Mary, da sola
Dopo la morte del marito Percy, Mary Shelley si trasferì a Genova, sulla collina di Albaro, dove visse per circa un anno prima di trovarsi costretta a tornare in Inghilterra
Villa Negrotto ha l’aria di un posto di villeggiatura, una residenza tranquilla in mezzo alle palme, affacciata sul mare di Genova. Certo due secoli fa doveva essere ancor più tranquilla, e sicuramente la collina di Albaro, dove sorge, era molto meno edificata. Qui Mary Shelley abitò per circa un anno, tra il 1822 e il 1823, nel periodo seguente alla morte del marito Percy, naufragato nel mare delle Cinque terre.
L’unica foto che ho trovato per avere un’idea della collina di Albaro ai tempi di Mary Shelley è stata scattata per coincidenza da un’altra inglese: Jane Martha St. John, che fece un lungo viaggio in Italia tra il 1856 e il 1859 e scattò circa un centinaio di (bellissime) foto, ora raccolte al Paul Getty Museum di Los Angeles.
Mary si trovò dunque da sola, in una terra straniera, con un bambino di tre anni da crescere, il piccolo Percy Florence. Non era completamente sola, in realtà, perché tutto il gruppo di inglesi che orbitava intorno agli Shelley si era trasferito ad Albaro. Lord Byron abitava a Villa Saluzzo, a pochi passi da Villa Negrotto, ma molto più aristocratica rispetto a quest’ultima. Mary abitava insieme a Leigh e Marianne Hunt e ai loro sei figli: la scrittrice aveva alcune stanze nella villa e pagava il 30% delle spese. Ma la convivenza non era delle migliori: gli Hunt erano freddini con lei, e Mary del resto passava quasi tutto il suo tempo chiusa nella sua stanza, da sola.
Vivo in completa solitudine e senza mai comunicare o sentire nessuno mi sento come se appartenessi a un altro mondo. È vero che vivo nella stessa casa degli Hunt, ma mi trovo troppo irritabile e troppo poco adattabile alla compagnia di altri che non siano i miei pensieri solitari per mescolarmi a loro.
Mary aveva avuto spesso pensieri di morte e crisi depressive, fin dalla scomparsa del figlio William, avvenuta a Roma nel 1819. In questo periodo tornarono a manifestarsi, Mary lo scrive spesso nelle sue lettere, ma c’è il pensiero dell’unico figlio rimasto a trattenerla.
Molto molto tempo fa sono stata destinata e essere la più miserabile degli esseri umani. Se anche Percy dovesse andarsene, solo allora non sarei più incatenata al tempo ma dovrei partire - senza violenza auto-inflitta (non lo farei mai). So che dovrei morire.
Ma c’è anche una “missione” letteraria da compiere. “Quando sarò abbastanza ricca farò un’edizione di tutto quello che [Percy] ha scritto”, scriveva Mary nel gennaio 1823, “per mantenerlo vivo nella mente dei suoi ammiratori”: riuscì a farlo in effetti nel 1839, quando pubblicò l’opera completa di Percy. Nel frattempo però curò l’edizione di alcuni scritti del marito per la rivista The Liberal e trascrisse alcuni canti del Don Juan di Lord Byron. “È solo nei libri e nell’attività letteraria che potrò trovare sollievo”, scrisse Mary in quel periodo.
Mary ricominciò anche a scrivere per se stessa. Il suo diario si era bruscamente interrotto l’8 luglio del 1822, il giorno del naufragio di Percy. Fino a quel punto era servito solo per brevi annotazioni - i fatti capitati durante il giorno, i libri letti, le cose viste - invece nell’ottobre del 1822 Mary riprese a scriverci, e il diario divenne il suo confidente. Ho pensato di condensare tutto quello che sto scrivendo qui in poche tavole del mio fumetto, disegnando proprio questo ritorno di Mary alla scrittura.
Disegnare la pagina bianca (o meglio non disegnarla) era un invito troppo forte per la mia natura minimale, ma credo che possa funzionare visto che queste tavole seguiranno una scena dai toni epici, con il corpo di Shelley che brucia su una pira sulla spiaggia di Viareggio (vedrò cosa inventarmi per disegnarla).
Nella foto qui sopra vediamo invece la penna di Shelley, oltre alle ciocche di capelli di Mary, Percy e Percy Florence (oggi conservate alle Bodleian Libraries di Oxford). Sono tra gli oggetti e le carte che Mary recuperò quando le fu recapitata a Genova la scrivania di Percy. Oggi può sembrarci un po’ strano e macabro conservare ciocche di capelli dei propri cari, ma evidentemente all’epoca si faceva, in assenza di foto. E così adesso io so di che colore avevano i capelli i miei personaggi!
Da Lerici Mary aveva portato con sé anche il denaro trovato a bordo del “Don Juan” (90 corone, corrispondenti a circa 4 mila euro di oggi, se ho fatto bene i calcoli) e i soldi ricavati dalla vendita del relitto. La situazione economica degli Shelley non era mai stata particolarmente prospera per tutto il loro periodo italiano, ma adesso Mary si ritrovava in seria difficoltà. In una lettera del febbraio 1823 la scrittrice spiegava lo stato delle sue finanze:
Al momento, vivendo con gli Hunt, spendo poco. Ho ancora un po’ di denaro rimasto dalla somma che possedevo al mio arrivo a Genova, ho ricevuto un po’ di soldi dal Liberal1, e se quella pubblicazione andrà avanti, dovei continuare a riceverne regolarmente.
