La sindrome di Stendhal
Disagio, malessere, attacchi di panico, svenimenti: sono i disturbi che possono colpire i viaggiatori davanti ai capolavori dell'arte. Come capitò allo scrittore francese, a Santa Croce a Firenze
“Sindrome di Stendhal” è un termine proposto dalla psichiatra Graziella Magherini nel 1989, per definire tutti quei casi di viaggiatori che davanti ai capolavori dell’arte reagiscono con una serie di disturbi che possono andare da malessere e disagio fino a svenimenti e attacchi di panico, tanto da rendere necessario un ricovero d’urgenza. A Firenze, molti di loro finivano nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Santa Maria Nuova, che si trova in pieno centro e che quindi accoglie anche molti turisti stranieri. È qui che la Magherini e i suoi collaboratori hanno incontrato i i casi presentati ne La sindrome di Stendhal1.
Si tratta di turisti stranieri, di solito di buona cultura, che spesso avevano a lungo progettato e desiderato il loro viaggio in Italia. Molti arrivavano a Firenze dopo giorni di camminate tra musei, gallerie e città d’arte. Tra tutti i casi considerati, Magherini nota una prevalenze di giovani donne, spesso single, che viaggiavano da sole, senza un gruppo o una visita organizzata. Ma ci sono anche gli uomini e anche persone sposate. Tutti, prima della partenza, dicevano di sentirsi bene. Poi i ritmi forsennati del turista che deve “vedere tutto” e il fatto di trovarsi da soli in un paese straniero cominciavano a incidere… ma nei casi identificati da Magherini è spesso l’incontro con un’opera d’arte a scatenare la crisi.
Ma vediamo un esempio pratico. Qui Dario Argento, su musiche di Ennio Morricone, dirige la figlia Asia mentre nella galleria degli Uffizi viene colpita da una crisi tipica della sindrome di Stendhal, e infatti il film da cui è tratta questa sequenza si intitola proprio La sindrome di Stendhal (1996).
Tra i casi riportati da Magherini, il mio preferito (non uno dei più gravi) è quello di Isabelle, una ragazza francese insegnante di educazione artistica.
In visita con i suoi allievi agli Uffizi, fu colta da improvvisa avversione per certi quadri e impulso a sfregiarli. Questo impulso, divenuto incoercibile, la spaventò. Il terrore di passare dal pensiero all’atto fece cadere Isabelle in uno stato di intensa agitazione e depressione fobica.
Anche il caso di Martha, 25enne in viaggio con un’amica, è interessante.
Viene ricoverata in preda a una bouffée delirante, dopo una lunga visita al museo di San Marco, dove ha sostato a lungo davanti ai quadri del Beato Angelico. Successivamente è divenuta molto inquieta: dice di avere appreso alla radio che quel giorno il diavolo sarebbe apparso a Firenze. In quello stesso giorno i diavoli e gli angeli del Beato Angelico l’avevano introdotta in una dimensione di conflitto tra bene e male, fra luce e tenebre. Era stata a lungo in un angolo del soggiorno dell’albergo, ritirata e mutacica, comportamento che aveva giustificato la chiamata di un medico.
Altri casi sono molto più gravi. Ogni volta Magherini prova a spiegarci anche quali segreti, desideri, paure l’opera d’arte aveva risvegliato nei suoi pazienti. Come aveva già capito D.H. Lawrence, il viaggio in Italia è in realtà un viaggio dentro se stessi, “un atto di scoperta di sé”, e in quanto tale può anche essere rischioso.
Ma ora veniamo al mio fumetto. È da quando l’ho iniziato che non vedevo l’ora di provare a disegnare l’episodio raccontato da Stendhal che dà il nome a questa sindrome. Lo scrittore francese lo racconta in Roma, Napoli e Firenze nel 1817. Tutto avviene nella Basilica di Santa Croce a Firenze, e qui già sono iniziate le mie difficoltà. Solo per caso mi sono reso conto in tempo che all’epoca di Stendhal Santa Croce non aveva ancora la facciata che ha adesso! Fu aggiunta solo nel 1853-1863, e anche il campanile risale al 1842-1845.