Germaine de Staël e il mistero d'Italia
Scrittrice e saggista, fu la donna che fece scoprire il Romanticismo tedesco a tutta Europa. Visitò l'Italia nel 1805 e la descrisse in "Corinna, o l'Italia", un libro di viaggio camuffato da romanzo
Il nome di Madame de Staël era per me solo un vago ricordo scolastico. Aveva qualcosa a che fare con il Romanticismo, ma per il resto conservavo solo una generale impressione di antipatia, dovuta più che altro all’appellativo madame e al de nobiliare. Ma adesso che per il mio fumetto sto studiando il periodo a cavallo tra il ‘700 e l’800, tra Illuminismo e Romanticismo, quel nome, Madame de Staël, è tornato inevitabilmente alla luce. Avevo incrociato questa donna del tutto eccezionale già alcuni mesi fa per via del suo romanzo Corinne o l’Italia (1807). Mi ero ripromesso di approfondire, e infine è arrivato il momento per farlo.
Per prima cosa ho scoperto con piacere che il vero nome di Madame de Staël era Anne-Louise Germaine Necker e che non era nemmeno nobile. Suo padre, Jacques Necker, era stato ministro delle Finanze di Luigi XVI, nel periodo di grave crisi economica che aveva fatto da preludio alla Rivoluzione francese. Il cognome de Staël e il titolo di baronessa le arrivarono dal matrimonio con il barone Erik Magnus de Staël-Holstein, ambasciatore svedese alla corte del re di Francia. Ma era un matrimonio d’interesse e non durò molto: nella sua vita Germaine ebbe diversi altri uomini, tra cui il filosofo Benjamin Constant, e cinque figli nati da quatto relazioni diverse.
Politicamente, Germaine era una liberale: era pur sempre figlia di un banchiere svizzero! Era stata favorevole alla Rivoluzione del 1789 ma non a Robespierre (lo definì “abominevole”); aveva inizialmente ammirato il generale Bonaparte, ma divenne una sua feroce avversaria quando Napoleone si proclamò Primo console e poi Imperatore. Germaine lo conobbe personalmente e nel suo saggio Considerazioni sui principali avvenimenti della Rivoluzione francese (pubblicato postumo nel 1818), ce lo descrive così:
Non era né buono, né violento, né dolce, né crudele […]. Sentivo confusamente che nessuna emozione del cuore poteva agire su di lui. Guarda una creatura umana come un fatto o come una cosa, ma non come un suo simile. Non odia più di quanto ami; per lui, non c’è che lui stesso; tutte le altre creature sono delle cifre.
Insofferente rispetto alle critiche, Napoleone spedì Germaine in esilio, imponendole di rimanere a 40 leghe (circa 200 chilometri) da Parigi. La famiglia Necker era originaria di Ginevra, in Svizzera, ed è lì che lei si rifugiò, rendendo la sua casa uno dei luoghi di incontro per gli intellettuali di tutta Europa.
Forse non è un caso che questa vicenda abbia proprio la Svizzera come base: tutta l’attività intellettuale di Germaine fu dedicata a mettere in contatto e far dialogare i letterati francesi, tedeschi, inglesi e italiani. È per questo che l’abbiamo studiata a scuola! Nel 1816, un anno prima della sua morte, aveva pubblicato un articolo sulla neonata rivista La biblioteca italiana. Apparentemente era un innocuo testo sull’utilità delle traduzioni, ma in realtà nascondeva un duro attacco contro i letterati italiani.
La letteratura italiana al momento è divisa tra gli eruditi che setacciano e rimescolano le ceneri del passato, per cercare di trovarvi ancora qualche pagliuzza d’oro, e gli scrittori che si affidano all’armonia della loro lingua per fare delle concordanze senza idee, per mettere insieme delle esclamazioni, delle declamazioni, delle invocazioni dove non c’è una sola parola che parta dal cuore o che lo raggiunga.
Ancora oggi agli italiani piace molto parlare male del proprio paese, ma reagiscono molto male se le critiche arrivano dagli altri europei, quindi vi lascio immaginare il putiferio che suscitò questo articolo. Germaine però aveva anche delle proposte: invitava gli italiani a guardare a cosa succedeva all’estero, e in particolare in Germania, che allora aveva una situazione politica simile a quella italiana.
Sarebbe molto desiderabile, mi sembra, che gli italiani si occupassero di tradurre con cura diverse nuove poesie degli inglesi e dei tedeschi; farebbero così conoscere un genere nuovo ai loro compatrioti, che si attengono, per la maggior parte, a immagini prese dalla mitologia antica.
