Nella cella di Torquato Tasso
L'autore della "Gerusalemme liberata" era un mito per i romantici. Ritenuto folle, fu rinchiuso dal 1579 al 1586 a Ferrara e la sua cella divenne meta di pellegrinaggio e ispirazione per molti artisti
Prima di entrare nel vivo di questa puntata, ecco un po’ di agenda per il mese di settembre:
Fino a domenica 11 settembre ci si può abbonare ad APRI, un meraviglioso e curatissimo progetto letterario: chi si abbona riceve ogni mese un racconto sotto forma di lettera, accompagnato di volta in volta da mappe, foto o piccoli oggetti che sono parte integrante della storia. Io ho ideato appunto la lettera di settembre (arriverà a fine mese): è un noir ambientato nel mondo del fumetto di qualche decennio fa, dove troviamo un giovane e geniale disegnatore misteriosamente ucciso negli uffici delle Edizioni Corcovado, a Milano. La redazione di APRI ha creato (come fa per ogni singolo elemento della lettera, dal francobollo al tipo di calligrafia) il logo di questo editore immaginario: ve lo anticipo qui, mentre qui trovate l’incipit della mia lettera.
Domenica 18 settembre sarò a Ferrara alla Festa del libro ebraico organizzata dal MEIS, il Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah. Durante l’incontro Primo Levi parole e immagini (alle 15) presenteremo il mio graphic novel Una stella tranquilla - Ritratto sentimentale di Primo Levi (Coconino Press) insieme a Il chimico libertino. Primo Levi e la Babele del Lager di Fabrizio Franceschini (Carocci, 2022). Dialogherà con noi la giornalista Caterina Doglio. La festa si svolge dal 15 al 18 settembre e tra gli ospiti c’è anche Rutu Modan, una delle mie fumettiste preferite: il programma completo è qui.
Venerdì 23 settembre a Bologna è in programma Una notte per Gramsci, una maratona di letture dalle lettere dal carcere di Antonio Gramsci, dalle 18 alle 24 in piazza Lucio Dalla. Diversi attori presteranno le loro voci alle parole di Gramsci, accompagnati da musica dal vivo. Io, Francesca Ballarini, Beatrice Bandiera e Stefano Ricci saremo invece impegnati a disegnare dal vivo.
Ecco qui. E dato che si parla di prigionia e di Ferrara, mi è venuto abbastanza naturale dedicare questo episodio della newsletter a una prigionia eccellente e a una famosa cella, che era una meta di pellegrinaggio per i nostri viaggiatori.
La cella di Torquato Tasso a Ferrara è in effetti uno dei luoghi dove si incrociano e si sovrappongono le storie dei viaggiatori protagonisti di questa newsletter. L’autore della Gerusalemme liberata fu rinchiuso nell’Ospedale di Sant’Anna dal 1579 al 1586 perché considerato folle: tormentato da dubbi di fede, si era fatto spontaneamente processare dall’Inquisizione (era stato assolto ma avrebbe voluto un nuovo processo), ma soprattutto aveva dato in escandescenze davanti a diverse dame della corte di Alfonso d’Este, e anche davanti allo stesso duca, che infine lo fece rinchiudere a Sant’Anna. In realtà non è affatto chiaro di cosa soffrisse il Tasso né se si trattasse effettivamente di una prigionia o di un ricovero, ma una vicenda del genere non poteva non appassionare gli artisti stranieri che visitavano l’Italia, soprattutto se erano poeti e romantici.
E ’l timor di continua prigionia molto accresce la mia mestizia; e l’accresce l’indegnità che mi conviene usare; e lo squallore de la barba e de le chiome e de gli abiti, e la sordidezza e ’l succidume fieramente m’annoiano; e sovra tutto m’affligge la solitudine, mia crudele e natural nimica.
[Da una lettera di Torquato Tasso a Scipione Gonzaga del maggio 1579].
Già durante la prigionia, nel 1580, il poeta ricevette la visita di un importante viaggiatore straniero, il filosofo Michel de Montaigne. Nel 1581 invece venne pubblicata la sua opera più celebre, la Gerusalemme liberata: si dice che una volta i gondolieri veneziani ne cantassero i versi, ma questo già non accadeva più all’inizio dell’800, come ci fa sapere una poesia di Lord Byron1:
A Venezia gli echi del Tasso non si sentono più,
E il gondoliere muto rema silenzioso;
I suoi palazzi si sgretolano sulla riva,
E ora la musica non sempre incontra l’orecchio.
Una ricostruzione della cella del Tasso si trova oggi nel luogo dove sorgeva l’Ospedale, ma è molto probabile che già nel ‘700 e nell’800 quella che i viaggiatori visitavano fosse un falso, un’attrazione per i turisti. Almeno così sosteneva Goethe, che visitò Ferrara nell’ottobre del 1786:
Invece della prigione del Tasso ci mostrano una legnaia o carbonaia in cui certamente non è stato rinchiuso. All’inizio nessuno del posto sapeva nulla di quel che volevamo vedere. Poi si sono ricordati, ma non prima di aver ricevuto una mancia.
Nonostante questa delusione, poco dopo il suo viaggio in Italia Goethe scrisse l’opera teatrale Torquato Tasso (1790), che racconta proprio della discesa nella follia del poeta italiano, e che contribuì ad affermare il mito del Tasso tra i romantici. Nel poeta tradito e oppresso dal potere vedevano loro stessi, ma forse vedevano anche un simbolo dell’Italia: un paese che aveva dato la luce a meraviglie dell’arte e che allora sembrava caduto in disgrazia, forse proprio per aver brillato troppo.
