L'esilio di Henrik Ibsen
Come altri artisti, anche il drammaturgo dovette allontanarsi dalla sua Norvegia per poterla raccontare. Scrisse a Roma, Sorrento e Amalfi le sue opere più importanti, a partire da "Casa di bambola"
È impossibile vivere esclusivamente, o anche solo principalmente, di lavoro letterario in questo paese. […] Essendo incapace di vedere per ora alcuna prospettiva di miglioramento per la mia posizione in questo paese, sono stato obbligato a iniziare i preparativi per emigrare in Danimarca la prossima primavera.
Così, nella primavera del 1863, il drammaturgo Henrik Ibsen scriveva al re di Svezia e Norvegia Carlo IV, chiedendo soldi. Per l’autore norvegese stava per iniziare un lungo periodo di auto-esilio, durato circa 20 anni e trascorso principalmente a Roma, con occasionali soggiorni ad Amalfi, Ischia e Sorrento, e poi in Germania, a Dresda, Monaco e in Tirolo. In Italia Ibsen scrisse le sue opere più importanti, come Peer Gynt (1867), Casa di bambola (1879) e Spettri (1881). Tuttavia nessuno di questi lavori ha a che fare con l’Italia, anzi sono tutti ambientati in Norvegia. Solo Cesare e Galileo (1873), dedicato alla figura dell’imperatore Giuliano l’apostata, può avere un qualche collegamento col soggiorno del drammaturgo a Roma. Direi che possiamo aggiungere Ibsen alle file di quegli artisti che avevano bisogno di allontanarsi dal proprio paese per poterlo raccontare. Lo aveva scritto già Gogol’ (“Posso scrivere della Russia solo a Roma”) e la stessa cosa capitò poi a James Joyce.