In concerto con Edvard Grieg
La "serata più felice" tra quelle trascorse a Roma nel 1865/66 dal compositore norvegese fu quella in cui si esibì al Circolo scandinavo, tanto che nel suo diario ha trascritto la scaletta completa
Se pure, come me, non siete esperti di musica classica, probabilmente vi sarà capitato di ascoltare almeno due composizioni di Edvard Grieg: Nell’antro del re della montagna e Il mattino, entrambe tratte da Peer Gynt, poema drammatico scritto nel 1867 da Henrik Ibsen e musicato da Grieg nel 1876.
Molto prima che questo accadesse, quando Grieg era un giovane compositore di 26 anni, i due si incontrarono a Roma, nel 1866, dove Ibsen viveva già da un paio d’anni. Ed è solo uno dei vari incroci che si scoprono leggendo il diario che Grieg tenne di quel viaggio in Italia. Vi avviso che ritroveremo diversi artisti che abbiamo già incontrato in questa newsletter, quindi ci saranno tanti link a vecchie puntate.
Il compositore norvegese era arrivato a Venezia il 6 dicembre del 1865, in un momento in cui l’Europa e l’Italia erano alle prese con un’epidemia di colera. Così gli appunti di Grieg al suo arrivo ci suonano tristemente familiari: “Meticolosamente disinfettato con varechina alla stazione a causa della paura del colera a Monaco”, scrive. In piazza San Marco c’è già un primo incrocio con Richard Wagner, o meglio con la sua musica: la banda militare austriaca suona infatti l’ouverture di Tannhäuser, una scena descritta anche dal compositore tedesco nella sua autobiografia1.
Grieg era diretto a Roma, ma per arrivarci fece una strada per noi inedita: da Bologna prese un treno e scavallò gli Appennini verso Pistoia (è la ferrovia Porrettana o Transappennina, era stata inaugurata due anni prima ed esiste ancora!), solo qui gli sembrò di essere davvero arrivato in Italia.
Pracchia il punto più alto. Qui entrammo in un enorme tunnel di almeno 10-12 sezioni, e quando tornammo a vedere la luce del giorno si aprì improvvisamente davanti a noi il più delizioso paesaggio italiano. Era come se fossi entrato improvvisamente in un mondo di fiaba. A perdita d’occhio, verdi campi con cipressi, pini e ulivi inframezzati da pittoreschi gruppi di case in genuino stile mediterraneo - e lontano le montagne blu-violetto, e sopra di noi la volta blu scuro del cielo. Era come se tutto fosse comparso per magia.
Giù nella valle vedevamo le torri di Pistoia. Attraversammo ancora alcuni corti tunnel e poi il treno si fermò a Pistoia. Qui pranzammo e mangiai la mia prima uva - dolce come zucchero! È qui che ho avuto la mia prima vera impressione dell’Italia. Tutto emanava calore, primavera. Chi pensava a dicembre!
Il diario di Grieg è interessante perché lui può essere lirico ma anche spietato e sarcastico. Ecco come descrive il viaggio da Livorno verso Roma.
Durante il viaggio ho cominciato a capire per la prima volta cosa significa andare a Roma. Più ci si avvicina alla capitale del mondo più sembra impossibile raggiungerla2. Si incontra ogni possibile ostacolo. Per prima cosa, il controllo dei passaporti è quasi ridicolo nella sua severità, soprattutto ora che il colera sta infuriando in varie parti d’Italia. In secondo luogo, uno non può camminare o guidare per dieci passi senza dover scucire grandi somme di denaro per ragioni incomprensibili. Così, ad esempio, prima abbiamo dovuto pagare 10 franchi per un insignificante pezzo di carta; alla persona che se ne è occupata, 2 franchi; poi non meno di 10 franchi per la mia valigia, più una pila di monete per l’ispezione di quel bagaglietto innocuo. A ogni momento si viene fermati e bisogna aprire la valigia. È come se questa gente volesse imbrogliarti, e tuttavia tutto è fatto sulla base di ordini che vengono dall’alto.
Una volta a Roma, nel suo diario Grieg non esita ad annotare le debolezze di artisti che pure stimava moltissimo: il compositore e pianista ungherese Franz Liszt3 e il drammaturgo norvegese Henrik Ibsen4.
Ho visto Liszt pavoneggiarsi con alcune ragazze.
Ibsen ubriaco fradicio.