È importante per il progresso del pensiero, nella bella Italia, guardare spesso al di là delle Alpi, non per prendere a prestito, ma per conoscere, non per imitare ma per affrancarsi da certe forme convenute che si mantengono nella letteratura come le frasi ufficiali nella vita di società.
All’articolo di Madame de de Staël rispose in maniera molto critica lo scrittore Pietro Giordani, che pure l’aveva tradotto! Giordani era un classicista convinto e nutriva seri dubbi sull’utilità di guardare ai poemi e ai romanzi “oltramontani”, e soprattuto considerava impossibile mescolare le “idee settentrionali” alle “cose nostre”.
Questa mescolanza di cose insociabili produrrebbe (come già troppo produce) componimenti simili a’ centauri.
La storia diede poi ragione a Germaine, e di lì a poco il Romanticismo si sarebbe affermato anche in Italia, con Manzoni e Leopardi. È questo il principale merito della scrittrice: aver fatto scoprire il Romanticismo a tutta l’Europa. Germaine aveva approfittato dell’esilio da Parigi per fare diversi viaggi in Europa, e in Germania aveva conosciuto Goethe e Schiller: fu lei a far conoscere la vitalità e la novità della letteratura tedesca di allora, con il saggio Sulla Germania (1813), la sua opera più importante.
E naturalmente nei suoi viaggi Germaine aveva visitato anche l’Italia. Nel 1805 soggiornò diversi mesi a Roma, poi visitò anche Napoli, Firenze, Venezia e Milano. Il viaggio produsse un romanzo molto particolare, intitolato Corinna, o l’Italia (1807). Rispetto a tutti i libri di viaggio e i diari che abbiamo incontrato in questa newsletter, qui ci troviamo di fronte a uno strano ibrido: Corinna, o l’Italia è infatti un libro di viaggio camuffato da romanzo. Provo a riassumerne almeno i primi capitoli.
Il protagonista maschile del romanzo è Lord Oswald Nelvil, un nobile scozzese che compie il suo viaggio in Italia nel 1794-1795. Oswald è giovane, bello, ricco, ma si porta dentro “un profondo sentimento di pena”, che lo tormenta dalla morte del padre1. Viaggia per distrarsi, ma il suo animo è come inaridito, e questo rende piuttosto inedita la visione dell’Italia che ci offre de Staël: tutta la bellezza che tanto affascinava i viaggiatori non ha effetto su Oswald. Così già nel secondo capitolo troviamo un’idea piuttosto insolita del viaggio.
Viaggiare è, comunque la si metta, uno dei più tristi piaceri della vita. […] Attraversare dei paesi sconosciuti, sentir parlare una lingua che conoscete appena, vedere dei volti umani senza relazione né col vostro passato né col vostro avvenire, provoca solitudine e isolamento senza sosta e senza dignità. Perché questa impazienza, questa fretta di arrivare dove nessuno vi aspetta, questa agitazione di cui la curiosità è la sola causa, vi ispira poca stima per voi stessi, fino al momento in cui le cose nuove diventano un po’ antiche, e creano dei dolci legami di sentimento e di abitudine.
Anche l’itinerario seguito da Oswald è particolare. Si comincia da Ancona, che de Staël ci descrive come una porta verso l’Oriente. “Il culto greco, il culto cattolico e il culto ebraico esistono simultaneamente e pacificamente nella città di Ancona”2, ci dice il romanzo. Ma questo affresco così idilliaco viene subito spezzato: la notte prima che Oswald lasci Ancona per raggiungere Roma, un incendio devasta la città. Mentre gli abitanti si limitano a fare processioni, a piangere o a pregare davanti alle immagini dei santi, Oswald e i suoi marinai inglesi si mobilitano per spegnere le fiamme. Delle grida però arrivano dal quartiere ebraico, che è in realtà un ghetto:
L’ufficiale di polizia era solito chiudere i cancelli di quel quartiere la sera, l’incendio avanzava da quel lato e gli ebrei non potevano fuggire. Oswald fremette a quell’idea, e chiese all’istante che il quartiere venisse aperto; ma alcune donne del popolo che lo avevano sentito si gettarono ai suoi piedi per scongiurarlo di non fare niente: “Vedete bene”, dissero, “oh! nostro angelo! che è sicuramente a causa degli ebrei che sono qui che abbiamo sofferto questo incendio”.
