La disastrosa vacanza di J.R.R. Tolkien
Pioggia, zanzare e treni in ritardo tormentarono lo scrittore inglese nel suo viaggio a Venezia e ad Assisi, nell'estate del 1955. Ma lui non si fece scomporre più di tanto e rimase comunque contento
Inaugurando la mostra "Tolkien. Uomo, professore, autore”, aperta fino a febbraio 2024 alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha detto1: “Tolkien fece un viaggio in Italia. L’Italia è la patria del mondo classico, del mondo greco e del mondo romano che si sono succedute insieme ad altre civiltà importanti sul nostro territorio e quindi credo che questo Tolkien lo avesse apprezzato”.
Sorvolo sul goffo e imbarazzante tentativo della destra italiana di imporre una propria egemonia culturale - che a quanto pare consiste semplicemente nel collocare amici e parenti ai vertici delle istituzioni culturali italiane (vedi la Biennale di Venezia, il Piccolo di Milano, il Maxxi di Roma) - per sottolineare come il ministro si senta in dovere di giustificare in qualche modo l’idea di una mostra su J.R.R. Tolkien col fatto che “fece un viaggio in Italia”. Ovviamente le mie antenne si sono subito drizzate e sono andato a verificare. Premetto che non si capisce che cosa c’entri lo scrittore inglese con l’estrema destra italiana: se proprio si vuole definire Tolkien si può dire che era un devoto cattolico, e forse nemmeno molto conservatore, e solo in Italia è stato considerato uno scrittore “di destra”2, mentre ad esempio negli Stati Uniti fu letto dal movimento hippie (e aggiungerei dalle band del progressive rock).
John Ronald Reuel Tolkien trascorse in realtà solo due settimane in Italia, nell’estate del 1955 insieme alla figlia Priscilla, e la sua fu più una vacanza che un viaggio, una vacanza che oggi considereremmo disastrosa: pioveva sempre, i treni erano tutti in ritardo e Tolkien era costantemente divorato dalle zanzare. Anche il suo itinerario fu particolare e non c’entra molto né con i Romani né con i Greci: visitò solo Venezia e Assisi, e riuscì a vedere giusto uno scorcio di Firenze.
Tolkien scrisse un diario di viaggio da lui stesso intitolato Giornale d’Italia (in italiano). Come molte altre carte dello scrittore, il diario è conservato alle Bodleian Libraries di Oxford, ma alcuni estratti si trovano nei volumoni della The J.R.R. Tolkien Companion and Guide, curati nel 2006 da Christina Scull and Wayne G. Hammond.
Consultando la parte relativa al 1955 ho scoperto che nel febbraio di quell’anno Tolkien diede le dimissioni dalla Oxford Dante Society. Dante non gli piaceva - un brutto colpo per il ministro Sangiuliano, che ha definito Dante “il fondatore del pensiero di destra in Italia”. In un’intervista del 1968 al Daily Telegraph, rispondendo a chi paragonava la sua opera a quella del sommo poeta3, Tolkien spiegò cosa non amava in Dante:
[Dante] non mi attira. È pieno di disprezzo e malizia. Non mi interessano i suoi meschini rapporti con gente meschina in città meschine.
Tolkien e la figlia Priscilla arrivarono a Milano il 31 luglio del 1955 su un treno strapieno: lo scrittore fu costretto a viaggiare in piedi per gran parte del tempo. Da Milano centrale - “caldo fumante e soffocante sotto il suo grande tetto” - subito ripartirono per Venezia, dove alloggiarono all’albergo Antico Panada, dietro piazza San Marco.
Ho trovato il brulicante internazionalismo della piazza piuttosto eccitante: l’inglese (anche americano) perso in un fiume di tedesco, francese, serbo, italiano e (suppongo) di dialetto locale.
Di Venezia Tolkien apprezzò anche l’assenza di traffico e motori, la trovava libera “dalla piaga maledetta del motore a combustione di cui tutto il mondo sta morendo”. Nella basilica di San Marco lo scrittore provò invece una sensazione che lo accompagnò poi per tutto il viaggio in Italia.
È qui che in un angolo, dimenticato da tutti tranne che dagli escursionisti, a distanza di secoli dai suoi giorni di splendore, ho provato per la prima volta la sensazione che mi ha seguito per tutto il resto della mia breve visita in Italia: quella di essere arrivato nel cuore della cristianità; un esule dai confini e dalle lontane province che torna a casa, o almeno alla casa dei propri padri.
All’epoca del suo viaggio in Italia, Tolkien aveva già scritto da tempo Lo Hobbit (1937), mentre i tre volumi de Il signore degli anelli erano in corso di pubblicazione proprio tra il 1954 e il 1955. Lui comunque aveva già scritto tutto e ogni tanto nel suo diario dall’Italia si trovano confronti col mondo della Terra di Mezzo da lui creato. Prima di partire scrisse:
Sabato mattina lascio il Regno del Nord (l’Inghilterra) per una rapida escursione a Gondor (l’Italia), ma dovrei essere di ritorno, spero, per il 16 agosto.