Li ritroveremo entrambi tra un po’, intanto Grieg ci regala alcune descrizioni insolite della Roma degli anni ‘60 dell’800. Il 31 dicembre del 1865 il compositore prese parte a un tour al chiaro di luna del Foro Romano, dove scopriamo che il Colosseo era presidiato da guardie francesi (la Francia di Napoleone III era la forza che impediva in quegli anni l’unificazione di Roma all’Italia).
Le guardie francesi che sorvegliano tutti gli accessi erano impegnate a ispezionare con lanterne i passaggi e le arcate. La luce rossiccia che si rifletteva sugli antichi archi e splendeva tra le rovine creava un contrasto inquietante con la semi-oscurità prodotta dalla luce blu-verdastra della luna e rendeva l’intera scena ancora più spettrale.
Camminammo attraverso gli archi trionfali di Costantino e Tito verso il Foro. Un profondo silenzio regnava dappertutto. La luna brillava così pallida e fredda, la nostra immaginazione cominciò a farci strani scherzi e ci affrettammo ad andarcene il più velocemente possibile da questo mondo innegabilmente poetico ma spaventoso, dove le aggressioni non sono affatto rare.
Il giorno dopo, primo gennaio del 1866, Grieg fece un’escursione nella campagna romana e si fermò a mangiare in un piccolo ristorante (“salsicce luride e costolette luride su piatti ancora più luridi”), ed ecco una nota da buon norvegese:
Il solo pensiero che il primo di gennaio - sotto dei bei alberi verdi e circondato dal profumo delle rose - mi trovassi seduto all’aria aperta a mangiare la mia colazione, mi faceva sentire quasi in uno stato di ebbrezza.
Hans Christian Andersen5 ha ragione: l’Italia è la terra dei colori.
Grieg ci descrive anche la Festa dei Moccoletti, che si teneva il martedì grasso come chiusura del Carnevale: si trattava di una sfilata lungo via del Corso dove tutti erano mascherati e armati di candele (moccoletti, appunto).
La gente era coperta con delle tuniche che arrivavano fin sopra alla testa, col risultato che non solo divenivano completamente irriconoscibili ma era anche impossibile distinguere gli uomini dalle donne. […] Per essere assolutamente sicuri di non essere riconosciuti, tutti - uomini e donne - parlavano col loro registro più alto e stridulo possibile, e questo fatto senza dubbio aiutava a rendere la situazione estremamente stuzzicante. Così è successo che d’improvviso mi sono trovato (assolutamente senza nessun incoraggiamento da parte mia) una per braccio queste bianche apparizioni incappucciate, e solo le morbidi forme del corpo femminile che premeva contro di me mi hanno permesso di distinguere tra i sessi.
E poi, naturalmente, c’è la musica. A Roma Grieg compose diverse cose: l’ouverture In autunno, due canzoni, L’arpa e La culla, ma soprattutto la Marcia funebre per Rikard Nordraak. Nordraak era un amico di Grieg e a sua volta un compositore (è l’autore dell’inno nazionale norvegese). Grieg ricevette la notizia della sua morte il 6 aprile - “Non c’è una sola persona qui che possa capire il mio dolore. Lasciate quindi che mi rifugi nelle note che non falliscono mai nel momento del dolore!” - e compose la Marcia funebre: venne eseguita molti anni dopo anche al funerale dello stesso Grieg, nel settembre del 1907.
A Roma, e soprattutto al Circolo scandinavo, Grieg assisté a vari concerti, in particolare quelli del violinista italiano Ettore Pinelli e del pianista Giovanni Sgambati. Ma gli capitò anche di ascoltare molta musica sacra e repertori di canzoni popolari. Tuttavia la musica “più bella” la ascoltò dentro la basilica di San Pietro, dopo una visita alla terrazza - “Ho salito una scala di ferro fino in cima alla piccola cupola più alta. Qui ho inciso le mie iniziali e quelle di Nina [Nina Hagerup, allora fidanzata di Grieg: chissà se sono ancora lì quelle iniziali!]”.
Mentre scendevamo, guardammo giù verso la chiesa dalle gallerie nella gigantesca cupola6. L’enorme tabernacolo quasi scompariva nello spazio infinito e le persone giù a terra sembravano come topi. Si sentiva un suono strano e vago, tenue e tuttavia celestiale: era l’organo della chiesa, il cui suono risaliva la cupola come un fruscio distante, appena udibile. Non si poteva distinguere un’armonia precisa, e tuttavia questa musica - se così la si può chiamare - era la più bella che avessi mai sentito in vita mia.
