Sulla strada con Stendhal
Meglio il vetturino o la diligenza? Meglio passare per Firenze o per Loreto? In "Passeggiate romane" (1829) lo scrittore francese dispensa consigli su come prepararsi a un viaggio in Italia
Solo ieri ero intrappolato nella più classica delle code estive, sull’autostrada che costeggia la riviera romagnola, tra Rimini e Cesena. Mentre armeggiavo con i pedali del freno e della frizione, pensavo a un altro modo di viaggiare, molto più lento anche rispetto al traffico da esodo e controesodo. Fino a metà ‘800 erano le carrozze postali, le diligenze, i vetturini, gli unici modi per attraversare l’Italia: per i viaggiatori del Grand Tour era normale viaggiare così, dunque spesso questo aspetto viene dato per scontato nei libri e nei diari di questi viaggiatori. Solo uno scrittore minuzioso come Stendhal poteva attardarsi a descrivere le differenze tra i vari tipi di carrozze: così nel suo libro Passeggiate romane (1829) Stendhal tra le altre cose spiega ai suoi lettori le strade e i modi migliori per raggiungere Roma dalla Francia, fornendo anche diversi consigli e trucchi per evitare inconvenienti e godersi al meglio il viaggio.
Qual è la maniera migliore di andare da Parigi a Roma?, ci si chiede in Francia. Prima di tutto la carrozza postale; ma bisogna avere una carrozza costruita a Vienna1 e molto leggera. Portate pochi bagagli; attraversando questi piccoli Stati sospettosi, ogni cassa o baule è una fonte di vessazioni alla dogana o alla polizia. Noi abbiamo fatto viaggiare le nostre casse con un servizio merci che ci ha ben servito. Tutte le spese sono raddoppiate in Italia per un viaggiatore che voglia arrivarvi con un postale, e spesso i briganti non fermano che le vetture di posta, e disdegnano le altre.
Per arrivare in Italia si potevano attraversare le Alpi al passo del Sempione o al Moncenisio, oppure evitare le montagne e arrivare attraverso Nizza. Ma come sa chi segue questa newsletter da un po’, Milano è la città che Stendhal portava nel cuore fin da quando l’aveva vista per la prima volta, nel 1800: ogni suo viaggio in Italia aveva quindi Milano come prima tappa obbligata.
La più veloce e, secondo me, una delle strade più belle comincia con quarantotto ore di postale; si arriva a Belfort [cittadina nel sud della Francia]; una piccola vettura conduce a Basilea (dodici franchi). Si può prendere la diligenza per Lucerna; si naviga quindi su questo lago singolare e pericoloso, teatro delle gesta di Guglielmo Tell; […] si arriva a Aldorf; […] Si entra in Italia dal San Gottardo, Bellinzona, Como e Milano.
Dato che il Sempione è a mio giudizio più bello del San Gottardo, ho preso spesso la diligenza che, da Basilea, conduce a Berna; sono arrivato nella valle del Rodano attraverso le gole di Leuk, e a Turtmann ho ritrovato i miei bauli, che avevano fatto il giro da Losanna, Saint-Maurice e Sion. [Qui] si incontra una diligenza eccellente che conduce da Losanna a Domodossola, al di là del Sempione.
Attraversare le Alpi era sempre un’impresa delicata, come Stendhal sapeva bene: nel 1800 aveva valicato il Gran San Bernardo insieme all’armata di Napoleone, e fu proprio Bonaparte a far costruire una strada carrozzabile al passo del Sempione, nel 1805, dove una mulattiera militare esisteva dai tempi dei Romani. Il passo era ritenuto più sicuro e più agevole rispetto ad altri.
Non c’è pericolo di valanghe che all’epoca del disgelo, nel mese di aprile. La strada del Sempione non è circondata da precipizi come quella del Moncenisio, o piuttosto il versante del precipizio è ricoperto di alberi che fermerebbero la vettura in caso di caduta. È molto più sicuro attraversare la montagna in diligenza che con la propria carrozza. Infine, credo che dall’apertura della strada del Sempione solo quattordici viaggiatori siano morti, e ancora nove di loro erano infelici soldati italiani di ritorno dalla Russia, che si sono comportati in modo azzardato e con imprudenza.
