La versione di Frieda
Nel 1912 Frieda Von Richtofen lasciò il marito e i tre figli per seguire lo scrittore D.H. Lawrence - o Lorenzo, come lo chiamava lei - in Italia. Dal lago di Garda a Scandicci, ecco i suoi ricordi
Tra i vari motivi che potevano spingere gli stranieri a un viaggio in Italia c’era l’amore: per lungo tempo l’Italia è stata il rifugio ideale dove passare inosservati e vivere una storia d’amore considerata scandalosa in patria. Lo fecero Mary e Percy Shelley nel 1818, ma anche Franz Liszt e Marie d’Agoult nel 1835, e circa un secolo dopo, nel 1912, lo scrittore inglese David Herbert Lawrence e Frieda Von Richthofen1. Questa scelta spesso voleva dire lasciarsi alle spalle non solo una moglie o un marito, ma anche dei figli.
Tuttavia è raro trovare una voce femminile che racconti questi viaggi, quindi sono stato molto contento quando mi sono imbattuto in “Non io, ma il vento”, il libro che Frieda Von Richthofen scrisse nel 1934, quattro anni dopo la morte di Lawrence, e in cui raccontò la loro relazione. Già avevo drizzato le antenne, ma Frieda mi ha conquistato definitivamente quando ho scoperto che chiamava Lawrence “Lorenzo”! E in effetti la coppia visse molti anni in Italia, o meglio molti inverni, sul lago di Garda, nelle Cinque Terre, a Taormina, sulle colline intorno a Firenze… e molti dei libri di Lawrence sono stati scritti qui.
Frieda scrisse “Non io, ma il vento”2 per rendere giustizia alla memoria di Lawrence. Su di lui era stato scritto tanto, erano sorti diversi scandali, i suoi libri erano stati censurati, insomma era uno di quegli scrittori più famosi per il gossip che per la propria opera. Io non ho nemmeno provato ad addentrarmi in tutti i pettegolezzi che circondano questa coppia, mi limito a riportare la versione di Frieda. Il titolo del libro è il verso iniziale di una poesia Lawrence, Song of a man who has come through (Canzone di un uomo che ce l’ha fatta), che fa parte della raccolta di poesie del 1917 Look! We have come through! (Guarda! Ce l’abbiamo fatta!) in cui a sua volta Lawrence aveva raccontato la sua relazione con Frieda.
Quando si conobbero, nel marzo del 1912, Frieda - che era nata in Germania da una famiglia nobile - viveva a Nottingham ed era sposata da tempo con un professore inglese, Earnest Weekley.
Avevo trentun anni e avevo avuto tre bambini. Il mio matrimonio sembrava un successo, avevo tutto quello che una donna può ragionevolmente chiedere.
Ma allo stesso tempo…
[…] vivevo come una sonnambula in uno stile di vita convenzionale.
Lawrence si era recato da Weekley per parlare di cose universitarie, aveva visto Frieda e poi le aveva scritto: “Sei la donna più meravigliosa di tutta l’Inghilterra”. “Non conosci molte donne in Inghilterra, vero?”, aveva risposto lei, incredula per le attenzioni di un uomo più giovane di sei anni. Poi un giorno si incontrarono per caso, Lawrence si mise a giocare con le bambine di Frieda, costruendo per loro barchette di carta e facendole navigare lungo un ruscello.
Accovacciato vicino al ruscello, mentre giocava con le bambine, Lawrence si era completamente scordato di me. Improvvisamente seppi di amarlo. Aveva toccato una tenerezza nuova in me. Dopo, tutto accadde in fretta.
Sembrava che lui avesse sollevato il mio corpo e la mia anima da tutta la mia vita passata. Questo giovane uomo di ventisei anni aveva preso tutto il mio fato, tutto il mio destino, nelle sue mani. E ci eravamo conosciuti solo sei settimane prima. Non c’era stato altro da fare per me se non arrendermi.
In breve i due decisero di fuggire insieme, cosa che per Frieda voleva dire lasciare dietro di sé il marito e soprattutto i tre figli. A maggio partirono per Metz (che allora era in Germania), dalla famiglia di lei, poi si diressero a Monaco di Baviera e infine, nell’agosto del 1912, attraversarono le Alpi a piedi per raggiungere l’Italia.
Nessuno di noi due conosceva l’Italia allora, era una grande avventura per entrambi. Raccogliemmo le nostre poche cose, tre bauli partirono per precederci al Lago di Garda. Partimmo a piedi, con uno zaino ciascuno e un Burberry [un impermeabile]. Nello zaino c’era una piccola lampada a gas, avremmo cucinato il nostro cibo per strada per risparmiare.
Gli alberi si sporgevano sulla strada, ma eravamo felici nella nostra avventura, liberi, diretti verso luoghi sconosciuti. Camminammo attraverso il verde compatto della valle dell’Isar, salivamo e poi scendevamo di nuovo giù. Uno dei miei desideri, dormire in un fienile, fu realizzato. Ma dormire nei fienili è scomodo, davvero. Pioveva così tanto e noi eravamo zuppi. E il vento soffiava dentro il fienile e nemmeno coprendosi con una tonnellata di fieno si riusciva a riscaldarsi.
Il compleanno di Lawrence cadde mentre attraversavamo le Alpi. Non avevo nessun regalo da dargli tranne che qualche stella alpina. La sera danzammo e bevemmo birra con i contadini nella locanda del villaggio che stavamo attraversando. Il primo compleanno insieme. Era tutto meraviglioso. Cose nuove accadevano di continuo.