Questa idea degli italiani annebbiati da una cappa di superstizione e fanatismo religioso si ritrova anche nei saggi di de Staël, che è pur sempre cresciuta in una famiglia illuminista. Ma lei ha già scoperto il Romanticismo, quindi già nel viaggio di Oswald verso Roma, ci tiene a specificare che le cose sono più complesse.
[Oswald] aveva d’altronde dei pregiudizi contro gli italiani e contro l’Italia; non penetrava ancora il mistero di questa nazione né di questo paese, mistero che bisogna comprendere con l’immaginazione piuttosto che con quello spirito giudicante che è particolarmente sviluppato nell’educazione inglese.
E così la campagna romana, che tanti pittori apprezzavano e dipingevano, appare a Oswald come una terra incolta e deserta, e nemmeno l’apparire della cupola di San Pietro in lontananza riesce a scuoterlo. Anche l’ingresso a Roma avviene “in una sera oscura, con un tempo grigio, che appannava e confondeva tutte le cose”. L’atmosfera del romanzo è fin qui piuttosto cupa e prepara con cura l’apparizione di Corinna, che si annuncia con toni del tutto diversi.
Oswald si risvegliò a Roma. Un sole abbagliante, un sole d’Italia, colpì i suoi primi sguardi, e la sua anima fu penetrata da un sentimento d’amore e di riconoscenza per il cielo che sembrava manifestarsi in quei bei raggi. Sentiva suonare i campanili delle numerose chiese della città; dei colpi di cannone, a una certa distanza, annunciavano qualche evento solenne: chiese quale fosse la causa; gli risposero che quella mattina stessa si incoronava, al Campidoglio, la donna più celebre d’Italia, Corinna, poetessa, scrittrice, improvvisatrice e una delle più belle donne di Roma.
Sono abbastanza sicuro che nel personaggio di Corinna de Staël abbia messo anche un po’ di se stessa, tuttavia è ispirato a una poetessa realmente esistita. Maria Maddelena Morelli, con il nome di Corilla Olimpica, era una famosissima “improvvisatrice”, era cioè capace di creare versi sul momento, a seconda dell’occasione3. L'incoronazione citata nel romanzo, con la classica corona di alloro, avvenne in realtà nel 1776. A celebrare questo rito letterario era l’Accademia dell’Arcadia, fondata nel 1690 con l’idea di richiamarsi ai classici, da Omero a Dante e Petrarca4. Anche questo è un ricordo scolastico, non sapevo invece che l'Accademia esiste ancora e che al momento dell’ammissione gli Arcadi ricevono un nuovo nome, come Odimo Olimpico, Ligdamo Leucadio o Fiorilla Limeria (sono nomi di attuali Arcadi, qui c'è l'elenco completo).
Ma torniamo a Corinna e al romanzo. De Staël non solo descrive ampiamente tutta l’incoronazione, ma si inventa anche il poema improvvisato da Corinna in quell’occasione: un componimento che è una sorta di riassunto delle meraviglie dell’Italia, da Dante a Michelangelo, dove però è nascosta anche una citazione da Goethe: “Conosci la terra dove fioriscono gli aranci?”, recita Corinna, con una piccola variazione rispetto a “Conosci il paese dove fioriscono i limoni?” di Goethe.
Oswald naturalmente è subito incantato da Corinna, e nel romanzo sarà lei a guidarlo alla scoperta dell’Italia e a incrinare i suoi pregiudizi:
Quando conoscerete gli italiani, vedrete che hanno nel loro carattere qualche traccia dell’antica grandezza, qualche traccia rara, sfumata, ma che potrebbe riapparire in tempi più felici.
Visto che Oswald dopo due settimane a Roma non ha ancora visto nulla, sarà Corinna a fargli scoprire la città: lo porta al Pantheon, a Castel Sant’Angelo, poi visitano San Pietro, il Campidoglio, il Foro, il Colosseo e i vari colli. E qui il romanzo diventa proprio una guida di viaggio. Bisogna aver presente che già nel ‘800 il viaggio in Italia era un genere fin troppo frequentato, e qui de Staël trova un modo inedito di scriverne. Dopo Roma, la tormentata storia d’amore tra Corinna e Oswald si sviluppa seguendo il classico itinerario del Grand tour: Napoli, il Vesuvio, Venezia, Firenze, fanno da sfondo alla vicenda, che è piuttosto intricata (il romanzo è lungo più di 400 pagine!). È un po’ quello che più di un secolo dopo farà Roberto Rossellini nel suo film Viaggio in Italia (1964), che è in realtà il racconto di una coppia in crisi.
