Angelica Kauffmann, pittrice
Nata in Svizzera, visse a lungo in Italia e in particolare a Roma. Ammiratissima dai suoi colleghi uomini, come Goethe e Canova, dovette però scontrarsi con un mondo quasi esclusivamente maschile
Pochi mesi prima di morire, sentendo che presto le forze le sarebbero mancate, la pittrice Angelica Kauffmann bruciò quasi tutte le sue carte. Non so se all’epoca fosse normale fare una cosa del genere, io mi sono fatto l’idea che quelle fiamme servissero anche a non alimentare voci, invidie e pettegolezzi, a quanto pare inevitabili per una donna che si trovava a vivere in un mondo quasi esclusivamente maschile come quello degli artisti nella Roma di fine ‘700 e inizio ‘800. O almeno questo suggeriscono le parole di Giovanni Gherardo De Rossi, autore nel 1810 della Vita di Angelica Kauffmann, pittrice. De Rossi ci avverte che non avrebbe dato alle stampe il suo libro “se non avessi trovato fra le carte del di lei Padre una memoria riguardante alcune avventure, sulle quali si spacciarono molte favole, e romanzesche narrazioni, su cui essa (col saggio fine di non moltiplicarle) serbò prudente il silenzio”.
Nonostante questo tentativo, nel corso dell’800 la vita della Kauffmann divenne facilmente il tema per romanzi e biografie incentrate proprio sugli aspetti meno artistici della sua vita. Eppure Angelica fu anche molto amata e stimata dai suoi colleghi uomini, e furono loro a raccontare la sua vita.
Nata nel 1741 a Chur, capitale del cantone dei Grigioni in Svizzera, Angelica Kauffmann visse in realtà quasi sempre in Italia, dove tra Bologna, Firenze, Venezia e Roma si formò come artista. Dopo una lunga parentesi in Inghilterra, dal 1781 al 1807 (anno della sua morte) si stabilì a Roma, dove divenne un punto di riferimento per gli artisti che passavano o vivevano nella (futura) Capitale. Fu amica di Goethe e di Canova, e moglie del pittore veneziano Antonio Zucchi. I suoi dipinti sono principalmente di carattere storico o mitologico, ma nella sua produzione ci sono anche molti ritratti (come quello di Goethe che avevamo già incontrato qui).
Il padre Johann Joseph, anche lui un pittore, si accorse presto dell’inclinazione della figlia per l’arte. Ma già negli anni della prima formazione Angelica incontrò delle difficoltà, come racconta De Rossi:
La modestia impediva che potesse applicarsi la fanciulla allo studio dal vero; ma a questo ostacolo, che si oppone ai progressi del bel sesso nelle Arti del disegno, si studiava di apporre riparo il genitore, cercando di farle raddoppiare gli studi sul gesso.
Angelica e il padre si trasferirono in Italia, e nel 1762 erano a Firenze, dove lei continuò i suoi studi, copiando i capolavori conservati agli Uffizi. Anche qui però, essere una donna comportava dei problemi. Dice sempre De Rossi:
Potè facilmente ottenere che nella Ducale Galleria fosse a lei assegnata una appartata stanza, ove potesse copiare, senza essere esposta tra la folla degli studenti, quegli originali che credesse più utili a’ suoi progressi.
Se “dal vero” poteva ritrarre solo le teste, Angelica non trascurò comunque di studiare l’anatomia, come testimoniato da questo foglio conservato al Yale Centre for British Arts: sul recto troviamo un autoritratto, sul verso lo studio di un’anatomia maschile.
