In macchina con Aldous Huxley
Negli anni '20 lo scrittore attraversò l'Italia su una Citroën 10cv, poi su un'Itala modello 61, ma a guidare era la moglie Maria Nys, forse la prima donna a ottenere una patente di guida in Italia
Ho strabuzzato gli occhi e drizzato le orecchie guardando un’intervista in cui lo scrittore inglese Aldous Huxley, nel 1958, parlava ai microfoni della Rai in un perfetto italiano. Non so esattamente dove e quando l’autore de Il mondo nuovo (1932) l’avesse imparato. Di certo non nel suo primo soggiorno in Italia, quando a 15 anni andò in vacanza sul lago di Como: “L’unico italiano che conosco è Buonasera e Ritirata del wagone”, scriveva in una lettera dell’epoca. Dalla sua corrispondenza sappiamo però che prese lezioni di italiano nel 1917. Ma di certo la sua conoscenza della lingua dovette migliorare sensibilmente negli anni ‘20, quando lo scrittore visse per lungo tempo in Italia - facendo base in Toscana - insieme alla moglie Maria Nys e al figlio Matthew.
Nel suo libro del 1925 Along the road (Lungo la strada1), e in particolare nel primo capitolo, lo scrittore si diverte a smontare il mito romantico del viaggio in Italia. Secondo Huxley sono pochi i viaggiatori a cui piace veramente viaggiare, la maggior parte si sobbarca faticosi spostamenti e scomodità solo per snobismo, per moda, per aver qualcosa di cui parlare al ritorno. Ma il viaggio in Italia comporta una serie di obblighi a cui sottostare, una quantità di chiese e musei e monumenti da vedere a ogni costo. Finché il turista stremato non ce la fa più:
Esasperato e ribelle, il turista giura che non metterà il naso in un altra chiesa, preferendo trascorrere le sue giornate nella sala dell’hotel, a leggere la versione europea del Daily Mail.
Ricordo di aver assistito a una di queste ribellioni a Venezia. Una compagnia di motoscafi pubblicizzava escursioni pomeridiane all’isola di Torcello. Prenotammo i nostri posti e partimmo all’ora stabilita, in compagnia di altri sette o otto turisti. Romantica nella sua desolazione, Torcello si stagliava sulla laguna. I marinai si avvicinarono a un molo melmoso. A un quarto di miglia di distanza c’era la chiesa. Contiene alcuni dei più bei mosaici in Italia. Scendemmo sulla banchina - tutti tranne una coppia di cocciuti americani che, dopo aver saputo che l’oggetto di interesse in quest’isola era solo un’altra chiesa, avevano deciso di rimanere comodamente seduti nella barca finché gli altri non avrebbero fatto ritorno. Li ammirai per la loro fermezza e per la loro onestà. Ma allo stesso tempo mi sembrava una cosa un po’ malinconica che avessero fatto tutta quella strada e speso tutti quei soldi, per il semplice piacere di sedere in un motoscafo legato a un pontile marcio. Ed erano solo a Venezia. La loro ordalia italiana era appena cominciata. Padova, Ferrara, Ravenna, Bologna, Firenze, Siena, Perugia, Assisi e Roma, con tutte le loro innumerevoli chiese e dipinti, dovevano ancora essere viste prima che - raggiunto infine il benedetto golfo di Napoli - gli fosse permesso di prendere la loro nave verso casa, attraverso l’Atlantico. Poveri schiavi, pensai; e che padrone esigente!
I pochi, veri, viaggiatori sono invece animati dalla curiosità e non hanno bisogno di seguire le rotte dei normali turisti. E sanno che i gusti cambiano con i tempi, e non è affatto detto che quelli che oggi consideriamo capolavori siano sempre stati visti così. Per dimostrarlo, Huxley cita proprio gli artisti/viaggiatori che io sto disegnando.
Ci sembra un’assioma, ad esempio, che Giotto sia un grande artista; e tuttavia Goethe, quando visitò Assisi, non si prese nemmeno il disturbo di dare un’occhiata agli affreschi nella basilica. Per lui, l’unica cosa degna di nota ad Assisi era il portico del tempio romano. Noi da parte nostra non ricaviamo più di tanto piacere da Guercino, e tuttavia Stendhal ne era incantato. Noi troviamo Canova piacevole e a volte, come nella statua di Paolina Borghese, davvero affascinante per la sua maniera voluttuosa e morbida. Ma non possiamo essere davvero d’accordo con Byron quando dice “Come i grandi del passato, è oggi Canova2.” E dopotutto però Goethe, Stendhal e Byron non erano degli sciocchi. Data la loro educazione, non avrebbero potuto pensare in modo diverso.
