Una stanza a Firenze
Quella in via Valfonda, dove Mary Shelley diede alla luce il piccolo Percy Florence. E poi un'altra stanza, agli Uffizi, dove da questo mese sono esposti gli autoritratti di oltre 50 fumettisti
Una cosa inaspettata che ho scoperto lavorando al mio fumetto è questa: Firenze non era poi così frequentata dai viaggiatori del Grand Tour, almeno fino a una certa epoca. Goethe, ad esempio, ci passò quasi di sfuggita, nell’ottobre del 1786. Aveva molta fretta di arrivare a Roma e si fermò solo tre ore:
Feci una veloce passeggiata attraverso la città per vedere il Duomo e il Battistero. Ancora una volta, un mondo completamente nuovo si apriva di fronte a me, ma non desideravo rimanervi a lungo. […] Mi affrettai a uscire dalla città velocemente come vi ero entrato.
La stessa cosa la ritroviamo qualche anno dopo, nel viaggio di Lord Byron verso Roma nel 1817:
A Firenze sono rimasto un giorno solo, avevo fretta di arrivare a Roma, a cui sono ormai molto vicino.
Il poeta inglese non fu impressionato nemmeno dalle tombe dei grandi italiani nella Basilica di Santa Croce, la stessa dove proprio in quell’anno Stendhal quasi perse i sensi di fronte alla bellezza degli affreschi del Volterrano nella Cappella Niccolini, episodio che poi darà nome alla Sindrome di Stendhal. Invece Byron vide Santa Croce con uno sguardo totalmente diverso.
La chiesa di Santa Croce contiene molto nulla illustre. Le tombe di Machiavelli, Michelangelo, Galileo Galilei e Alfieri la rendono la Westminster Abbey d’Italia. Non ho ammirato nessuna di queste tombe - al di là del loro contenuto. Quella di Alfieri è pesante, e tutte mi sono sembrate sovraccariche. Che altro serve oltre a un busto e a un nome? E forse una data?
Tuttavia anche Stendhal, che pure in Roma, Napoli, Firenze (1826) inserì il capoluogo toscano nel titolo del libro, dedicò in realtà molto più spazio a Bologna - un centinaio di pagine! - che a Firenze. Lo scrittore francese era però consapevole dell’importanza di Firenze nella storia della cultura italiana ed europea. Mentre era ancora sulla strada, all’apparire della cupola di Santa Maria del Fiore, ragionava così:
“È là che hanno vissuto Dante, Michelangelo, Leonardo da Vinci!”, mi dicevo; ecco quella nobile città, la regina del Medioevo! È tra quelle mura che la civiltà è ricominciata.
Ma l’idea di Firenze come “culla del Rinascimento”, e anzi lo stesso termine Rinascimento erano cose piuttosto nuove, e forse a inizio ‘800 uno scrittore francese come Stendhal le aveva presente meglio dei suoi colleghi inglesi o tedeschi. Secondo la Treccani, a introdurre il termine renaissance fu il filosofo Jean Le Rond d'Alembert, nel suo Discorso preliminare all’Enciclopedia (1751), a indicare un nuovo inizio nella scienza e nelle arti dopo il Medioevo, in cui artisti come Michelangelo e Raffaello ripartirono da dove i greci e i romani si erano fermati. In Italia il termine si diffuse più di un secolo dopo, con la pubblicazione nel 1875 de La civiltà del Rinascimento in Italia dello storico tedesco Jacob Burckhardt (pubblicato in originale nel 1860).
Il fatto è che gli artisti in viaggio in Italia erano più interessati alle rovine greche e romane che ai capolavori del Rinascimento, che comunque potevano ammirare anche a Roma. Inoltre Firenze non era politicamente importante quanto Venezia, Roma e Napoli, cioè tre grandi capitali - di una Repubblica (anche se la Repubblica di Venezia cessò di esistere nel 1797), dello Stato pontificio e del Regno di Napoli, mentre Firenze era solo la capitale di un Granducato. Un po’ come Bologna, Firenze era più che altro una tappa sulla strada verso Roma, e neanche obbligata: alcuni preferivano viaggiare passando da Ancona e Perugia.