Nel 1766, a 25 anni, la Kauffmann si trasferì a Londra, dove visse per 15 anni. Nel 1768 lei e la pittrice Mary Moser furono le uniche due donne invitate tra i membri fondatori della Royal Academy of Arts. Erano comunque escluse dalle cene e dagli incontri che erano il fulcro della vita dell’accademia1, ed evidentemente la presenza di due donne non piaceva a tutti: per la mostra estiva del 1775, il pittore Nathaniel Hone aveva presentato il dipinto Il mago, in cui Angelica era raffigurata nei panni di una bambina appoggiata alle ginocchia del presidente dell’accademia, Joshua Reynolds. Chiara allusione a un presunto affaire tra i due. La Kauffmann reagì minacciando di ritirare le proprie opere dalla mostra e ottenne che il dipinto di Hone (se proprio volete vederlo, è qui) non fosse esposto, come si legge in una delle poche lettere scritte di suo pugno:
Gentlemen! Ho avuto l’onore di una vista da Sir Will. Chambers - lo scopo della quale era di riconciliarmi con la presentazione alla mostra di un dipinto che mi ha offeso. Per quanto ammiri la dignità di lor signori, che sono superiori alla malignità dell’autore, avrei molta più stima per la loro condotta se avessero tenuto in considerazione il Rispetto per il sesso che hanno la bontà di sostenere. Se temono di perdere un membro dell’accademia che non ha rispetto per quel sesso, spero di avere la libertà di lasciare a loro il piacere di quell’accademico e di ritirare ciò che non ha mai meritato di essere ridicolizzato da lui o da loro. […[ Ho solo una richiesta da fare, di restituirmi i miei Dipinti se quell’opera sarà esposta in mostra.
Sempre nel periodo inglese, Angelica si sposò: un matrimonio abbastanza frettoloso e sicuramente sbagliato, che per anni alimentò le “romanzesche narrazioni” sul conto della pittrice. Il buon De Rossi lo racconta così:
Era comparso in Londra un uomo di bell’aspetto, di vivace talento, di ragionevole cultura, di nobili maniere; che spacciavasi per distinto Signore Svedese, sotto il nome di Conte Federico de Horn. […] concorse anche’egli allo studio della Kauffmann, e concepì sopra di lei i più orribili disegni. […] Rinnovando le visite rendendo, sempre insinuante più, e più ritenuto il suo conversare, a poco a poco si fa strada nel cuore di lei, che incomincia a guardarlo con premurosa distinzione. Lo scaltro ben se ne avvede, coglie un opportuno momento, e le spiega coi più seducenti modi la sua passione.
Il conte si rivelò ben presto un impostore, già sposato e sul lastrico, e nemmeno conte! Così nel giro di due settimane il matrimonio era già finito, anche se Angelica riuscì a ottenere una vera separazione solo molti anni dopo. Nel 1781, a 40 anni, la Kauffmann si stabilì a Roma e sposò il pittore Antonio Zucchi, di 15 anni più grande di lei.
A Roma il suo salotto diventò presto un punto di incontro per gli artisti, italiani e non. Nel 1787 lo frequentò assiduamente anche Goethe, che nel Viaggio in Italia descrive così Angelica:
Non è felice, come dovrebbe essere con un talento così grande e una ricchezza che cresce ogni giorno. È stanca di dipingere per denaro, tuttavia il suo anziano marito pensa che non sia affatto male incassare tanti soldi in cambio di lavori così facili, come spesso succede. A lei invece piacerebbe adoperare il suo sguardo e la sua mano per la propria soddisfazione con più tempo, cura e studio, cosa che avrebbe la possibilità di fare. Non hanno figli, non riescono a spendere le loro rendite, e, in più, con poca fatica lei riesce a guadagnare ogni giorno abbastanza. […] Ha un talento incredibile, davvero immenso per una donna.
Torniamo a questo punto alle fiamme che consumano le carte di Angelica. È l’inizio del 1807, e pochi mesi dopo, a ottobre, la pittrice si spense nel suo letto. La sua scomparsa doveva davvero aver lasciato un vuoto nel cuore degli artisti romani. Dei funerali di Angelica si incaricò Antonio Canova. Ma non era ancora abbastanza, come racconta De Rossi:
Il Cugino Giovanni e gli altri suoi eredi ottennero che fosse collocato il di lei busto nel Panteon presso quelli dei più celebri uomini di cui si vantino le Belle Arti. Un magnifico funerale accompagnò un anno dopo la sua morte il collocamento del busto nel Panteon.