Eccoci dunque giunti in Italia.
Una piccola vettura che bisogna pagare dodici franchi conduce da Domodossola a Baveno, sul lago Maggiore, faccia a faccia con le isole Borromee. In venti minuti, una barca trasporta il viaggiatore all’albergo del Defino, sull’Isola Bella; è uno dei più bei luoghi del mondo; là, potete riposarvi dalle fatiche del Sempione. […] In quattro ore, il battello a vapore porta dalle Isole Borromee a Sesto Calende; in cinque ore un velocifero vi trasporta a Milano.
Trovo più bello arrivare a Milano da Varese; una barca vi trasporta dalle Isole Borromee a Laveno; si prende il postale fino a Varese. Questo tragitto mi sembra comparabile a quello da Napoli a Pompei, che è quanto di più sublime conosca al mondo. Un velocifero conduce in cinque ore da Varese a Milano.
Qui cominciamo a incontrare altri tipi di carrozze: la diligenza non esisteva solo nel far west, era una specie di corriera destinata al trasporto passeggeri; il velocifero era una diligenza che, come dice il nome, andava più veloce, anche se non ho capito se faceva semplicemente meno fermate oppure cambiava i cavalli in modo da averli sempre freschi. A Milano invece incontriamo i vetturini, il modo di viaggiare preferito da Stendhal.
Si trovano a Milano delle diligenze regolari per Venezia e Mantova. Da Mantova, un piccola vettura porta a Bologna, dove si incontra un eccellente postale recentemente istituito dal ministro delle Finanze del Papa. Questo conduce a Roma per la superba strada di Ancona e Loreto.
Trovo più divertente andare da Milano a Roma con un vetturino.
In una certa strada di Milano, vicino alle poste, si viene avvicinati da una folla di vetturini che, per otto o dieci franchi al giorno, vi offrono un posto su una carrozza scoperta […] Per questi otto o dieci franchi al giorno il vetturino paga la cena, che ha luogo alle sette di sera, e la camera d’albergo. Si impiegano tre giorni e mezzo per fare le quaranta leghe che separano Bologna da Milano.
Si può trovare cattiva compagnia nella vettura; allora si scende alla prima città da cui si passa, pagando il prezzo convenuto per il viaggio fino a Bologna, trenta o trentacinque franchi; ma, se si è capitati bene o se si ha la pazienza di sopportare i modi un po’ agresti dei compagni di viaggio, si può cogliere un’eccellente occasione per conoscere il carattere italiano.
Ho viaggiato una volta con tre predicatori che andavano a recitare dei carmi in diverse città d’Italia, e che, il primo giorno, mi fecero pregare la mattina, a mezzogiorno e alla sera. Fui sul punto di lasciarli alla prima fermata. Il desiderio di fare il mestiere del viaggiatore ebbe la meglio; presto la compagnia di quei signori mi parve molto piacevole. […] La protezione di quei santi personaggi mi esentò di tutte le vessazioni da parte della dogana, e uno di loro, predicatore particolarmente eloquente, è rimasto mio amico. Quando vado in Italia, devio dalla mia strada per andarlo a trovare.
Da Bologna proseguiamo per Firenze, all’epoca un viaggio di due giorni!
A Firenze, bisogna trattare direttamente con i signori Menchioni o Pollastri, che hanno un gran numero di vetture sulle strade di Roma e di Bologna. Si firma un piccolo contratto che scende in dettagli all’apparenza minuziosi: si speficica che si avrò diritto a un letto solo e al posto buono, vale a dire in fondo alla vettura.
Tutti gli alberghi di Firenze sono buoni, e i vetturini sono molto attaccati ai soldi, ma onesti. Si pagano quaranta o quarantacinque franchi e ci si impiegano quattro o cinque giorni per andare da Firenze a Roma. Io preferisco la strada di Perugia a quella di Siena. Si vede Arezzo, nella quale si direbbe che nulla è cambiato dai tempi di Dante. Le sponde del lago Trasimeno sono di prima bellezza. Avvicinandosi a Roma, gli alberghi diventano talmente esecrabili che sarà meglio munirsi di viveri a Castiglione o a Perugia. Bisogna portare dalla Toscana qualche bottiglia di vino. Alla frontiera [tra Granducato di Toscana e Stato della Chiesa], la barbarie selvaggia e sospettosa rimpiazza in un istante la gentilezza più squisita.
