Bizet e l'unità d'Italia
Nel 1859 il compositore progettava un lungo viaggio da Roma a Venezia, ma la Seconda guerra d'indipendenza sconvolse tutti i suoi piani: nelle sue lettere c'è una cronaca disincantata del conflitto
All’inizio del 1859 il compositore Georges Bizet progettava un lungo viaggio in Italia, su fino a Venezia per poi ridiscendere lungo l’Adriatico e tornare a Roma passando dal Gran Sasso. Ma era il 1859, appunto, e la Seconda guerra d’indipendenza stava per sconvolgere tutti i suoi piani.
Un giorno i francesi partono, l’indomani restano; un giorno si combatte, l’altro ci si abbraccia. Che vadano tutti al diavolo!
Bizet, futuro autore della Carmen e tra i più importanti compositori francesi, era allora poco più che ventenne. Da circa un anno viveva a Roma, a Villa Medici, dove alloggiavano i vincitori del prestigioso Prix de Rome dell’Accademia di Francia. Del suo soggiorno romano ho già scritto nella puntata Georges Bizet a Villa Medici, qui invece vorrei concentrarmi sulla primavera/estate del 1859, quando le lettere che Bizet scriveva alla famiglia diventano una sorta di cronaca della Seconda guerra d’indipendenza, vista con gli occhi di un giovane francese.
Riassumiamo molto velocemente il corso degli eventi. Dopo le insurrezioni del 1848 e la disastrosa Prima guerra d’indipendenza, l’Italia era ancora divisa in vari staterelli, con gli austriaci che occupavano il lombardo-veneto. Tra questi staterelli solo il Regno di Sardegna di Vittorio Emanuele aveva conservato una costituzione e un parlamento. Nel 1859 il primo ministro del Regno, Camillo Benso conte di Cavour, era riuscito a convincere la Francia di Napoleone III a intervenire militarmente se il Piemonte fosse stato aggredito dagli austriaci. Dopo un po’ di provocazioni piemontesi, gli austriaci avevano effettivamente attaccato, ed ecco che nel maggio 1859 le armate francesi entravano in Italia.
Nella corrispondenza di Bizet, le prime avvisaglie della guerra si trovano già a febbraio, proprio in una lettera in cui il compositore elencava le tappe del suo agognato viaggio, e forse per questo si rifiutava di credere alla guerra:
Le voci di guerra non sono che degli affari di Borsa: qui non si può credere a quelle chiacchiere. Non c’è che un uomo al mondo che abbia interesse a fare la guerra, ed è Vittorio Emanuele.
Ma anche Bizet registra che “i milanesi si sollevano contro gli austriaci. Urlano ‘Viva V.E.R.D.I.’, che vuol dire ‘Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia’”. A marzo la situazione è ancora molto incerta, e Bizet non ne vuole sapere di questa guerra che si mette contro il suo viaggio. “Che vadano tutti al diavolo!”, scrive, prima di lanciarsi in un’invettiva contro gli italiani. Non del tutto sbagliata, in teoria, peccato che sconfini rapidamente nel razzismo, come capitava facilmente nell’800.
Gli italiani non valgono granché, o almeno i romani e i napoletani. Del resto, si detestano tutti tra loro. Se l’Italia fosse una e indivisibile, Roma picchierebbe su Firenze, Torino su Genova, Venezia su Napoli, Tivoli su Palestrina, e così via fino ai più piccoli villaggi… La loro origine si vede ancora dopo duemila anni: ci sono, in quel popolo, dei Greci, dei Volsci, degli Equi1, dei Veneti, eccetera, eccetera. Questi sono tutti dei briganti.
Prima di giudicare troppo male Bizet, ricordiamoci che allora era un ragazzo di 21 anni: le sue opinioni riflettevano semplicemente il pensiero dell’epoca, e comunque io le trovo molto divertenti (a parte le venature razziste). Per non imbattersi negli “Austriacci”, come li chiama lui, il compositore è costretto a pensare un piano B per il suo viaggio e a scegliere come meta una più tranquilla Napoli. Intanto prova a rassicurare la madre:
In Italia adorano i francesi, e noi siamo al sicuro, stai tranquilla.
A Roma erano presenti delle truppe francesi fin dal 1849, quando avevano occupato la città per porre fine all’esperimento della Repubblica romana e riportare sul trono Papa Pio IX (fin dai tempi di Carlo Magno la Francia si era sempre schierata a difesa del papato). La convivenza con i romani non era facilissima, ma l’intervento di Napoleone III aveva reso un po’ più simpatici i francesi.