In quegli anni, come abbiamo visto, risiedeva a Roma anche Franz Liszt7: dopo la morte di due figli si era ritirato nel monastero della Madonna del Rosario, a Monte Mario, aveva preso i voti e componeva solo musica sacra. Grieg lo vide suonare durante un’esecuzione di uno Stabat mater dolorosa scritto dal compositore ungherese.
Liszt in persona guidava l’esecuzione. Nel senso che, anche se a dirigere era qualcun altro, Liszt guidava tutta la faccenda con le sue dita guantate di nero, che a tratti si agitavano nell’aria, a tratti erano impegnate sull’organo. La composizione è una triste prova del declino della nuova musica tedesca. […] I poveri tedeschi presenti al concerto non erano per niente contenti. La loro eloquenza era svanita. Abbassarono il capo e uscirono senza dire una parola. Liszt appariva splendido nella sua veste da abate; aveva la parola visionario scritta addosso.
Di Henrik Ibsen invece scopriamo che non capiva nulla di musica!
Ibsen - che aveva bevuto un po’ di Fogliette8 che gli avevano dato alla testa - ebbe l’idea che dovessimo danzare. Procedette a far togliere di mezzo sedie e tavoli e incitò Ravnkilde9 (!) ad attaccare un pezzo. Quando Ravnkilde, abbastanza comprensibilmente, si rifiutò di fare come gli era stato chiesto, Ibsen si arrabbiò così tanto che prese il suo cappello e il bastone e se ne andò. È abituato, quando siamo solo noi [noi scandinavi, intende], al fatto che ubbidiamo al suo comando “Attaccate un pezzo, ragazzi!”. Con questo “attaccate un pezzo” intende musica di qualsiasi tipo, e non capisce che un artista ci tiene a sapere che genere di musica esegue. È notevole che un uomo così grande possa essere così insensibile e, in quest’area specifica, così limitato.
E poi c’è il concerto che Grieg stesso tenne al Circolo scandinavo, il 24 marzo 1866.
Il programma era terminato, ma il pubblico (circa 60 persone) voleva di più e non mi lasciavano andare. Mi chiesero di suonare le mie Humoresques, a cui non avevo più dato un’occhiata da molto tempo. All’inizio mi sono tirato indietro, ma non è servito, così ho deciso che era meglio togliersi subito il pensiero. Non ricordo di averle mai suonate in maniera così fresca e spontanea. […] Il pensiero di trovarmi qui a Roma a suonare musica scandinava per degli scandinavi mi eccitava, e questo senza dubbio ha influito sulla mia esecuzione. La verità è che questa serata è stata una delle più felici tra tante serate felici che ho trascorso a Roma.
Nel suo diario Grieg riporta l’intera scaletta del concerto: non sono riuscito a recuperare proprio tutti i brani, ma ho provato comunque a metterli in una playlist, così, per chi vuole immaginarsi di aver preso a parte a quella serata.
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Wagner aveva assistito alla stessa scena nel 1858 ed era rimasto stupito perché il pubblico italiano, benché coinvolto dalla musica, si guardava bene dall’applaudire una banda militare austriaca. Vedi la puntata Tra le onde con Richard Wagner.
Questo è esattamente il sogno ricorrente che faceva Sigmund Freud! Lo descrisse ne L’interpretazione dei sogni. Vedi la puntata (solo per abbonati) Anacronismi.
Liszt, tra le altre cose suocero di Wagner, girò a lungo per la penisola e compose molte opere ispirate all’Italia. Vedi la puntata I pellegrinaggi di Franz Liszt.
Ibsen visse a lungo a Roma, vedi la puntata (solo per abbonati) L’esilio di Henrik Ibsen.
Andersen aveva fatto il suo viaggio in Italia nel 1833/34: anche lui tenne un diario, accompagnato da bellissimi disegni. Vedi la puntata Dal diario di Hans Christian Andersen.
Molti decenni dopo, nel 1935, Escher realizzò un’incisione proprio dalla prospettiva qui descritta da Grieg. Vedi la puntata (solo per abbonati) Le escursioni di M.C. Escher.
Liszt fu la causa del secondo viaggio a Roma di Edvard Grieg, nel 1870, ma di questo magari scriverò un’altra volta.
La foglietta o fojetta dovrebbe essere ancora oggi un’unità di misura usata a Roma per il vino (mezzo litro), anche se qui Grieg ne parla come fosse un tipo di vino. In ogni caso Ibsen doveva aver bevuto parecchio!
Niels Ravnkilde, compositore danese, è sepolto al cimitero acattolico di Roma.