E così circa 30 anni dopo il passaggio di Goethe, nell’aprile del 1817 la cella vide un altro visitatore eccellente. Lord Byron, progettando il suo viaggio da Venezia a Roma, decise apposta di passare per Ferrara invece che per Mantova, “perché vorrei vedere la cella dove imprigionarono Tasso, e dove impazzì”. Interessante questa inversione tra causa ed effetto, eh? Secondo Stendhal, che a sua volta visitò la cella nel 1828 (“mi ha molto toccato”), Lord Byron addirittura vi si fece rinchiudere per due ore: “Si batteva la mano sulla fronte senza sosta, così mi ha detto l’attuale custode”, riporta ancora Stendhal. Sarà vero? In ogni caso Byron mise a frutto la sua visita, perché subito scrisse il poema Il lamento del Tasso (1817).
Anche Percy Shelley visitò la cella del Tasso, nel novembre del 1818, e addirittura riuscì a procurarsi un souvenir - o sarebbe meglio dire una reliquia - da mandare al suo amico Thomas Love Peacock.
Ti allego un pezzo del legno della stessa porta che per sette anni e tre mesi divise quell’essere glorioso dall’aria e dalla luce che aveva generato in lui quelle suggestioni che ha trasmesso, attraverso la poesia, a migliaia di persone.
Non tutti però erano disposti a credere all’autenticità della cella. Il francese Louis Eustache Audot, nella sua monumentale opera L’Italia, la Sicilia, le isole Eolie, l’isola d’Elba, la Sardegna, Malta, l’isola di Calipso etc. (1835) ci descrive la sua visita alla prigione del Tasso:
La guida aprì le doppie porte, una volta possenti, ora marce e in rovina, e mi mostrò una stanzetta umida, rischiarata da una piccola finestra inferriata, lunga nove passi, larga da cinque a sei. «È qui, mi disse, che il Tasso dimorò per sette anni…» Malgrado l’autorità della guida, più raccomandabile del resto di Lord Byron, di Casimir Delavigne e di Lamartine2, è impossibile riconoscere la vera prigione del Tasso in questa specie di buco che viene spacciato per essa. Come supporre per un solo istante che il poeta sia potuto rimanere per tanti anni in un simile alloggio, e qui rivedere il suo poema e comporre i suoi vari dialoghi filosofici alla maniera di Platone! Per quanto mi riguarda, mi sono convinto che l’imprigionamento del Tasso all’ospedale Sant’Anna abbia molti più rapporti con quella che è stata chiamata una detenzione in una casa di cura che con una prigionia.
Audot cita poi varie lettere scritte dal Tasso durante la detenzione, dove si preoccupava di piccole cose: avere camicie numerose e in buono stato, avere un berretto di prima qualità, avere un berretto da notte elegante…
È difficile conciliare delle attenzioni così minuziose con l’orrore della presunta cella abitata dal Tasso, di cui M. Isabey ha conservato il ricordo con la sua matita.
Negli anni però il mito del poeta perseguitato e impazzito per via della prigionia cominciò ad alimentarsi da sé. Il pittore Eugène Delacroix ritrasse il Tasso nella sua cella a Sant’Anna in due differenti dipinti, uno del 1824 e uno del 1839.
Ispirato da Delacroix, Charles Baudelaire scrisse a sua volta una poesia intitolata Sul Tasso in prigione di Eugène Delacroix (ne I fiori del male, 1844).
Forse perché arrivava da un altro continente, Herman Melville non condivise l’entusiasmo dei poeti romantici. Nella sua visita del marzo 1857 fu della stessa opinione di Goethe, almeno a giudicare dagli appunti del suo diario:
Cella del Tasso. Una semplice cantina. Sbarre alla finestra, ma non forti. Il nome di Byron & altri scribacchini.
Quest’ultima frase mi fa pensare che i visitatori incidessero il proprio nome sulle pareti della cella: è una cosa per cui oggi si pagherebbe una multa salatissima, ma che non doveva essere così insolita nell’8003.
Pian piano nel corso della seconda metà dell’800 il mito del Tasso cominciò a spegnersi4. Nel 1927 l’Ospedale di Sant’Anna venne demolito: oggi al suo posto, in piazzetta Sant’Anna, sorge il conservatorio Girolamo Frescobaldi. La cella del Tasso è stata ricostruita nei sotterranei, ma si può visitare solo in alcune occasioni particolari.
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Questi versi sono tratti dal Canto IV di Childe Harold’s Pilgrimage (1812-1818), un lungo poema narrativo che racconta i viaggi di un giovane alla ricerca di una nuova esistenza in una terra straniera (l’Italia appunto). Qui c’è la versione italiana, qui la versione inglese.
Casimir Delavigne e Alphonse de Lamartine sono entrambi poeti e scrittori francesi con fortissimi legami con l’Italia. In particolare Lamartine scrisse una biografia del Tasso.
Così a memoria mi viene in mente che il compositore Edvard Grieg, nel 1866, incise le sue iniziali da qualche parte sulla terrazza della Basilica di San Pietro a Roma (vedi la puntata In concerto con Edvard Grieg).
Per approfondire, se leggete il francese, c’è questo bell’articolo di Clélia Anfray intitolato Il tasso scomparso. Fine di un mito romantico.