui si imbarcherà è sempre un grande momento, pervaso di eccitazione e anticipazione.
In qualche misura la stessa eccitazione si ritrova nelle lettere in cui Percy Shelley descrive il “Don Juan”, la barca che comprò insieme all’amico Edward Williams nel maggio 1822 durante il suo soggiorno a Lerici. La barca fu progettata e costruita da Daniel Roberts, ex ufficiale della marina inglese e anche lui amico di Shelley e Byron, e chiamata come l’omonimo poema di Lord Byron. Anche se Shelley provò a ribattezzarla “Ariel”, viene sempre ricordata come “Don Juan”, anche nelle lettere del poeta:
Il “Don Juan” è arrivato, e niente può superare l’ammirazione che ha suscitato; […] Williams dichiara che è perfetta e io sono partecipe del suo entusiasmo, nella misura in cui può essere dignitoso in un uomo di terraferma. Siamo usciti in mare già diversi giorni, anche se abbiamo cercato invano l’opportunità di provarla contro le felucche e le altre grandi imbarcazioni nella baia; supera le più piccole come una cometa potrebbe oltrepassare il più noioso pianeta in cielo.
Ma, come ricorda Mary Shelley nelle sue note alle opere complete di Percy, si trattava di una “barca fatale”: su di essa il poeta e l’amico Williams trovarono la morte pochi mesi dopo, l’8 luglio del 1822. Mary ricorda anche come l’arrivo della barca cambiò le abitudini di tutto il gruppo di inglesi che soggiornava a Villa Magni:
I due amici passavano ora molto tempo in acqua. Il tempo si ristabilì e tutto il nostro gruppo spesso passava le serate in mare, quando il vento prometteva una navigazione piacevole. Shelley e Williams facevano escursioni più lunghe; salparono diverse volte verso Massa. […] Non avevano la minima percezione di pericolo. Quando il tempo era sfavorevole, si dedicavano a modificare il sartiame e a costruire una barca di tela e giunchi, la più leggera possibile, per averla a bordo e sbarcare in acque troppo basse per il vascello più largo. Quando Shelley era a bordo aveva con sé i suoi fogli; e gran parte del Trionfo della Vita1 fu scritto mentre navigava o veniva sballottato su quel mare che presto lo avrebbe inghiottito.
Ma che tipo di barca era esattamente il “Don Juan”? Una barca a vela, certo. E qui si è spalancato per me un abisso di totale ignoranza. Ho impiegato diverso tempo a tentare di capire che tipo di imbarcazione fosse quella di Shelley, e soprattutto come si muoveva, come navigava e infine come poteva ribaltarsi e affondare. Però non sono il solo a essermi interrogato su questo: anzi, prima di me, diversi studiosi2 si sono dedicati a cercare di capire quanto fosse grande il “Don Juan”, quanti alberi avesse, eccetera… ci sono addirittura diverse teorie per spiegare il suo naufragio: uno scontro con un’altra barca? O addirittura un complotto per mettere a tacere il poeta, voce scomoda nell’Inghilterra del suo tempo? In realtà pare che la tragedia sia da attribuirsi alla scarsa esperienza in mare di Williams e a una tempesta che sorprese il “Don Juan”.
Volendo, ci sarebbe da impazzire analizzando le varie versioni e testimonianze sulla dinamica del naufragio, ma a me la verità storica importa fino a un certo punto, mi interessa molto di più la verità della fiction. Quindi ho deciso di prendere per buono il resoconto fatto da Edward Trelawny3, che era una specie di groupie di Shelley e Byron. Lo trovo un ottimo racconto, perfetto da illustrare, e pazienza se forse è un po’ romanzato.
Il “Don Juan” viene definito come uno schooner, traducibile in italiano con goletta, ma non sapendo nulla di questi termini ho deciso di prendere come riferimento un particolare tipo di barca a vela chiamato Falmouth Quay Punt, tipica della Cornovaglia. Non ricordo più come sono capitato proprio su questa barca, ma l’ho scelta perché, sferzata dal vento, si inclina davvero in modo impressionante, ed è più o meno così che deve essersi ribaltato il “Don Juan”.
Il relitto del “Don Juan” fu recuperato un paio di mesi dopo il naufragio, nel settembre del 1822, e ri-acquistato all’asta da Daniel Roberts, colui che l’aveva progettata e costruita. Molti degli oggetti che conteneva furono recapitati a Mary Shelley: tra questi c’erano circa 90 corone e il diario di bordo. Ecco l’ultima annotazione, dal sapore terribilmente profetico:
4 luglio
Le processioni di preti e religiosi nei giorni scorsi sono state molto impegnate a pregare per la pioggia - ma o gli Dei sono arrabbiati o la natura è troppo potente.
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Il poema in inglese si può leggere qui
Vedi ad esempio l’articolo di Donald B. Prell, The Sinking of the “Don Juan” e quello di Joseph A. Dane, On the Instability of Vessels and Narratives: A Nautical Perspective on the Sinking of the “Don Juan”
In Recollections of the Last Days of Shelley and Byron, 1858.
Una tempesta è molto probabile, anche se il nostro non è l'oceano Pacifico, quando sei in mare aperto può succedere di tutto, non è solo acqua ma un'entità viva 🤔
Riflettevo poi sulle consapevolezze di ignoranze e pazzie varie, verrebbe da dire "ma chi te lo fa fare" e invece NO. Quanto è meraviglioso rituffarsi in queste storie, spegniamola la tv e riprendiamo in mano i classici!