Le cose cambiarono lentamente nel corso dell’800. La Ferrovia Porrettana, che collega tutt’ora Bologna a Firenze, fu inaugurata nel 1864, riducendo un viaggio di due giorni a 5 ore. Nello stesso periodo Firenze fu per qualche anno capitale del Regno d’Italia, tra il 1865 e il 1871, in attesa che Roma si liberasse dall’ingombrante presenza del Papa. Il nuovo status della città comportò anche grandi cambiamenti urbanistici, con un progetto di “risanamento” che si dispiegò tra il 1865 e il 1895. Il Mercato Vecchio e il Ghetto vennero sventrati, un po’ come accadde per i quartieri più poveri di Napoli e per la zona dei Fori imperiali a Roma.
Tutto questo però doveva ancora accadere nell’autunno del 1819, quando Mary e Percy Shelley si stabilirono per qualche tempo a Firenze. Non posso affermarlo con certezza, ma credo proprio che sia stata la permanenza degli Shelley in Toscana - dai Bagni di Lucca a Livorno, da Pisa alle Cinque terre - a rendere nei decenni successivi questa regione una meta privilegiata per gli artisti inglesi: Henry James, Virginia Woolf, D.H. Lawrence, Aldous Huxley vissero tutti in Toscana, tanto per citarne alcuni.
Veniamo dunque alle tavole che sto disegnando in questi giorni. Gli Shelley si spostarono da Livorno a Firenze perché Mary era incinta e prossima al parto, e probabilmente nel capoluogo era più facile trovare un medico inglese, in caso di necessità. Andarono ad abitare in via Valfonda, di fronte al luogo dove oggi si trova la stazione di Santa Maria Novella. Qui c’era un certo Palazzo Martini, “dove la francese Louise du Plantis aveva aperto una pensione frequentata da illustri stranieri”1.
Una targa in effetti ricorda il passaggio degli Shelley, ma quest’area di Firenze doveva essere molto diversa nel 1819, quando era praticamente al confine della città. Via Valfonda in pratica collegava Piazza Santa Maria Novella alla Fortezza da Basso. Impossibile trovare dipinti che raffigurino questa zona (allora) periferica di Firenze, così ho improvvisato, immaginando che i palazzi di via Valfonda non dovessero essere molto diversi da quelli che si vedono oggi in piazza Santa Maria Novella.
Immaginiamo che una di queste finestre dia sulla stanza dove Mary diede alla luce il piccolo Percy Florence. Avevamo lasciato la scrittrice in uno stato di profondo di profondo abbattimento, in seguito alla morte ravvicinata dei suoi due bambini, Clara e William: la nascita di Percy Florence risollevò decisamente il suo morale. Prima del lieto evento, Mary e Percy ebbero anche modo di visitare le Gallerie degli Uffizi, che loro chiamano semplicemente “the gallery”. Percy descrisse alcune delle opere viste agli Uffizi in un breve saggio, Note sulle sculture a Roma e a Firenze2, dove troviamo anche questa classica descrizione di Firenze, vista presumibilmente dal Giardino di Boboli:
In basso vedi Firenze, una città senza fumo, le sue cupole e le sue guglie che occupano la valle; e dietro, sulla destra, gli Appennini, le cui basi si estendono fin quasi alle mura, e le cui sommità sono inframmezzate da nuvole color cenere. Le verdi valli di queste montagne che gentilmente si dispiegano sulla pianura, e le colline a loro frapposte, coperte di vigneti e di piantagioni di ulivi, sono occupate da ville, come fossero un’altra città, una Babilonia di palazzi e giardini. Nel mezzo di questo panorama scorre l’Arno, ora colmo delle piogge invernali, attraverso boschi e circondato dalle cime nevose degli Appennini lucchesi.
Cito gli Uffizi anche per un altro motivo che mi riguarda. Questo mese il museo ha inaugurato 12 nuove sale dedicate agli autoritratti degli artisti, dal ‘400 a oggi, e in particolare una sezione con 52 fumettisti italiani, tra cui c’è anche il mio autoritratto! Tutto è nato dal progetto Fumetti nei musei, e devo ringraziare in particolare Chiara Palmieri che si è prodigata per far diventare realtà tutto questo.
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