A Napoli e a Roma con John Keats
Prima che la tubercolosi lo costringesse a letto, il poeta inglese fece in tempo a vedere Napoli e Roma. A raccontarci i primi passi nell'Italia del 1820 è Joseph Severn, pittore amico di Keats
Il viaggio in Italia di John Keats fu davvero breve. Il giovane poeta inglese era arrivato a Napoli il 1 novembre 1820 e dopo due settimane era già a Roma, ma già a inizio dicembre la tubercolosi di cui soffriva lo costrinse a letto: una lenta agonia trascorsa in un appartamento in piazza di Spagna fino al 23 febbraio 1821, quando il poeta si spense. Ho già scritto di questa storia nel post Gli ultimi giorni di John Keats, tuttavia ci sono almeno altri due episodi più “leggeri” che meritano di essere raccontati per quanto riguarda l’esperienza italiana del poeta: entrambi risalgono a prima che la sua malattia si aggravasse ed entrambi sono raccontati da Joesph Severn, il pittore e amico di Keats che lo accompagnava in Italia e che, soprattutto, si prese cura di lui durante tutta la malattia.
Dopo un lungo viaggio in nave, i due amici giunsero nella baia di Napoli. Furono qui costretti a una decina di giorni di quarantena, come precauzione contro l’epidemia di tifo che in quel periodo aveva colpito Londra. Bisogna immaginarsi questi due giovani inglesi che ammirano Napoli per la prima volta. Purtroppo Keats era già tormentato dalla malattia…
Se stessi bene ci sarebbe abbastanza in questo porto di Napoli da riempire una risma di carta - ma sembra come un sogno. Chiunque possa remare su una barca e camminare e parlare mi sembra un essere differente da me. Non mi sento di questo mondo.
…così il compito di raccontare l’arrivo in Italia fu raccolto da Severn.
Sarebbe difficile ritrarre a parole la prima visione di questo Paradiso mentre appariva dal mare. Le case bianche erano illuminate dal sole nascente, che aveva appena iniziato a toccarle, ed essendo le case disposte strato dopo strato lungo i pendii delle colline, apparivano bellissime, con così tanta vegetazione verde e tanti vigneti e uliveti intorno a loro. Il Vesuvio creava un’immensa linea di nuvole di fumo, che qui e là si aprivano e cambiavano con la luce dorata del sole, scomponendosi in forme di mille tipi per miglia e miglia. Poi le montagne di Sorrento sulla destra sembravano come fatte di lapislazzuli e oro; il mare sottostante era di un blu profondo come non avevamo visto da nessun’altra parte, e così ricco e bello da conferire il suo splendore a tutti gli oggetti sulla costa.
Questo “paradiso” si rivelò molto diverso una volta visto da vicino, quando ai due amici fu infine dato il permesso di sbarcare. Severn in particolare ha questa immagine di Napoli come di “una grande cucina”.
Nonostante gli avvertimenti che ci erano stati dati, quando approdammo in quella città che sembrava così bella dal mare, fummo presi di sorpresa dallo sporco, dal rumore e dall’odore. Tutto sembrava offensivo, eccetto la gloriosa atmosfera autunnale e il senso di luce e di gioia delle cose antiche, che erano visibili dappertutto. Con canzoni, risate e pianti, e un infinito via vai, l’intera città sembrava in movimento. Uomini correvano avanti e indietro con i loro cestini d’uva, strillando e urlando apparentemente con molto piacere, e non erano uno qui e uno là, ma tutti insieme nello stesso momento.
La città stessa, con i suoi rumori indistinguibili e i suoi odori sconcertanti, ci colpì come una grande cucina, perché si cucinava in ogni strada e a ogni casa - a, non in, perché tutto veniva fatto fuori dalla porta o sulla soglia. A ogni angolo c’era un napoletano a gambe nude che divorava maccheroni e ne invocava ancora; marinai in berretti rossi vendevano pesce urlando a squarciagola; e dappertutto i mendicanti strimpellavano le chitarre o ululavano ballate. Tutti gli affari dei cittadini sembravano svolgersi in strada, e senza sosta, perché, come avremmo presto sperimentato, si andava avanti tutta la notte, tanto che all’inizio non riuscivamo a dormire per il continuo baccano.
Napoli viveva allora un momento particolare. Pochi mesi prima, a luglio, era scoppiata un’insurrezione carbonara che aveva costretto il re Ferdinando I a concedere una costituzione.
