Dentro il Colosseo
Meta imprescindibile per i viaggiatori di ieri e di oggi, l'Anfiteatro Flavio una volta poteva apparire come un luogo inquietante e tenebroso e dare luogo a cupe riflessioni
Devo confessare che il Colosseo mi ha sempre messo a disagio. Certo è uno dei simboli di Roma e dell’Italia, una meta obbligata per i viaggiatori di ieri e di oggi, e tuttavia, adesso che mi trovo a disegnarlo, non riesco a non pensare che si tratta in realtà di un luogo di morte, teatro di massacri ed esecuzioni. Sarà un modo un po’ ingenuo di vedere la storia, ma ho notato che anche alcuni viaggiatori del passato potevano esser presi da turbamenti e inquietudine visitando il Colosseo.
Bisogna però avere presente che l’Anfiteatro Flavio, tra ‘700 e ‘800, non si presentava come lo vediamo oggi. Intanto non era nel cuore di Roma, ma anzi un po’ ai margini: in generale tutta l’area del Foro era ancora piuttosto abbandonata, e dai resoconti di alcuni viaggiatori (ad esempio il compositore Edvard Grieg), ai visitatori poteva facilmente capitare di fare brutti incontri ed essere derubati. Soprattutto durante le visite notturne, che erano molto comuni all’epoca.
Una delle scene che ho già disegnato per il mio fumetto (ne ho scritto qui) è la passeggiata notturna di Goethe ai Fori Romani, nella sua ultima notte trascorsa a Roma: ma lo scrittore tedesco si fermò appunto di fronte al Colosseo, assalito da un brivido che lo convinse a tornare indietro. Le rovine insomma apparivano tetre, cupe, minacciose.
Poi, per quanto imponente, il Colosseo era in totale rovina. Così lo descriveva Percy Shelley nella sua visita del 1818:
Il Colosseo è diverso da qualsiasi opera di mani umane che abbia visto prima. È di enorme altezza e circonferenza, e gli archi costruiti con pietre massicce sono impilati l’uno sull’altro, e spuntano nell’aria blu, frantumati fino a prendere la forma di rocce sporgenti. È stato trasformato dal tempo in un anfiteatro di colline rocciose ricoperte da ulivi selvaggi, mirto e alberi di fico, ed è attraversato da piccoli sentieri che si snodano tra le scale diroccate e le smisurate gallerie: la boscaglia ti fa ombra mentre vaghi tra i suoi labirinti, e i fiori tra le erbacce selvatiche sbocciano sotto i tuoi piedi. L’arena è ricoperta d’erba, che penetra come l’orlo di una pianura naturale nell’incanto degli archi in rovina attorno.
La descrizione di Shelley corrisponde perfettamente a quanto vediamo in questo dipinto del 1823 del pittore tedesco Franz Ludwig Catel.
Oggi non penseremmo mai al Colosseo come a “un anfiteatro di colline”, eppure anche Herman Melville usò la stessa immagine, descrivendolo nel suo diario del 1850. Addirittura lo paragonava a una zona del Massachusetts, dove lo scrittore abitava, dove il monte Greylock forma una zona depressa chiamata “The Hopper”. Probabilmente la folta vegetazione che cresceva tra le rovine doveva contribuire a dare al Colosseo l’aspetto di una collina naturale.
Il Colosseo come un grande vuoto tra le colline. Hopper di Greylock. Pendio di rovine concentriche, ricoperto di vegetazione, montagnoso.
Erbacce e animali vari popolavano il Colosseo ancora nel 1867, quando lo visitò Mark Twain. Ecco come le descrive nel Gli innocenti all’estero.
Un impressionante silenzio aleggia sulla mostruosa struttura dove moltitudini di uomini e donne si riunivano in altri tempi. Le farfalle hanno preso il posto delle regine di bellezza e di moda di diciotto secoli fa, e le lucertole prendono il sole nel posto sacro dell’Imperatore. In modo più vivido di tutte le storie scritte, il Colosseo racconta la storia della grandezza di Roma e del declino di Roma.
In genere viene visto con disprezzo il modo in cui i vari Papi e i romani trattarono il Colosseo nel corso del Medioevo. Facciamo un breve riepilogo. L’anfiteatro fu inaugurato dall’imperatore Flavio nell’80 d.C.: successivamente ampliato, rimase in attività per circa quattro secoli. Poi la struttura venne abbandonata e adibita a vari altri scopi nel corso del tempo: al suo interno sorsero un cimitero, poi una cappella e vari edifici. Ma soprattutto venne usato come una cava da cui estrarre materiale edilizio, in particolare per costruire Palazzo Barberini (1634), da cui il celebre detto “Quello che non hanno fatto i barbari l’hanno fatto i Barberini”1.