E una volta a Venezia:
Una bella notte mite… Venezia sembrava incredibilmente, elficamente bella, come un sogno dell’Antica Gondor, o di Pelargir con la Flotta di Nùmenor, prima del ritorno dell’Ombra.
Ora non provo neanche a spiegare questi riferimenti, diciamo solo che Gondor nella saga di Tolkien era un regno molto prospero che poi attraversò un lungo periodo di declino.
Intanto a Venezia cominciò a piovere e quando non pioveva le zanzare tormentavano lo scrittore, “divorato e pieno di punture su faccia, gambe e braccia”. Lui e Priscilla non avevano né ombrelli né impermeabili e la notte del 5 agosto Tolkien rimase sveglio per colpa di un temporale estivo (e del grammofono dei vicini). Il 6 la coppia partì per raggiungere Assisi. Il programma prevedeva un po’ di tempo per visitare Firenze, ma il treno arrivò in ritardo e riuscirono solo a cogliere uno scorcio di Santa Maria del Fiore prima di ripartire. In generale tutti gli spostamenti in treno di Tolkien in Italia furono caratterizzati da ritardi, corse e poco tempo per mangiare, ma c’è una cosa che non mancava mai: il vino. Lo scrittore magari non pensava al cibo, ma faceva sempre in modo di avere con sé, quando viaggiava, una bottiglia di Orvieto o di Chianti.
Ad Assisi Tolkien e Priscilla furono ospitati in un convento dalle stanze spoglie, molto più austero rispetto all’albergo in cui avevano soggiornato a Venezia. La mattina dopo lo scrittore fu svegliato alle 5 e mezza da “una tremenda babele di campane. Ad Assisi si può dire che in alcuni momenti suonano tutte le campane, ma in tutti i momenti suonano alcune campane”. Non ho ben chiaro perché Tolkien abbia scelto di visitare Assisi invece di Roma, o meglio non so se questo corrisponda a un’idea della Chiesa più vicina a San Francesco che al Vaticano. Forse no. In una lettera scritta subito dopo il ritorno dall’Italia, Tolkien scrisse solo di essere andato ad Assisi per la festa di Santa Chiara, che si tiene tutt’ora l’11 agosto.
Anche ad Assisi, comunque, continuò a piovere. La pioggia probabilmente non doveva essere un grande inconveniente per un inglese, ma le zanzare sì. Alla fine del viaggio Tolkien era piuttosto malridotto, ma comunque contento.
[Ho] una punta sulla faccia e gambe piene di vesciche, e una mano gonfia; così almeno uno può non vedere l’ora di separarsi dalle zanzare. Ma nonostante loro e le automobili, di gran lunga peggiori, è stata un’esperienza di enorme piacere. Vorrei aver avuto la possibilità di venire in Italia molto tempo fa e di imparare l’italiano quando ancora c’era modo di farlo propriamente.
Il treno che riportò Tolkien e Priscilla a Firenze era, tanto per cambiare, in ritardo, così in ritardo che avrebbero perso la coincidenza per Milano, se non fosse stata anch’essa ancora più in ritardo. Anche a Milano Centrale il treno per Parigi si fece aspettare, in più iniziò (di nuovo) a piovere, con l’acqua che filtrava attraverso il tetto. L’ultima scena italiana descritta da Tolkien ha come protagonista una guida/facchino, un gallese, che li aiutò a trovare posto sul treno.
Grazie al cielo per il Galles, e a quanto pare anche per il football. [La guida] deve essere stato a suo tempo un formidabile attaccante. Solo il suo coraggio ci ha salvato dal disastro. Non ho mai visto niente del genere: questo grosso torello carico dei bagagli di quattro persone, ad assaltare il treno strapieno, in mezzo a una selvaggia folla di assedianti che cercavano di salire e di passeggeri che cercavano di scendere, giù per un corridoio intasato, a scagliare persone a destra e a sinistra come un bulldozer. È riuscito in effetti a procurarci quattro posti, tre di questi agli angoli, prima che gli assalitori realizzassero cosa stava succedendo. Non ho visto cosa è accaduto a lui. È stato ingoiato in un tumulto di persone; ma se stavano cercando di linciarlo, sono sicuro che non ci sono riusciti.
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La dichiarazione si può ascoltare in questa puntata di Propaganda Live al minuto 2.25.00.
Per approfondire rimando a questo articolo del Post, Perché Tolkien piace tanto all’estrema destra.
Tolkien fu paragonato anche, forse più correttamente, ad Ariosto.
Ogni viaggio è bello, ma lo è ancora di più se sposti la concentrazione sul motivo e non sulle comodità, certo però con tutte quelle zanzare.. non aveva qualche rimedio con cui proteggersi? E cosa avrà voluto dire con "imparare l'italiano più propriamente"?