Il vero pericolo di questi viaggi in carrozza non erano tanto i briganti quanto i poliziotti e i doganieri. Ma Stendhal ormai è un esperto e sa come trattarli.
È opportuno, durante questo viaggio in Italia, essere vestiti con molta semplicità e non portare dei gioielli. Appena si vede un poliziotto o un doganiere, si prende una moneta da venti soldi con cui si gioca in modo che loro la vedano. Tutta la [loro] ferocia animalesca non resiste davanti a questa vista deludente.
Nel paese dove la polizia è terribile, ci si può fingere malati, dire che si viaggia per motivi di salute, e sedersi quando si entra nell’ufficio [di polizia]. L’esame che si subisce può durare a volte tre o quattro ore, e si è obbligati a rispondere alle domande più strane.
“Che cosa venite a fare in questo paese?" - Vengo per vedere i monumenti dell’arte e le bellezze della natura. - Non c’è niente di particolare qui, dovete avere un altro motivo che mi nascondete. Siete stato in questo paese all’epoca di Napoleone?”
Poi all’improvviso guardano i vostri vestiti con una particolare attenzione. “Quali sono i vostri mezzi di sussitenza? Perché viaggiare costa. Siete raccomandato da un banchiere qui? Qual è il suo nome? Siete stato a cena? Con chi? Che cosa si è detto a tavola?” Questa domanda ha lo scopo di farvi arrabbiare e di farvi dimenticare la prudenza. Noi abbiamo risposto con aria molto fredda: “Sono un po’ sordo e non capisco cosa viene detto quando non vedo la persona che parla. - Avete delle lettere di raccomandazione?” Se si risponde sì, “Mostratele”; se si dice di non averle, possono ispezionare il vostro baule. Arrivando a Domodossola, avevamo messo le nostre lettere di raccomandazione sul postale, con il nostro nome e quello della città dove ne avremmo avuto bisogno.
Si riesce a cavarsela dappertutto dicendosi malati, e andando a messa tutti i giorni e non arrabbiandosi mai; l’aria felice spiazza i commissari di polizia.
Dopo attraversato una campagna romana solitaria e deserta si giunge finalmente a Roma.
Infine, mente il sole tramonta dietro la cupola di San Pietro, [i postiglioni] si fermano in via Condotti, e ci propongono di scendere da Franz2, vicino a piazza di Spagna. I miei amici prendono un alloggio in quella piazza; là si annidano tutti gli stranieri.
La vista di tanti cialtroni annoiati mi avrebbe rovinato Roma. Cercavo una finestra dalla quale si dominasse la città. Ero ai piedi del Pincio; salii l’immensa scalinata di Trinità dei Monti […] e presi un alloggio nella casa abitata una volta da Salvator Rosa, in via Gregoriana.
La casa in via Gregoriana è propio la stessa che abbiamo incontrato qualche puntata fa, vale a dire il palazzetto Zuccari in cui ho fatto alloggiare Mary e Percy Shelley: è solo uno degli innumerevoli incroci tra viaggiatori.
Dal tavolo da cui scrivo vedo i tre quarti di Roma; e, di fronte a me, dall’altra parte della città, si innalza maestosamente la cupola di San Pietro. La sera, quando il sole tramonta, lo vedo attraverso le finestre di San Pietro e, una mezz’ora dopo, quella mirabile cupola si staglia su un crepuscolo di puro arancione, sormontato nell’alto del cielo da qualche stella che comincia a comparire. Niente sulla terra può essere paragonato a questo.
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Ad esempio nel viaggio descritto in Passeggiate romane, Stendhal e i suoi compagni arrivarono a Roma su un landau, un tipo di carrozza che prende il nome dall’omonima città di Landau, in Germania (quindi non a Vienna!): permetteva ai viaggiatori di sedere gli uni di fronte agli altri, un po’ come nei vecchi scompartimenti dei treni, e quindi di socializzare.
Si tratta dell’Hotel d’Allemagne, tra via Condotti e Piazza di Spagna, di proprietà della famiglia Roesler-Franz.