I consigli di Herman Melville per i viaggiatori
Tornato nel 1857 da una crociera nel Mediterraneo e in Italia, lo scrittore raccontò quell'esperienza in una serie di conferenze e, molti anni dopo, nelle sue ultime poesie
Nell’autunno del 1856 Herman Melville partì per un lungo viaggio di sei mesi che lo portò da New York all’Inghilterra, poi in Egitto, Palestina, Grecia, e ovviamente anche in Italia. Questa crociera nel Mediterraneo doveva servire a rimetterlo in sesto dopo un periodo di super-lavoro. Lo scrittore tenne un diario durante quel viaggio (ne abbiamo parlato qui) e raccolse i frutti di quell’esperienza ancora per molti anni: come vedremo, fino ai suoi ultimi mesi di vita.
Subito dopo il suo ritorno, dall’autunno del 1857 e fino al 1859, forse per fare un po’ di soldi, Melville decise di prendere spunto dai suoi viaggi per tenere un ciclo di conferenze in giro per gli Stati Uniti. Preparò tre lezioni diverse1: la prima è tutta dedicata alle statue di Roma, la seconda ai mari del Sud, mentre la terza è sul tema del viaggio. Quest’ultima in particolare mi sembra perfetta per questa newsletter: tocca problemi sorprendentemente attuali, e poi immagino che molti, in questo momento, stiano per mettersi in viaggio. Quindi ecco che cosa consiglia Herman Melville.
Prima di tutto, ecco come secondo lui dev’essere lo spirito di chi si mette in viaggio.
Per essere un buon viaggiatore, e ricavare dal viaggio un vero piacere, ci sono diversi requisiti. Un viaggiatore dev’essere giovane, senza preoccupazioni, dotato di cordialità e immaginazione. Perché senza queste ultime tanto vale che stia a casa.
Poi, se è del nord, il suo primo arrivo dovrebbe avvenire in una giornata serena, con la vista di palme e nativi vestiti allegramente, e avrà il completo piacere della novità. Senza le suddette qualità, e se ha inoltre una natura un po’ triste, si potrà anche portarlo in Paradiso e non ne ricaverà piacere, perché la gioia è per chi è di natura gioiosa.
[Deve] essere bravo a bighellonare -, questo è essenziale, perché il viaggiatore può ricavare piacere e istruzione da lunghe gallerie di dipinti, dalle magnifiche piazze, dalle cattedrali, e da altri luoghi che richiedono visite rilassate.
Poi Melville si sofferma sulle inevitabili noie e contrattempi che ogni viaggio comporta, e ci dà il suo metodo su come affrontarle.
Non bisogna aspettarsi un piacere puro. Piacere, sofferenza, profitto sono tutte cose da ricevere dal viaggio. […] Sulle piccole scomodità, sulle sofferenze dell’Egitto e dell’Italia, nella forma di mosche e altri insetti, ci passeremo sopra, anche se queste non passano altrettanto leggermente sopra al viaggiatore.
Una grande scocciatura dall’inizio alla fine è il passaporto. Si impara presto da richieste ufficiali quello che diventa un adagio, - Passaporto aperto, borsa aperta.
Le persecuzioni e le estorsioni delle guide, non solo quelle rudi e dai modi ladreschi, ma quelle che combinano una raffinatissima gentilezza con una delicatissima furfanteria, sono un altro serio inconveniente al tuo piacere, ma se pensiamo alle estorsioni mille volte peggiori che vengono praticate qui sugli immigrati, dobbiamo riconoscere che i mascalzoni non sono tutti in Europa.
C’è un metodo infallibile per sfuggire a tutte queste noie: avere le tasche piene. Paga i furfanti, ridi di loro e fuggi.
Ma soprattutto, via ogni pregiudizio. Il viaggio, per chi ha la mente abbastanza aperta, secondo Melville può essere davvero “una nuova nascita”.
Per il bene del viaggio: per prima cosa, liberati di un po’ di pregiudizi. Il nativo della Norvegia che va a Napoli trova il clima così delizioso quasi da controbilanciare le miserie del governo [qui Melville ce l’ha con Ferdinando II, ma ne parleremo più avanti].
Chi ha pregiudizi basati sul colore [della pelle] scopre diverse centinaia di milioni di persone di tutte le sfumature di colore, e tutti i gradi di intelletto, rango, prestigio sociale, generali, giudici, preti e re, e abbandona i suoi sciocchi pregiudizi2.
È importante conoscere un po’ le lingue per viaggiare con vantaggio; almeno parlare francese fluentemente. Nel Levante, dove tutte le nazioni si mescolano, persone senza pretese parlano una mezza dozzina di lingue, e una persona che a casa si crede ben istruita è spesso imbarazzata dalla propria ignoranza lì.
E infine: non è necessario andare chissà dove per viaggiare.
