Al tempo degli oltramontani
Si chiamavano così, nel '700, gli stranieri provenienti dal Nord Europa. Gente diversa in molte cose, perfino nel modo di calcolare le ore
Nelle mie ricerche degli ultimi giorni mi sono imbattuto più volte in una parola per me affascinante: oltramontano, oltramontani. Secondo la Treccani il termine indica ciò “che si trova o è fatto di là dei monti, o ne proviene”, e in genere per monti si intendono le Alpi, quindi gli oltramontani sono le genti del Nord Europa. A volte il termine era usato, dice sempre la Treccani, con “un tono un po’ spregiativo”.
Non saprei, a me questa parola piace moltissimo, mi sembra uscita da un film di Hayao Miyazaki. Soprattutto, mi sembra indicare bene il modo con cui gli italiani del ‘700 e dell’inizio dell’800 guardavano i viaggiatori inglesi, francesi e tedeschi di cui mi sto occupando io. Gente strana, senza dubbio, agli occhi degli italiani di allora, con usi e costumi diversi. E tra le differenze più vistose c’era il modo di contare le ore.
Mentre il sistema usato dagli oltramontani è praticamente quello che utilizziamo oggi, per secoli in Italia le regole in vigore sono state altre. Le 24 cadevano mezz’ora dopo il tramonto, nel momento in cui le campane suonavano l’Angelus, e da lì si cominciavano a contare le ore. Questo voleva dire che le ore cambiavano a seconda dei giorni e delle stagioni, ma non era un grosso problema, perché c’erano i rintocchi dei campanili a scandire il tempo. Facciamo un esempio pratico1:
Ora, mentre scrivo, sono le 18.30. Se fossimo nel ‘700, in questo momento il campanile della chiesa qui accanto suonerebbe 22 rintocchi, e io saprei che ho circa un’ora e mezza per terminare le mie faccende prima del tramonto, e due prima che venga totalmente buio e che le campane suonino le 24: ricordiamoci che all’epoca non c’era l’elettricità e qualunque attività cessava per forza di cose col calar del sole. Certo, questo significava che bisognava stare sempre a fare dei calcoli. È quello che successe anche a Goethe nei suoi primi giorni in Italia:
Quando si sente e si pensa per la prima volta a questo metodo, sembra estremamente confuso e difficile da padroneggiare, ma presto ci si abitua e diventa un’occupazione divertente. Le persone qui sono deliziate da questo perenne calcolare, proprio come i bambini che amano le difficoltà facilmente superabili. In effetti hanno sempre le dita per aria, fanno calcoli mentalmente e gli piace tenersi occupati con i numeri.
Una delle prime cose che Goethe fece durante il suo viaggio fu quindi disegnare una tabella per confrontare le ore italiane e quelle tedesche2.
Per gli italiani di allora, conoscere con precisione l’ora del tramonto era un vantaggio pratico, per questo alcuni non erano molto convinti del sistema oltramontano. Nel corso del ‘700 i due metodi erano al centro di un animato dibattito, e furono scritti vari trattati sull’argomento, come De’ vantaggi dell’orologio italiano sopra l’oltramontano, stesura di un discorso tenuto nel 1783 ad Alessandria dall’abate Giulio Cordara.
Quantunque tutte le nazioni oltramontane si sian degnate di prendere dall’Italia la prima norma di costruir gli Orologi, quasi tutte han poi voluto differenziarsi dagl’Italiani nel metodo di contare, e di segnare le ore. Noi cominciamo a contarle, come sapete, dal tramontare del sole […]. Gli oltramontani al contrario dividono in certo modo il giorno in due metà. Cominciano a contare dal punto della mezza notte, e non passan le dodici, che si chiaman le ore della mattina. E poi tornan da capo a contare le altre dodici, dal punto del mezzo giorno, e queste si chiamano le ore della sera. E come le contano, così ancora le segnano nel quadrante del loro Orologio. Essi avranno senza dubbio delle buone ragioni per fare così.
Sembra che la natura medesima si sia dichiarata in favore del sistema nostro Italiano […] tanto che il Sole medesimo, nell’atto di nascondersi, par che dica che in quel punto finisce un giorno e ne comincia un altro. Ma è forse così nel sistema oltramontano, che mette per principio del giorno il punto di mezza notte? È egli credibile, naturale, che si passi da un giorno ad un altro senza averne alcun indizio? senza che alcuno se ne accorga? E che il mattino cominci a mezza notte? E che a mezzo giorno cominci la sera?
Purtroppo per l’abate Cordara, il sistema italiano aveva un grosso difetto: obbligava a regolare ogni giorno gli orologi meccanici, ed esisteva un’apposita tabella per farlo. Ma il progresso avanzava inesorabile, e gli orologi italiani avevano le ore contate!
Già nel 1748 il duca Filippo I di Parma, un Borbone ma anche un convinto illuminista, aveva introdotto l’orologio oltramontano, generando in città un’enorme confusione. Se ne trova una testimonianza nelle Memorie di Giacomo Casanova. Entrando a Parma (città natale del padre) sotto falso nome, Casanova trovò una città sottosopra: “Mi sembrava di non essere più in Italia, perché tutto aveva l’aria oltramontana” - scrive. - “Sulle bocche dei passanti non sentivo che il francese o lo spagnolo”. In questo “strano miscuglio di libertà francese e di arroganza spagnola”, come racconta a Casanova una sarta, tra le novità c’è anche il cambio dell’ora:
« […] Siamo ridotti a una confusione incredibile, e da tre mesi non c’è più nessuno a Parma che sappia che ore sono.»
«Hanno distrutto gli orologi?»
«No, ma da quando Dio ha fatto il mondo, il sole si è sempre coricato alle 23 e mezza, e alle 24 si suonava l’Angelus: tutte le persone oneste sapevano che a quell’ora si accendevano le candele. Ora non si capisce più nulla: il sole è impazzito, tramonta ogni giorno a un’ora diversa. I nostri contadini non sanno più a che ora devono andare al mercato. Lo chiamano regolamento, ma sapete perché? Perché in questo modo tutti sanno che si pranza a mezzogiorno. Bel regolamento! Ai tempi dei Farnese si mangiava quando si aveva appetito, ed era molto meglio!»
L’ora fatidica per gli orologi italiani scoccò nel giugno del 1796, quando Napoleone entrò a Bologna. Tra le tante nuove regole3 introdusse anche le ore oltramontane, anche dette “francesi”. Il 19 agosto, nel Senato cittadino, gli orologi vennero regolati al sistema francese, seguirono il 25 settembre anche gli orologi pubblici.
Io spero di aver capito bene, le cose sono un po’ più complesse di così e qui sono spiegate più nel dettaglio.
Nel 1788 sull’argomento Goethe scrisse anche un articolo, La misura delle ore degli italiani, che purtroppo ho trovato solo in tedesco.
Ad esempio la riforma della toponomastica, che introdusse le “lapidette” che indicavano i nomi delle strade, o l’obbligo di spostare i cimiteri fuori dai centri cittadini, come già avevamo visto nella newsletter sul mare a quadretti.
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