Troppo poco per garantire la sussistenza a se stessa e a Percy Florence. Mary si trovava quindi a un bivio: rimanere in Italia, il paese che nonostante tutto continuava ad amare e dove soprattutto poteva essere indipendente; o tornare in Inghilterra, dove non conosceva quasi nessuno e dove rischiava di dover sottostare a regole imposte da altri? Sir Timothy Shelley, il padre di Percy, aveva posto condizioni ferree alla richiesta di contribuire al mantenimento del nipote Percy Florence. Fu Lord Byron a scrivergli per conto di Mary, ma la risposta fu negativa.
La risposta è arrivata l’altro giorno. Dopo aver rimproverato la mia condotta, dicendo che sospetta che io abbia allontanato la mente di suo figlio dal rispetto dovuto a lui e a Lady Shelley (tu sai come sono andate le cose e che ipocrita nonsense sia questo) si rifiuta di intervenire in qualsiasi cosa mi riguardi. Per quanto riguarda il mio bambino, se lo porterò in Inghilterra e lo porrò sotto la cura di una persona da lui approvata, gli garantirà un mantenimento sufficiente, per quanto limitato.2
Il padre di Mary, lo scrittore e politico William Godwin, era altrettanto squattrinato e pieno di debiti, anzi era stato lui a chiedere diverse volte soldi a Mary e Percy.
E l’attività letteraria di Mary? Be’, era ancora all’inizio, ricordiamo che nel 1822 lei aveva solo 25 anni. Frankenstein era uscito nel 1818, in poche copie e per giunta in forma anonima. Nel frattempo a Londra stava avendo molto successo la riduzione teatrale Presumption; or, the Fate of Frankenstein, ma Mary lo scoprì solo una volta tornata in patria - “Sorpresa! Ho scoperto di essere famosa!”, scrisse nel settembre 1823. Il successo teatrale aveva anche spinto il padre di Mary a pubblicare una nuova edizione di Frankenstein, stavolta firmata Mary Shelley: anche questa uscì nell’agosto 1823, quando la scrittrice aveva già lasciato l’Italia.
Nel febbraio del 1823 era uscita anche la seconda opera di Mary: Valperga, romanzo storico ambientato in Italia. Ma non era facile avere a che fare con gli editori dall’Italia e solo via posta. Così scrisse Mary appena arrivata a Parigi, nel viaggio di ritorno in Inghilterra, in una lettera a Jane Williams3:
Tu dici, mia cara ragazza, che i miei amici potrebbero occuparsi dei miei scritti per mio conto, ma sai dirmi chi? Mio padre non ha mai fatto la minima offerta al riguardo, al contrario ha chiaramente svicolato dall’incarico. I Gisborne sono le uniche persone in Inghilterra che hanno offerto i loro servigi, e mille ragioni li rendono poco adatti. È molto meno facile fare le cose per lettera di quanto immagini. […]
Tu sostieni che i miei amici potrebbero fare tutto questo - mia cara bambina, ho aspettato un intero anno questi amici ma non sono nemmeno in embrione. […] Ho tre buoni amici al mondo, e dovrei essere contenta perché sono provati. Ho te, mia cara ragazza, - sono certa che mi vuoi bene. Ho Hunt, che con il suo caratteristico entusiasmo mi ha ora tanto a cuore quanto me ne teneva fuori un po’ di tempo fa. E ho Trelawny, grazie al cui aiuto ho raccolto il denaro sufficiente a venire in Inghilterra.
Leigh Hunt, con cui aveva diviso la casa; John Trelawny, che si era occupato del funerale di Percy e della sua sepoltura al cimitero dei Protestanti a Roma; e aggiungerei anche Lord Byron, che comunque aveva speso il suo nome per provare a intercedere per Mary. Nessuno di questi tuttavia era disposto o era in grado di farsi carico della situazione di Mary Shelley e del piccolo Percy Florence.
Infine Mary decise, a malincuore, di lasciare l’Italia e tornare in Inghilterra. Del resto anche Byron e Trelawny erano ormai partiti per la Grecia (dove Byron morirà nell’aprile 1824)4. Nella decisione influì il timore principale di Mary: ritrovarsi a un certo punto senza denaro sufficiente per il viaggio di ritorno in Inghilterra5.
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The Liberal era un periodico letterario fondato a Pisa da Percy Shelley, Lord Byron e Leigh Hunt. Il primo numero (qui il pdf in inglese) ha in effetti come sottotitolo “Versi e prose dal sud”. Mary pubblicò sul secondo numero il racconto Una storia di passioni. Sappiamo anche quanto venne pagata per il lavoro sui due numeri: 36 £, cioè circa 7 mila euro. The Liberal tuttavia chiuse quasi subito, nel luglio 1823.
Va detto che, una volta che fu tornata in Inghilterra, Sir Timothy garantì a Mary una rendita di 100£ all’anno per il mantenimento di Percy Florence, senza avanzare pretese sulla sua custodia.
Il marito di Jane, Edward Williams, era morto insieme a Percy Shelley nel naufragio della loro barca, il “Don Juan”.
Leigh Hunt e famiglia, invece, lasciarono l’Italia nel 1825.
Gran parte delle notizie utilizzate in questo post sono ricavate dall’edizione dei diari di Mary Shelley curata da Paula R. Feldman e Diana Scott-Kilvert, Clarendon Press, 1987.
Sono colpita, mi sembra di vivere in fondo le stesse inquietudini pur a distanza di secoli: l'altalena fra timore e speranza, il bisogno di scrivere, la distanza comunicativa 🧐