Byron vs Foscolo
Entrambi nati nel 1778, entrambi romantici ed entrambi in fuga dal proprio Paese: i due poeti si incontrano/scontrano in una delle lettere di Byron da Venezia
Lord Byron (George Gordon Byron) lasciò per sempre l’Inghilterra nell’aprile del 1816. Dopo un breve soggiorno in Svizzera, arrivò in Italia in ottobre e a novembre era già a Venezia, dove si stabilì per diversi anni. Lo avevamo già visto per Goethe, ma qui vale ancora di più: anche quella di Byron è una fuga. In patria, il poeta era un personaggio chiacchieratissimo e fonte continua di scandali. Si era parlato di incesto per il suo legame con la sorellastra Augusta Leigh, e il matrimonio con la ricca ereditiera Anne Isabelle Millbanke era finito con una separazione, nel gennaio del 1816, e con Lady Byron convinta che il marito fosse completamente impazzito.
Io, però, farei attenzione a quella data: 1816. Napoleone era stato sconfitto a Waterloo solo l’anno prima, proprio dagli inglesi (anche se non da soli). In Europa trionfava la reazione, e immagino che l’Inghilterra di quegli anni non fosse esattamente il massimo dell’apertura mentale. Non credo sia un caso che i poeti romantici inglesi (Byron, Shelley, Keats) l’abbiano tutti abbandonata per l’Italia. Byron, in particolare, era stato anche quello che aveva identificato in Napoleone l’eroe romantico per eccellenza, pur non risparmiandogli critiche. Nel 1814 aveva scritto l’Ode a Napoleone1, nel 1815 Napoleon’s Farewell2. Al duca di Wellington, il vincitore di Waterloo, aveva invece dedicato, nel 1819, il poema Wellington: il migliore dei tagliagole3.
Ma mentre Byron lasciava l’Inghilterra per l’Italia, un altro poeta faceva il percorso inverso. Ugo Foscolo, che di certo non nascondeva le sue idee rivoluzionarie, aveva lasciato Milano nel 1815 per non dover giurare fedeltà al nuovo regime austriaco4, e nel 1816 si era stabilito a Londra. È lo stesso anno dell’addio di Byron all’Inghilterra, e i due poeti sono anche coetanei.
Nella fitta corrispondenza che Lord Byron intratteneva da Venezia con il suo editore inglese John Murray, a un certo punto i due poeti si scontrarono a distanza. Il 19 marzo 1819 Murray scriveva così a Byron:
Dovrei completare questo mese una bellissima edizione dei tuoi5 lavori e la comparsa in questo momento di una tua opera originale mi renderebbe il più grande servizio possibile, tutti aspettano e chiedono qualcosa di tuo. Qui al mio fianco c’è Foscolo, che si lamenta del fatto che un uomo del tuo genio non si impegni per sei o otto anni nel componimento di un’opera degna di te […]. Credimi, non c’è personaggio più discusso di te6 in questo Paese; sei l’argomento di conversazione costante in tutte le classi sociali, e il tuo ritratto è inciso, e dipinto, e venduto in ogni villaggio del Regno.
Nella sua risposta, datata 6 aprile 1819, Byron ne ha per tutti:
Così tu e Mr. Foscolo volete che io intraprenda quella che voi definite una “grande opera”? Un poema epico, suppongo, o una qualche specie di piramide. Non proverò niente del genere; Io odio le sfide. […] E Foscolo! Perché non fa lui qualcosa di più che le Lettere di Ortis, e una tragedia e qualche pamphlet? Ha avuto quindici anni buoni più di me: che ha fatto tutto quel tempo? - Ha provato il suo Genio, senza dubbio, ma non ha fissato la sua fama, né ha toccato il suo massimo.
E poi voglio scrivere il mio lavoro migliore in italiano e mi ci vorranno altri nove anni per impadronirmi bene della lingua; poi, se andrò ancora di moda, e se io ci sarò ancora, proverò quello che posso fare davvero. E per quanto riguarda la stima degli inglesi di cui parlate, lasciate che calcolino loro quanto vale, perché mi insultano con la loro insolente condiscendenza.
Non ho scritto per il loro piacere. Se sono contenti è perché loro hanno scelto di esserlo; io non ho mai blandito le loro opinioni, né il loro orgoglio. Io ho scritto per la pienezza della mia mente, per passione, per impulso, per molti motivi ma non le per le loro “dolci voci”.
Loro hanno fatto di me, senza che io volessi, una specie di idolo popolare; loro, senza ragione o giudizio oltre al capriccio del loro piacere, hanno buttato giù l’Immagine dal piedistallo; non si è rotta per la caduta, e ora, sembra, vorrebbero di nuovo rimetterla al suo posto - ma non ci riusciranno.
Chissà perché, mi sono convinto che tutto questo fervore sia un po’ artefatto. Secondo me Byron si divertiva a fare polemica, e credo fosse anche un modo per intrattenere il suo interlocutore. Nelle sue lettere veneziane mi pare che ci sia spesso questa tendenza: Byron racconta aneddoti, racconta le sue avventure amorose, è come se volesse tenersi buono John Murray, che in fondo è il suo editore7, è quello che dà i soldini!
Non ho trovato la traduzione in italiano, ma la versione inglese è qui.
Anche in questo caso ho trovato solo la versione in inglese.
Foscolo racconta la vicenda del suo addio a Milano nella Lettera apologetica del 1825.
In inglese Murray scrive yours: come sempre in questi casi, non saprei dire se gli sta dando del lei, del voi o del tu, ma pare che i due fossero abbastanza amici, quindi ho deciso che Murray poteva permettersi dare del tu a Byron, anche se è un Lord.
Un esempio su tutti: pare che fosse ispirata a Byron la figura del vampiro aristocratico che poi comparirà nel Dracula di Bram Stoker (1897). Tutto iniziò nel 1819 quando John Polidori pubblicò il racconto Il vampiro, il cui protagonista, Lord Ruthven, è chiaramente Byron. Addirittura il racconto fu inizialmente attribuito a lui. L’idea nacque nel famoso “anno senza estate” (1816), quando Byron, Polidori, Percy e Mary Shelley si trovavano in vacanza in Svizzera e, costretti in casa per il brutto tempo, si sfidarono a scrivere il racconto più pauroso possibile. E Mary scrisse Frankenstein.
La casa editrice John Murray Press esiste ancora!
Bello che tu ci restituisca questo dialogo fra i due artisti contemporanei e, ora scopro, anche coetanei. Spesso affiancati nelle antologie per le superiori, non avevo mai immaginato che avessero comunicato fra loro, anche se indirettamente. Interessante sapere che, anche allora, tutto si intrecciava, grazie alla posta e ai cavalli.