Avete un’idea molto falsa dello stato delle cose a Roma; qui regna la più perfetta tranquillità, e, te lo ripeto, siamo in un paese amico. Cosa possiamo avere da temere? Tu mi parli di austriaci… Quali austriaci?? Non andremo a cercare quelli che sono in Lombardia, e non credo che avranno il tempo di venire a farci visita a Roma, e nemmeno a Firenze.
A maggio anche Napoli non sembra più praticabile, e così, mentre prepara un piano C con gli Appennini come meta, Bizet si limita a sperare che tutto finisca in breve tempo:
Se i francesi saranno vittoriosi, come dovrebbe essere, Milano, Pavia, Verona, eccetera, saranno libere nel giro di sei settimane, e allora potremo fare il nostro viaggio al nord passando da Firenze.
Il 20 maggio 1859, a Montebello, c’è il primo scontro tra franco-piemontesi e austriaci. Solo cinque giorni prima Bizet aveva finalmente deciso di partire “in compagnia del mio amico Didier2, del suo cane e di un giovane di Parigi, chiamato Paris, un ragazzo molto simpatico”. Il viaggio comincia dalla costa, dal porto di Anzio.
Il compositore viaggia senza sapere nulla della guerra in corso, “da quando sono partito non ho letto un giornale”, scrive. Ad Anzio intanto se la spassa, dalla sua camera il mare è così vicino che potrebbe saltarci dentro dalla finestra. “I bagni di mare mi fanno un gran bene e il mio pallore comincia a sparire”. Tuttavia giura di non essere indifferente alla guerra. Da Terracina scrive alla madre che gli rimprovera questo disinteresse:
Ti assicuro che, se conoscessi la matematica e un po’ di strategia, sarei già in Piemonte, dove senza dubbio non tarderei molto a guadagnarmi le spalline. Ma nell’attesa, faccio il viaggio più delizioso del mondo e nuoto abbastanza bene da potermi tirare fuori dai guai, in caso di bisogno.
Da quello che mi dici, a Parigi si ha la bontà di credere che siano gli austriaci che hanno cercato la guerra… Questa è bella!!!
Nelle sue lettere Bizet continua a scrivere che “siamo molto ben visti dappertutto e che il titolo di francese è ora un salvacondotto in Italia” e che potrebbe spingersi fino a Napoli senza nessun pericolo, ma in realtà il suo viaggio si limita alle province di Latina, Frosinone e Rieti. Dalla costa Bizet si sposta verso le colline, fino ad Anagni.
Il viaggio che sto facendo non è mai stato intrapreso da un musicista, è un vero tour da pittore paesaggista.
Mentre i francesi sconfiggono gli austriaci a Magenta, il compositore fa progressi nella lingua italiana e impara ad andare a cavallo. Bizet si rallegra per le vittorie, ma Il suo atteggiamento nei confronti degli italiani si fa sempre più severo.
Voi forse credete, in Francia, che ci sia dell’entusiasmo in Italia: devo deludervi, ed ecco le prove. L’Italia si compone, come sai, di sette Stati differenti. Il Regno di Napoli, il più importante, non ha fornito un uomo per la guerra: i napoletani non sono per niente disposti a fare causa comune con gli italiani del nord. Negli Stati della Chiesa c’è stato qualche arruolamento, a Rieti, per esempio, città di 12 mila abitanti, ci sono stati 6 volontari. In Toscana, i soldati hanno pensato che fosse meglio restare a casa piuttosto che andare a farsi crepar la pansa. I due ducati di Parma e di Modena sono molto progressisti, ma non contano che qualche centinaio di migliaio d’anime. Quanto alla Lombardia, ci si accontenta di applaudire e di gettare fiori dalle finestre. Non è così che si libera il proprio paese. In breve, in Italia ci sono 25 milioni di abitanti e Garibaldi non ha potuto riunire che 10 mila volontari. Leggo dei giornali che si indignano, e hanno ragione. Solo il Piemonte si comporta con grande coraggio, ma il Piemonte non è che un quinto dell’Italia.
Infine questa guerra servirà a dimostrare che la Francia è la prima nazione del mondo, che Napoleone III è un grande uomo e che Vittorio Emanuele è un principe di grande coraggio, ma devono essere disgustati dall’inettitudine della gente per la quale combattono. Per quanto mi riguarda non avrei mai creduto che degli uomini potessero comportarsi così. Del resto, ne hanno dato prova nel 1848: sanno urlare e fare dei governi provvisori, questo è tutto.