Negli anni ‘20 il modo di viaggiare in Italia stava cambiando radicalmente. Certo, c’erano i giovani tedeschi in calzoni tirolesi, stivali chiodati e zaino, capaci di viaggiare a piedi da Berlino a Taranto, senza denaro e cibandosi solo di pane e acqua. “Nutro la più profonda ammirazione per loro”, scrive Huxley, “li invidio perfino, e vorrei possedere la loro energia e la loro forza. Ma non li imito”. Al contrario, per lo scrittore inglese è molto meglio viaggiare in automobile!
Per me, lo confesso, anche il treno è diventato un modo di viaggiare troppo scomodo, correggerei gli ultimi due versi dell’inno in “Signore, dacci il dono di proseguire in macchina”. La preghiera è stata esaudita - parzialmente, almeno; perché se una Citroën 10 cavalli possa essere realmente chiamata un’automobile è discutibile. I proprietari di Napiers, Vaux-halls, Delages o Voisins [altre automobili] lo negherebbero certamente. Io non discuterò questo punto. Tutto quello che dico sulla Citroën 10 cavalli è questo: funziona. In modo modesto e senza pretese, non molto velocemente in effetti ma in modo sicuro e affidabile, ti porta in giro. Questo esemplare in particolare ci ha portato per molte migliaia di miglia sulle strade d’Italia, Francia, Belgio e Olanda; che, per tutti quelli che hanno confidenza con quelle strade, non è poco.
Ma c’è una sorpresa: a guidare la Citroën non è Aldous ma la moglie Maria Nys, che “guida con grande vigore e abilità” e a quanto pare fu la prima donna a ottenere una patente di guida in Italia - anche se dalle lettere dello scrittore si capisce che gli Huxley devono aver ottenuto il documento elargendo larghe mazzette. “Per fortuna il fascismo non ha diminuito la corruttibilità dei pubblici ufficiali italiani”, annota Huxley in una lettera del settembre 1926.
A questo punto, se avessi un po’ di buon senso, dovrei smettere di parlare di Citroën e tornare a temi più nobili. Ma la tentazione di parlare di automobili, quando ne hai una, è davvero irresistibile. Prima che comprassi una Citroën nessun argomento aveva meno interesse per me; nessuno, adesso, ne ha di più. Posso parlare per ore di motori con altri proprietari di auto.
Ma non è una sana abitudine…
Tanto per cominciare ogni automobilista è un bugiardo. Non riesce a dire la verità sulla sua macchina. Esagera la velocità, il numero di miglia che fa con un gallone di petrolio, la sua capacità in salita. Nella foga della conversazione io stesso ho peccato sotto questo aspetto; più di una volta e anche freddamente, con malizia premeditata, ho dato voce, su questo argomento, a fredde e calcolate bugie. Non pesano molto sulla mia coscienza. Non sono un sofista, ma mi pare che una bugia detta aspettandosi che nessuno ci creda, sia veniale. L’automobilista, come il pescatore, non suppone mai veramente che le sue vanterie vengano credute. Da parte mia, ho da tempo cessato di dare il minimo credito a qualunque cosa i miei compagni automobilisti possano dirmi. L’ultima vestigia della mia fiducia fu distrutta da un guidatore belga che mi disse che due ore erano più che sufficienti per viaggiare da Bruxelles a Ostenda; lui stesso, dichiarò, lo faceva costantemente e non ci metteva mai di più. Gli credetti e non consultai lo stradario. Se lo avessi fatto, avrei scoperto che la distanza tra Bruxelles e Ostenda è un po’ più di settanta miglia, che la strada è tutta acciottolata e acciottolata male a tratti, e che bisogna passare attraverso tre grandi città e circa venti villaggi.
In Along the road Huxley ci racconta anche un divertente episodio avvenuto sul Moncenisio, che vede protagoniste la sua Citroën e una rombante Alfa Romeo.
