Un'utopia sulle Alpi
Dopo la Grande Guerra, l'architetto Bruno Taut disegnò una città/tempio da erigere in cima al Monte Bianco e al Monte Rosa: era un manifesto pacifista che invitava a costruire invece di distruggere
Bruno Taut odiava la guerra. Quando nel 1914 l’Europa era precipitata nel primo conflitto mondiale, lui aveva fatto di tutto pur di non farsi arruolare: si era spostato in continuazione, si era fatto dichiarare “indispensabile” dai suoi datori di lavoro e infine si era messo a digiuno per riuscire a risultare inabile alla leva. Bruno Taut odiava la guerra. Bruno Taut era un architetto. Di conseguenza la sua soluzione per far tacere le armi poteva essere una sola: costruire, costruire invece di distruggere1.
Nel 1919, a un anno dalla fine della Prima guerra mondiale, pubblicò Architettura alpina2, che è allo stesso tempo l’utopia di un architetto e un manifesto pacifista. Invece di progetti veri e propri, Taut presentava dei bellissimi disegni e un’idea per mettere fine a tutte le guerre. Nella sezione che illustra il progetto Alpenbau (costruzione alpina) Taut scriveva3:
Popoli d’Europa! Educatevi al santo bene - Costruite! Pensate alla vostra stella, la Terra, che vuole abbellirsi - attraverso di voi!
Che sia avviato un progetto audace, limitato e modesto: dove la più bella catena alpina, dal Monte Bianco al Monte Rosa, torreggia sulla pianura italiana, in questo arco della catena montuosa risplenda la bellezza - Bisogna trasformare il Monte Rosa e il suo promontorio, fino alla verde pianura.
Sulle vette delle Alpi centrali Taut progettava di costruire edifici simili a templi, fatti di vetro e cristallo, come se la città del sole di Tommaso Campanella dovesse materializzarsi in cima alle montagne.
E in effetti è un’utopia quella che Taut stava progettando. Costosissima e per nulla pratica, anzi del tutto inutile. Una critica che l’architetto preveniva così:
Sì! Poco pratico e inutile! Ma abbiamo forse ricavato la felicità dalle cose utili? Sempre utile e utile: comfort, convenienza, buon cibo, educazione, coltello e forchetta, treni e armadi, e poi anche… cannoni, bombe, congegni per uccidere! Volere semplicemente qualcosa di utile e comodo senza un’idea più alta è noioso!
Secondo Taut è propio la noia, o sarebbe meglio dire la mancanza di una missione, di un’aspirazione, la causa vera della guerra.
La noia porta conflitti, battaglie e guerre! Menzogne, rapina, morte, miseria. Milioni e milioni di litri di sangue. Predico: siate pacifici! Diffondete l’idea sociale, siate tutti fratelli, organizzatevi, potete tutti vivere bene, essere ben educati e avere pace!
Impegnate le masse in una grande impresa che li riempia tutti, dal primo all’ultimo. Che richieda enormi sacrifici di coraggio, forza e sangue e miliardi. […] Tutti vedono chiaramente il risultato del lavoro delle mani: costruire, nel senso più vero della parola. Tutti servono l’idea, la bellezza, come pensieri sulla terra che li porta. La noia scompare e con essa i conflitti, la politica e lo spettro malato della guerra.
Nessuno ha bisogno di parlare di pace quando non c’è più la guerra.
Nella prefazione ad Architettura alpina, che poi non pubblicò, Taut spiegava ancora meglio l’idea alla base del progetto:
Nella guerra l’Europa ha dimostrato una cosa: il grado di energia mentale e di forza di cui è capace. E se queste forze potessero essere incanalate con successo in una differente, migliore direzione, allora la Terra potrebbe davvero essere una bella dimora in cui vivere.
Taut aveva immaginato anche la scena alla fine dei lavori:
Aeroplani e dirigibili portano persone felici che presto, vedendo il risultato del proprio lavoro, saranno liberate da malattie e sofferenze - momenti beati. Viaggiare! E nel viaggio vedere il compimento dell’opera a cui si è contribuito, magari lavorando come operai in qualche paese lontano! La nostra terra, che era una cattiva dimora, diventerà una buona dimora.
I costi sono enormi, e quanti sacrifici! - ma non per brama di potere, omicidio e miseria.
Nel presentare il disegno per il Ghiacciaio di neve e vetro, Taut citava anche Goethe per spiegare lo spirito dell’impresa.
Di certo l’esecuzione è immensamente difficile e piena di sacrifici, ma non impossibile. Si chiede così raramente l’impossibile alle persone.
In realtà non sono sicuro che sia una vera citazione (non sono riuscito a trovare la fonte da nessuna parte!), ma più avanti nel libro Taut aggiungeva anche un suo personale aforisma:
Dobbiamo sempre conoscere e volere l’irraggiungibile se vogliamo che il raggiungibile abbia successo.
Tutto Architettura Alpina è percorso da un tono quasi religioso, ma nell’ultima sezione i testi diventano sempre più mistici e i disegni non servono più a progettare edifici, bensì a rimodellare la Terra e le stelle. Ad esempio questo si intitola Sternbau (“Costruzione di una stella”).
Da come parla delle Alpi, sono abbastanza certo che Taut le abbia viste di persone, e che quindi abbia fatto anche lui qualche viaggio in Italia. Non ho trovato conferme nella sua biografia, che tuttavia è senza dubbio quella di un viaggiatore. Non per piacere, purtroppo.
Dai suoi testi per Architettura alpina si sarà capito che idee aveva Taut, certo non quelle che nel periodo tra le due guerre mondiali presero il sopravvento. Tuttavia per qualche anno riuscì a lavorare ai suoi progetti. Si occupò molto di edilizia popolare in qualità di assessore a Magdeburgo, una città a metà strada tra Berlino e Hannover. Ma il nazionalsocialismo stava per andare al potere, e già nel 1932 Taut decise di trasferirsi a Mosca, in Unione Sovietica. Però in Russia non era ben visto in quanto tedesco, mentre a Berlino veniva ormai considerato un bolscevico. Nel 1933 Taut si rifugiò così dall’altra parte del mondo, in Giappone: affascinato dal minimalismo giapponese, lavorò più come studioso e divulgatore della cultura nipponica che come architetto. Un altro grande cambiamento risale al 1936, quando Taut lasciò il Giappone per la Turchia, accettando la cattedra di architettura all’Accademia di belle arti di Istanbul. Morì a Istanbul nel 1938.
La sua opera più famosa rimane il Padiglione di vetro costruito nel 1914 a Colonia per l’Esposizione della Deutscher Werkbund (Lega tedesca degli artigiani), ma demolito qualche anno dopo. Un modellino è stato ricostruito in occasione della mostra Bruno Taut: Beyond Fantasy, allestita nel 2020 al museo Het Schip di Amsterdam. Su Youtube c’è anche una visita guidata alla mostra.
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La fonte principale che ho usato è l’articolo Bruno Taut and the First World War di Deborah Ascher Barnstone.
L’originale in tedesco si può scaricare o consultare sul sito della biblioteca dell’Università di Heidelberg.
Purtroppo non so il tedesco, quindi alcune di queste traduzioni potrebbero essere piene di strafalcioni. In alcuni casi ho trovato la versione inglese del testo, ma in altri ho dovuto ricorrere a Google Translate e a dizionari on line. Comunque credo che il senso si capisca!