Devo dire che queste lettere di Bizet sono un po’ dissociate, da una riga all’altra si passa da una tirata come quella qui sopra alla descrizione delle gioie del viaggio. A inizio luglio il compositore si trova a Rieti, dove è arrivato dopo nove ore di corsa a cavallo. “Dormiamo in villaggi dove ci sono solo cimici, e poi passiamo la notte a parlare. L’aria che respiriamo è talmente sana che, malgrado queste fatiche, stiamo a meraviglia”. Lungo la strada il gruppo ha adottato un cane e l’ha chiamato Magenta, in onore della battaglia: “Quando lo chiamiamo per strada, i preti storcono il naso in modo meraviglioso”.
Bizet torna a Roma giusto in tempo per la pace, o meglio per l’armistizio di Villafranca, con cui l’Austria cede la Lombardia ma mantiene il Veneto. Per i patrioti italiani è una enorme delusione:
È chiaro che i romani sono furiosi e che noi siamo detestati più che mai. Questi signori si erano figurati che si sarebbe data tutta l’Italia a Vittorio Emanuele. Tutti quei piccoli dandy che, invece di andare a farsi uccidere in Lombardia, facevano dei calembours sui nomi dei nostri generali morti sul campo d’onore, quegli stessi oggi urlano al tradimento.
Bizet ha anche buone parole per gli austriaci: “Sono nostri alleati. Da nemici sono diventati quello che non avevano mai smesso di essere, delle bravi ed eccellenti persone”.
Tu sai, senza dubbio, quel che succede in Italia (non a Roma, per via dell’occupazione): si brucia l’effigie dell’imperatore; il nostro ambasciatore viene insultato a Firenze…
Tuttavia la guerra è finita, e in agosto Bizet può finalmente partire per Napoli dove rimarrà fino a novembre, visitando Amalfi, Salerno, Paestum e Pompei, e continuando nel frattempo ad annotare gli eventi italiani, man mano che cominciano i plebisciti e le annessioni al neonato Regno d’Italia. Ma la situazione è parecchio ingarbugliata.
Gli italiani di Milano sono furiosi contro Vittorio Emanuele, Di già!!! Quelli di Venezia non vogliono più sentire parlare di Francesco Giuseppe. Il re di Napoli rifiuta di far parte della confederazione. Il Papa geme orribilmente per l'affare delle legazioni [cioè la perdita delle Legazioni di Bologna e della Romagna, che si univano al Piemonte]. Che pasticcio!!!
Rientrato a Roma, Bizet trova un clima altrettanto incandescente, con Papa Pio IX inferocito.
Il Papa ha fatto recentemente un discorso furioso contro Napoleone, Vittorio Emanuele e Garibaldi. Chiama quest’ultimo “assassino”: è gentile e degno del capo della Chiesa cattolica.
Napoli è in tumulto. Si urla a Garibaldi. Se la rivoluzione scoppia a Napoli e se la popolazione napoletana proclama l’annessione alla Sardegna, tuto sarà finito, o meglio tutto comincerà.
Nel 1860 il compositore è pronto a lasciare il suo posto a Villa Medici e a tornare in Francia, ma prima vuole fare un altro viaggio in Italia, visitare Venezia e poi scendere verso la Toscana. Il tempismo di Bizet come sempre è pessimo, e il suo viaggio avviene in contemporanea con la spedizione di Garibaldi in Sicilia. Stavolta però nelle sue lettere troviamo pochi riferimenti ai fatti italiani: immagino sia perché in quest’occasione i francesi non erano coinvolti.
Bizet comunque non era molto fortunato con i viaggi. In questo caso riuscì giusto ad arrivare a Venezia, nel settembre 1860, ma appena messo piede in laguna ricevette brutte notizie sulla salute della madre e decise di rientrare in fretta a Parigi. La sua ultima lettera datata dall’Italia è del 5 settembre; due giorni dopo Garibaldi entrerà a Napoli, ponendo fine al regno di Francesco II di Borbone.
Vittorio Emanuele ha preso possesso della Romagna e dei ducati di Toscana, Parma e Modena. Questo gli ha dato qualcosa come 11 o 12 milioni di abitanti, tanto quanto la Prussia. È un bel sogno, per un principe che possedeva uno Stato così piccolo, trovarsi alla testa della prima potenza di secondo ordine e al risveglio essere re d’Italia, di un paese di 26 milioni di anime.
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I Volsci e gli Equi erano antichi popoli italici.
Jules Didier, pittore, anche lui allievo dell’Accademia di Francia a Roma.