Ma chi erano i veri barbari? Melville, proseguendo la sua visita fino ai Musei capitolini, di fronte alla statua del Galata morente, scriveva:
Gladiatore morente. Mostra che l’umanità esisteva tra la barbarie dei tempi romani, come ora tra la barbarie cristiana.
Anche Hans Christian Andersen, che visitò Roma nel 1841, fu preso da pensieri cupi legati in qualche modo al Colosseo. In un momento in cui si sentiva parecchio giù, scrisse nel suo diario:
Oh Dio, dammi presto una grande idea o una grande gioia o la morte! Nell’eterna Roma, dove così tanto sangue è scorso, dove così tanta agonia e sfortuna ha colpito tante persone, che cos’è il mio dispiacere qui? Di recente ho visto nel Colosseo un moscerino divincolarsi nella rete di un ragno; così sta succedendo a me.
Noi oggi riusciamo ad ammirare il Colosseo per il suo valore architettonico, ma non dev’essere stato sempre così. Immaginiamo una società come quella medievale, dove tutti erano profondamente cristiani: forse ai romani dell’epoca il Colosseo doveva apparire soprattutto come un simbolo di oppressione. E possiamo capire che saccheggiarlo e distruggerlo non fosse poi così insensato. Per loro era soprattutto il luogo dove avevano trovato la morte tanti dei primi cristiani. Ecco allora sorgere nel Colosseo una cappella (Santa Maria della Pietà al Colosseo), e, nel 1744, le edicole della Via Crucis.
Oggi forse siamo più vicini a capire questo modo di “riscrivere” i monumenti del passato. Mi viene in mente quel che succede negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei per quanto riguarda i monumenti che ricordano i generali sudisti o i trafficanti di schiavi. Per rimanere a Roma e a una tragedia più recente, si potrebbe paragonare il Colosseo alle Fosse Ardeatine: il teatro di un massacro che diventa un luogo sacro.
E poi c’è la questione della schiavitù nel mondo antico. L’argomento oggi è tornato di attualità tra gli storici e classicisti, vedi ad esempio l’edizione 2021 del Festival del classico, dedicata appunto al tema “Libertà e schiavitù”. Per i viaggiatori dell’800 invece non doveva essere un grande problema, dato che ai loro tempi la schiavitù esisteva ancora. Mary Shelley ci racconta che nel 1818 erano proprio dei galley slaves a scavare e a puntellare il Colosseo. Anche se il termine probabilmente indica dei detenuti ai lavori forzati più che dei veri e propri schiavi.
Le rovine sono piene di detenuti ai lavori forzati - Stanno puntellando il Colosseo e facendo profondi scavi nel Foro.
I lavori per mettere in sicurezza e restaurare il Colosseo proseguirono per tutto l’800 e fino agli anni ‘30 del ‘900. Anche Mark Twain parla di detenuti.
In America rendiamo i detenuti utili nello stesso tempo in cui li puniamo per i loro crimini. Li facciamo crescere e li costringiamo a guadagnare denaro per lo Stato fabbricando botti e costruendo strade. Così combiniamo gli affari con la retribuzione, e tutto va bene. Ma nell’antica Roma combinavano il dovere religioso con il piacere. Dato che era necessario che la nuova setta chiamata Cristiani fosse sterminata, la gente giudicava saggio rendere allo stesso tempo quest’opera vantaggiosa per lo Stato, e divertente per il pubblico. Oltre ai combattimenti tra i gladiatori e ad altri spettacoli, ogni tanto gettavano membri dell’odiata setta nell’arena del Colosseo e liberavano contro di loro bestie selvagge. Si stima che settantamila cristiani subirono il martirio in questo luogo. Questo ha reso il Colosseo un luogo sacro, agli occhi dei seguaci del Salvatore.
Nonostante sia consapevole di quanto sangue fosse scorso dentro il Colosseo, Twain non rinuncia all’umorismo e si lancia nell’immaginaria descrizione e recensione di uno spettacolo di gladiatori, presentato come un numero da circo. Lo scrittore americano si immagina anche una locandina:
E veniamo infine alla tavola che ho disegnato in questi giorni. Stavolta è Stendhal a visitare il Colosseo