Mal di mare
Il viaggio per mare comportava disagi e pericoli che oggi facciamo fatica a immaginare, come capitò sul vascello che portava Goethe da Messina a Napoli nella primavera del 1787
Ogni volta che in questo fumetto disegno il mare dovrei disegnarlo stracolmo di navi, navigli, barche, barchette, gondole (a Venezia), corvette, vascelli, velieri… tutto un lessico e un mondo che oggi è quasi scomparso, almeno per me che non vivo sulla costa. Ma una volta le vie d’acqua, il mare e tutti i fiumi navigabili, rappresentavano il modo più veloce di spostarsi1, almeno fino all’invenzione della ferrovia. È facile rendersene conto osservando una qualsiasi veduta veneziana del Canaletto o la serie di dipinti sui porti del Regno di Napoli realizzata dal pittore tedesco Jakob Philipp Hackert (vedi il post Un vedutista prussiano alla corte del Re di Napoli)
Ma il viaggio per mare portava con sé anche degli inconvenienti. Era pericoloso, e infatti uno dei protagonisti principali del mio fumetto, il poeta inglese Percy Shelley, morì proprio in un naufragio nel mare delle Cinque terre (vedi il post Il cuore di Shelley). C’erano anche disagi più banali, come il mal di mare. Goethe ne soffriva e ci ha descritto le sue disavventure raccontando il suo viaggio verso la Sicilia, sia all’andata (da Napoli a Palermo) sia al ritorno (da Messina a Napoli). In particolare in questo viaggio di ritorno il mal di mare scatena nello scrittore tedesco, disteso sotto coperta e assistito dall’amico disegnatore Christoph Heinrich Kniep, una serie di gravi riflessioni sullo scorrere del tempo, sulla natura e sugli uomini.
Quando all’inizio del ‘900 il viaggio per mare viene proposto come viaggio di piacere e non più solo una necessità, il mal di mare rimane ancora un grosso inconveniente. Le cartoline illustrate di quel periodo si prendevano ampiamente gioco dei viaggiatori benestanti che spendevano una fortuna per cenare a bordo, magari in compagnia del capitano, solo per poi riversare tutta la cena tra le onde (per chi ha visto Triangle of Sadness di Ruben Östlund, mi pare che in quanto a sarcasmo siamo da quelle parti). Basta fare una ricerca su Ebay per trovarne tantissime, le mie preferite sono quelle dell’illustatore inglese Tom Browne (1870-1910).
Ci sono poi pericoli che oggi facciamo fatica a immaginarci. Sempre nel tormentato viaggio di ritorno di Goethe da Messina a Napoli, a un certo punto il vascello su cui viaggia lo scrittore incontra una terribile bonaccia. Nemmeno Goethe si rende conto di quanto questa potesse essere pericolosa per un’imbarcazione, ma presto gli altri passeggeri, sempre più inquieti, lo illuminano: il vascello non può muoversi ma è già entrato nella corrente che lo porterà inevitabilmente a schiantarsi contro gli scogli dell’isola di Capri. Sull’isola i caprai osservano il vascello avvicinarsi, un po’ preoccupati e un po’ pregustando un possibile saccheggio. A bordo è il panico, con i passeggeri che scagliano accuse e insulti contro il capitano e il pilota.
A questo punto Goethe interviene con un discorso, e dobbiamo presumere che parlasse in italiano.
Il capitano taceva e sembrava assorto nel trovare un modo per salvarsi; ma per me, che fin dalla giovinezza ho sempre odiato l’anarchia più della stessa morte, era impossibile rimanere ancora in silenzio. Mi alzai e mi misi a parlare con loro [con i passeggeri] con la stessa calma che avevo manifestato a Malcesine2. Spiegai che in quel momento il loro chiasso e le loro urla non facevano altro che confondere le orecchie e le menti degli unici che potevano darci una speranza di salvezza, e che così non potevano né pensare né comunicare gli uni con gli altri. “Per quanto riguarda voi”, esclamai, “tornate in voi e rivolgete le vostre preghiere alla Madre di Dio, l’unica che possa intercedere presso il Figlio perché faccia per voi quello che fece per i suoi Apostoli quando sul mare tempestoso di Tiberiade le onde stavano già affondando la barca […]”
Queste parole ebbero effetto. Una delle donne con cui prima avevo discusso di questioni morali e spirituali esclamò: “Ah! Il Barlamè! Benedetto il Barlamè!”, e le donne, cadute in ginocchio, cominciarono a recitare le loro litanie con passione e con più fervore del solito.
Sono impazzito per cercare di capire chi sia questo Barlamè. Nelle note alla mia edizione del Viaggio in Italia (Mondadori, 1983) si ipotizza che possa trattarsi del teologo Barlaam Calabro, vissuto nel ‘300, oppure dell’eremita Barlaam, santo protagonista di una leggenda medievale (in cui convertiva il Buddha al cristianesimo!). Mah, io non sono del tutto convinto: potrebbe benissimo essere che Goethe non abbia capito bene le parole pronunciate dalla donna, o che le riporti male... In ogni caso questo Barlamè dev’essere intervenuto: una leggera brezza si alzò, quanto bastava per allontanarsi dalla rupe di Capri.
La nave oscillava sempre di più, la risacca aumentava e il mio mal di mare, che in tutto questo era tornato a manifestarsi, mi costrinse a scendere di nuovo sotto coperta. Mi sdraiai sul materasso, mezzo stordito […] Non so quanto a lungo rimasi disteso in quella specie di dormiveglia; ma fui svegliato da un violento frastuono che proveniva da sopra di me: riuscivo a sentire chiaramente che erano le grosse funi che venivano trascinate avanti e indietro sul ponte; questo mi fece sperare che presto si sarebbero usate le vele. Poco dopo Kniep corse giù in cabina e annunciò che eravamo salvi: si era alzata una leggerissima brezza; in quel momento si era al lavoro per alzare le vele, e lui stesso non aveva mancato di dare una mano.
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Ad esempio nel bellissimo Marco e Mattio di Sebastiano Vassalli (1992, ora edito da Bompiani), ambientato nel Veneto di fine ‘700, è descritto il viaggio in zattera sul Piave dal Cadore a Venezia.
Qui Goethe si riferisce a un episodio avvenuto proprio all’inizio del suo viaggio in Italia, quando a Malcesine, sul Lago di Garda, aveva rischiato di essere scambiato per una spia austriaca: aveva insospettito gli abitanti perché si era messo a disegnare le rovine del locale castello, ma era riuscito a cavarsela con un bel discorso in cui vantava le virtù di quei ruderi.