L’Inghilterra, la Francia, il Mediterraneo, - è inutile dilungarsi sulle loro attrattive. Ma dato che il viaggio significa cambiamento e novità, e cambiamento e novità sono spesso essenziali a una vita salutare, non lasciamoci scoraggiare da una meta più vicina.
Vai anche a Nahant [cittadina del Massachussets], se non puoi andare più in là - quello è viaggiare.
Le esperienze vissute e le cose viste durante la sua crociera nel Mediterraneo torneranno nell’ultimo libro pubblicato da Melville in vita. La raccolta di poesie Timoleon3 uscì nella primavera del 1891, pochi mesi prima della morte dello scrittore, in un’edizione limitatissima di 25 copie. La seconda sezione del volume si intitola Frutti di un viaggio di molto tempo fa e si riferisce proprio alla crociera nel Mediterraneo del 1857. Non oso mettermi a tradurre dall’inglese le poesie di Melville, mi limito a elencare alcuni titoli4 (e lascio qui il link all’edizione originale): Venezia, Addio in un canale, La torre pendente di Pisa, La cattedrale di Milano, Posillipo. Quest’ultima (nell’originale c’è scritto Pausilippo) è in realtà un poemetto che ha come sottotitolo Napoli al tempo del Bomba - il Bomba sarebbe Ferdinando II di Borbone, che si era guadagnato l’appellativo di Re Bomba per la durezza con cui represse i moti del 18485.
Non avrei altro da aggiungere, se non che Melville mi ha fatto scoprire un artista di cui non sapevo nulla. Melville infatti dedicò Timoleon al pittore americano Elihu Vedder, che visse prima a Firenze e poi per molti anni a Roma, dove morì: parleremo meglio di lui in una delle prossime puntate.
Melville aveva conosciuto l’opera di Vedder nel 1865, subito dopo la fine della Guerra civile americana. Lo scrittore vide il dipinto di Vedder intitolato Jane Jackson, ex schiava, esposto nel 1865 alla National Academy of Design, e ne aveva tratto ispirazione per la poesia Formerly a slave (inclusa nella raccolta Battle-Pieces, 1866).
Nelle sue memorie, Vedder raccontò così la genesi del dipinto:
All’incirca nel 1864 avevo il mio studio nel vecchio Gibson Building a Broadway. Passavo spesso a un angolo dove una vecchia donna nera vendeva noccioline. La sua testa docilmente chinata e uno sguardo di paziente sopportazione e rassegnazione toccarono il mio cuore e diventammo amici. Era stata una schiava giù nel Sud, e al tempo aveva un figlio, un bel tipo alto, diceva, che combatteva nell’esercito unionista. Finalmente riuscii a convincerla a posare per me e feci un suo disegno e presi anche una sua fotografia.
Melville e Vedder non erano amici, anzi non si erano mai incontrati. Quando Elizabeth spedì una copia (una di sole 25!) di Timoleon al pittore, che viveva in Italia ormai da molti anni (dal 1856, quasi in coincidenza con il viaggio di Melville, che è del 1857). Lui rispose che pure se non aveva avuto un grande successo mondano, “il fatto che la mia arte mi abbia procurato così tanti amici - anche se a me sconosciuti - fa ampiamente ammenda”6.
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I testi di queste conferenze sono stati ricostruiti nel 1957 da Merton M. Seats Jr. nel volume Melville come conferenziere basandosi sulle recensioni uscite sui giornali dell’epoca. Melville distrusse i manoscritti e non diede mai alle stampe questi testi.
Ricordo che Melville disse queste cose nel 1857-59, diversi anni prima dello scoppio della Guerra civile negli Usa.
Timoleonte era un condottiero di Corinto che nel IV secolo riuscì a liberare la Sicilia, e Siracusa in particolare, da una serie di tiranni sostenuti dai Cartaginesi. Grazie alle sue politiche l’isola si ripopolò, alcune città furono ricostruite, in particolare Gela, dove troviamo ancora le Mura timolontee. Non so perché Melville decise di ispirarsi proprio a questo personaggio, comunque è un altro legame con l’Italia!
Le poesie “italiane di Melville sono state pubblicate nel volume Melville poeta e l’Italia (Filema, 2011), a cura di Gordon M. Poole. Temo però che il libro sia introvabile, tranne che in alcune biblioteche. Il poemetto Posillipo (Al tempo del Bomba) insieme a estratti dal diario italiano di Melville, è stato pubblicato nel volume Napoli al tempo di Re Bomba (2019, Alessnado Polidori Editore, sempre a cura di Poole.
Nella poesia si cita un Silvio che viene imprigionato: direi che si tratta di Silvio Pellico, anche se non c’entrava nulla con Napoli.
Vedi questo articolo (in inglese) di Charles C. Eldredge.