Fu sul Moncenisio che la la nostra umiliazione raggiunse il colmo e l’invidia più nera riempì i nostri cuori. Eravamo partiti da Torino. Per le prime trenta miglia la strada è perfettamente piatta. La percorremmo con molto eleganza; le Fiat, più piccole, mangiavano la nostra polvere. Davanti a noi, come un’immensa parete ondulata, le Alpi si ergevano all’improvviso dalla pianura. Susa si trova al capo di una lunga valle dal fondo piatto che porta nel cuore delle colline. Si passa attraverso la città e poi, improvvisamente, senza avvertimenti, la strada comincia a salire, ripidamente. Si continua a salire senza sosta per le successive quindici miglia. La cima del passo è a seimila e cinquecento piedi sopra il livello del mare. La Citroën andò in seconda e vi rimase; lentamente sbuffavamo su per la lunga salita. Ne avevamo percorso circa un miglio, quando ci accorgemmo di un rumore che saliva dalla valle, un rumore come quello di un ammasso di mitragliatrici. Cresceva sempre più forte. Un minuto dopo una enorme Alfa Romeo rossa da corsa, che assomigliava in maniera sospetta all’auto che aveva appena vinto il Grand Prix d’Europa, ci superò ruggendo a una velocità che non poteva essere meno di cinquanta miglia all’ora. Era chiaramente guidata da un genio; perché, guardando su, vedemmo il mostro scarlatto affrontare tornante dopo tornante la strada a zig zag sopra di noi dopo aver abbassato la sua velocità a un miglio all’ora. Nel giro di altri trenta secondi non era più in vista. Il suo rumore echeggiava solennemente tra le montagne, come un tuono.
In realtà il pilota dell’Alfa Romeo stava facendo dei test e andava su e giù per il Moncenisio. Gli Huxley lo incrociarono diverse volte, finché, all’ennesimo sorpasso in salita…
La nostra umiliazione era completa. Invidia e rabbia bollivano dentro di noi, come l’acqua nel radiatore della nostra miserabile macchinina. “Se solo”, dicemmo, “se solo avessimo una vera auto…” Avremmo voluto scambiare il sentimento dell’invidia per l’egualmente maligno e non-cristiano sentimento di superbia e disprezzo, essere quelli che sorpassano esultanti invece di quelli che vengono sorpassati.
Proprio per affrontare i pendii italiani, nel 1927, con i soldi guadagnati da due articoli di Aldous pubblicati negli Stati Uniti, gli Huxley decisero di cambiare la Citroën con “una vera macchina”. Era un’Itala Modello 61 6 cilindri-2 litri, “che si dice abbia tutte le qualità dell’Alfa Romeo che ha vinto il Gran Prix quest’anno, però con materiali migliori e maggiore durevolezza”. Huxley ne parla nelle sue lettere, entusiasta ma con un po’ di nostalgia per la vecchia Citroën.
Che macchina! Per adesso siamo arrivati solo a 65 miglia all’ora con lei - con molta meno trepidazione di quando la Citroën ne faceva 35 - ma può superare le 70. Sulle colline è incredibile; la sua velocità è limitata solo dalle curve.
Amo la mia nuova macchina, è molto veloce e sfreccia sulle colline senza badare a curve e tornanti; ma la piccola Citroën dava più eccitazione, anche se a velocità minore, di queste vere auto; perché faceva un gran rumore di ferraglia e minacciava di farti saltare fuori strada a 50 all’ora […], mentre questa mostra la velocità solo sul contachilometri.
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L’edizione italiana, pubblicata da Frassinelli, risale al 1990, quindi temo che non sia facile trovarla.
È un verso dal Canto IV del poema Childe Harold’s Pilgrimage (Il pellegrinaggio del giovane Harold), che Lord Byron pubblicò tra il 1812 e il 1818.
Bellissimo, non conoscevo questo scrittore ma condivido i suoi pensieri sui viaggiatori, perché infatti a viaggiare ci si scopre più liberi, e non è affatto detto che piaccia quello che piace a tutti. Che sfoggiasse un italiano perfetto mi ricorda James Joyce che addirittura scriveva lettere in dialetto triestino...
Pezzo molto bello, adoro Huxley, non sapevo nulla di questi suoi trascorsi italiani