Eravamo stupiti, inoltre, dalle eccessive dimostrazioni di libertà, perché poco prima c’era stata una rivoluzione a Napoli, e così ci ritrovammo nel mezzo di un governo costituzionale, con la gente intossicata e resa quasi folle dalla loro inconsueta libertà…
Ma Severn sapeva già che la situazione era molto instabile: si sospettava infatti che il re stesse chiedendo l’appoggio dell’Austria per rientrare in città e ristabilire l’ordine (cosa che puntualmente accadde nel marzo 1821).
…una libertà che era, comunque, fragile come un pan di zenzero, o meglio tutta crosta e niente zenzero. Il Re aveva giurato fedeltà alla Costituzione, ma allo stesso tempo intrigava con l’Austriaco? Due giorni dopo il nostro sbarco, il tiranno spergiuro, chiamato Sua Maestà, era fuggito su una nave da guerra inglese ed era arrivato sano e salvo a Vienna, e così i napoletani erano stati piantati in asso.
Faccio notare come due ragazzi cresciuti nell’Inghilterra che solo pochi anni prima aveva combattuto e sconfitto Napoleone fossero spontaneamente dalla parte dei carbonari e dei costituzionalisti. Le stesse idee si ritrovano anche in Shelley e Byron.
Napoli era comunque troppo caotica per la precaria salute di Keats, così i due amici si misero in viaggio verso Roma. Qui presero alloggio in un appartamento in piazza di Spagna, oggi sede della casa-museo Keats-Shelley House. E qui Severn ci racconta un episodio molto divertente con John Keats protagonista.
Nei nostri primi giorni a Roma i nostri pranzi, fatti arrivare da una Trattoria o ristorante, secondo l’uso romano, furono parecchio strani e cattivi. Questo era tanto più intollerabile in quanto pagavamo una corona a pasto, e ognuno era più repellente dell’altro, nonostante tutti i loro astuti tentativi di dissimulazione con salse e spezie. Sopportammo questo fastidio per più di una settimana, anche se quotidianamente ci lamentavamo con la padrona di casa, ma un giorno entrambi dichiarammo il pranzo immangiabile. Keats escogitò un espediente che da allora in poi ci procurò sempre ottimi pasti. Non mi disse quello che aveva in mente.
Quando il garzone arrivò con il solito cestino e stava cominciando ad apparecchiare, Keats si fece avanti, mi rivolse un sorriso malizioso, mi disse “Ora, Severn, vedrai”, aprì la finestra che dava sui gradini d’ingresso e prendendo un piatto dopo l’altro cominciò tranquillamente a svuotarne il contenuto fuori dalla finestra, per poi rimettere il piatto nel cestino - e così sparirono un pollo, del riso, un cavolfiore, un piatto di maccheroni, eccetera. Tutto questo con grande stupore del garzone e della padrona di casa. Poi Keats, con calma ma con molta decisione, indicò al garzone il cestino perché lo portasse via, cosa che questo fece senza obiettare. “Ora”, disse Keats, “vedrai Severn che avremo un pranzo decente”; e davvero in meno di mezz’ora ne arrivò uno eccellente, e continuammo a essere trattati nello stesso modo ogni giorno. In più, la padrona fu abbastanza discreta da non farci pagare i pasti gettati dalla finestra.
Sempre malandato, in quel novembre romano Keats potè spingersi solo in brevi passeggiate in via del Corso fino a piazza del Popolo, oppure sui gradini di piazza di Spagna o ai giardini del Pincio. Intanto Severn visitava e disegnava le mete più classiche, dal Colosseo ai musei Vaticani. Forse, come sostiene il pittore, se Keats fosse arrivato prima in Italia la sua salute avrebbe potuto davvero migliorare. Invece si aggravò rapidamente e presto il poeta fu costretto a letto. Le lettere in cui Severn descrive il modo in cui lo accudiva e si prendeva cura di lui sono davvero toccanti, direi quasi inaspettate. Ho provato a trasporle a fumetti nella tavola qui sotto, che in effetti è una di quelle che considero meglio riuscite.
Per sapere come prosegue questa vicenda rimando ancora una volta al post Gli ultimi giorni di John Keats (oppure potete aspettare che il mio fumetto esca!). Aggiungo solo che quest’amicizia così profonda tra il poeta e il pittore in un certo senso dura ancora oggi: Keats e Severn riposano l’uno accanto all’altro, sotto lapidi gemelle, nel cimitero acattolico di Roma.
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Davvero una bella amicizia, soprattutto se hai vissuto situazioni simili lo puoi capire. Non sapevo ci fosse la casa Keats-Shelley a Roma, indagherò.
In quanto a Napoli... ho un po' le stesse sensazioni all'inglese: bella ma impossibile? 🤨