Nelle parole della sua Corinna la de Staël inserisce anche le sue considerazioni sull’arte e sulla letteratura italiana e sulla situazione politica e sociale del paese. Sono idee che in realtà aveva già esposto nel capitolo dedicato all’Italia del saggio Sulla letteratura (1800) e che in forma più breve si ritrovano anche nell’articolo pubblicato su La biblioteca italiana. Alcune di queste riflessioni sono molto critiche: lette oggi, da un lato possiamo sorprenderci, dall’altro senza dubbio riconoscerci.
In Sulla letteratura Germaine de Staël ripercorre la storia (allora) recente dell’Italia: ne emerge un paese soffocato dalla superstizione religiosa, ma anche dal suo stesso glorioso passato; un paese diviso in tanti piccoli staterelli, a lungo dominato da potenze straniere, dove da tempo non c’è spazio per nessuna libertà politica e di pensiero. È per questo, secondo l’autrice, che la riflessione filosofica non ha potuto svilupparsi come in altri paesi (cioè in Francia). E anche le arti rimanevano bloccate nell’imitazione dei capolavori del passato, con l’unica eccezione dell’opera lirica, che “fa sentire quell’adorabile musica, la gloria e il piacere dell’Italia”
Tuttavia per de Staël gli italiani di fine ‘700/inizio ‘800 si contraddistinguono per qualcosa a cui oggi non penseremmo: la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica.
Dopo il secolo di Leone X, dopo l’Ariosto e il Tasso, la loro poesia [la poesia degli italiani] è regredita, ma hanno avuto Galileo, Cassini, etc. E ancora oggi, una miriade di scoperte utili nella fisica li hanno associati al perfezionamento intellettuale della specie umana.
Ancor più grave della stagnazione del pensiero filosofico e delle arti, era la mentalità degli italiani di allora. Abituati a farsi beffe del potere, avevano finito per farsi beffe anche di se stessi, riparandosi dietro un cinismo che nascondeva in realtà una profonda rassegnazione.
Gli italiani, abituati spesso a non credere in niente e a professare di tutto, si sono esercitati molto di più nella burla che nel ragionamento. Si fanno beffe della loro maniera d’essere.
Per parafrasare quello che decenni dopo dirà Ennio Flaiano: in Italia la situazione è sempre grave ma non è mai seria.
Gli italiani, se si eccettua una certa classe di uomini illuminati, […] amano l’esagerazione in tutto, e per nulla provano sentimenti veri. Sono vendicativi e allo stesso tempo servili. Sono schiavi delle donne, e allo stesso tempo estranei ai sentimenti profondi e duraturi del cuore. Sono miserevolmente superstiziosi nelle pratiche del cattolicesimo, ma non credono affatto all’indissolubile alleanza della morale e della religione.
Tra tutte queste considerazioni, chiudo con quella che trovo più interessante. Riguarda la lingua italiana:
È una lingua di una melodia così straordinaria, che può ubriacarvi, come degli accordi, senza che prestiate attenzione al senso delle parole. Una lingua così voluttuosa da provocare un affaticamento del pensiero.
Per sostenere il progetto
Alcuni episodi - uno su tre - di questa newsletter sono fatti di disegni miei e di tavole in via di lavorazione per il fumetto che sto facendo, e sono riservati a chi sottoscrive un abbonamento (mensile o annuale). Per iscriversi basta pigiare il bottoncino qui sotto.
Da questo bottoncino, invece, si può anche regalare un abbonamento.
Un altro modo per sostenere il progetto è condividere un singolo post o l’intera newsletter. In ogni caso grazie di cuore!
Anche il padre di Germaine, Jacques Necker, era morto proprio alla vigilia del suo viaggio in Italia.
Nel 1569 Papa Pio V aveva ordinato l’espulsione degli ebrei da tutti i domini papali, ma sarebbe più corretto parlare di una concentrazione in alcuni ghetti, a Roma soprattutto. Ad Ancona venne mantenuta una presenza ebraica perché era utile negli scambi commerciali con l’Impero ottomano, che all’epoca era molto più tollerante dell’Europa cristiana.
La figura degli improvvisatori affascinava moltissimo i viaggiatori stranieri. In questa newsletter abbiamo già raccontato come Hans Christian Andersen, dopo il suo viaggio in Italia, scrisse L’improvvisatore (1835), ispirato appunto a uno di questi poeti.
“Et in Arcadia ego sum” è il verso in epigrafe al Viaggio in Italia di Goethe.