A Trento la coppia dormì in un albergo super economico con lenzuola e bagni di dubbia pulizia.
Le persone erano estranee, non sapevo parlare italiano, allora. Così, una mattina, con suo grande sgomento, [Lawrence] mi trovò seduta su una panchina sotto la statua di Dante, mentre piangevo amaramente. Mi aveva visto camminare a piedi nudi sulla stoppia ghiacciata, ridere di fronte all’umidità e alla fame e al freddo; sembrava che fosse tutto divertimento per me, e ora eccomi a piangere per via della sporcizia cittadina e per i W.C.
A Riva del Garda, che allora era ancora austriaca, Frieda e Lawrence recuperarono i loro bauli e poi si trasferirono sul versante italiano del lago, a Gargnano, dove decisero di passare l’inverno. Occuparono il primo piano di Villa Igea, con il lago sotto le finestre e di fronte i tramonti sul monte Baldo.
Qui cominciarono i miei primi tentativi con i lavori domestici. Era un lavoro in salita, in quell’ampia cucina spoglia con i “fornelli” e le grandi pentole di rame. Spesso gli stufati e i “fritti” dovevano essere salvati, e lui arrivava nobilmente dal suo lavoro, senza mai brontolare, quando gridavo: “Lorenzo, i piccioni stanno bruciando, cosa devo fare?”
La prima volta che lavai le lenzuola fu un disastro. Erano così larghe e bagnate, tanto bagnate da sopraffarmi. Il pavimento della cucina fu allagato, il tavolo inzuppato, io gocciolavo dalla testa ai piedi.
Quando Lawrence mi trovò tutta misera esclamò: “L’Unica e Sola” (nome che stava per l’unica e sola fenice, quando ero altezzosa) “sta affogando, oh cielo!” Fui salvata e asciugata, la cucina pulita e presto le lenzuola stese ad asciugare nel giardino dove i “cachi” pendevano dagli alberi. Una mattina mi portò la colazione a letto e nella camera c’era una sputacchiera e con orrore mi accorsi che c’era uno scorpione sopra. Quando Lawrence lo uccise, con suo stupore dissi: “Chi si somiglia si piglia”.
“Donna ingrata… io faccio il cavaliere coraggioso che uccide i draghi e questo è tutto quello che ottengo in cambio”.
Il soggiorno sul lago proseguì tra passeggiate, vino e mangiate di castagne. Dalle finestra sulla strada Frieda vedeva i bersaglieri marciare e cantare “Tripoli sarà italiana” e i ragazzi del paese suonare la chitarra e intonare serenate. La felicità non era completa, però: Earnest, il marito di Frieda, le scrisse di tornare a casa, altrimenti non avrebbe più rivisto i suoi bambini. “Ma Lawrence mi teneva, non potevo più lasciarlo, lui aveva bisogno di me più di loro”. Infine la coppia tornò a Londra, dove Frieda potè rivedere i figli, ma l’inverno successivo lei e Lawrence erano pronti per tornare in Italia. Stavolta trovarono un piccolo cottage a Fiascherino, vicino Lerici, nelle Cinque terre, la stessa zona dove un secolo prima avevano vissuto Percy e Mary Shelley.
Avevamo un largo pezzo di terra con ulivi e ortaggi che correva lungo la baia dove facevamo il bagno e tenevamo una barca dal fondo basso, su cui Lawrence usciva in mare attraverso la schiuma. Io rimanevo sul bagnasciuga a guardarlo come una chioccia che ha covato un pulcino e gli urlavo arrabbiata: “Se non riuscirai a essere un vero poeta, almeno annegherai come un poeta.”
Shelley era annegato non lontano da lì. Passavo giorni pigri su un’amaca guardando i pescatori e le loro belle barche dalle vele rosse passare sotto il mio scoglio. Guardavo i sottomarini andare su e giù da La Spezia. Avevamo una governante, Elide, che badava a noi e ci voleva bene, e anche sua madre Felice era sempre lì. […] Ci amavano in modo molto appassionato; lottavano al mercato per procurarci cose a poco prezzo e si sentivano assolutamente responsabili per noi. Uno dei dispiaceri di Elide era che Lawrence andava in giro con vestiti vecchi; lei gli correva dietro con un cappotto: “Signor Lorenzo, Signor Lorenzo”, gli diceva, e lo costringeva a indossarlo, che era più di quello che sarei riuscita a fare io… Quando la portai con me a La Spezia per lo shopping di Natale si comportò come se stesse servendo la Regina d’Italia in persona, con mio grande imbarazzo. Niente era abbastanza buono per “la mia Signora…”
Oltre a scrivere, Frieda e Lawrence trascorrevano il tempo passeggiando, dipingendo e cantando. Fecero arrivare anche un pianoforte.
Ricordo il giorno in cui il pianoforte arrivò da La Spezia, per mare su una piccola barca, e lo guardavamo ondeggiare intorno alla punta della baia, con tre italiani, molto spaventati, che temevano di finire in mare con lui. Ci preoccupammo per loro, sembrava davvero pericoloso. Infine approdarono sulla spiaggia ghiaiosa e il pianoforte fu portato su nel nostro piccolo cottage a forza di alte grida di “Avanti, italiani!”
Tornati in Inghilterra, Frieda e Lawrence si sposarono nel 1914, poco prima che scoppiasse la Prima guerra mondiale. Possiamo immaginare cosa volesse per dire per loro, una tedesca e un inglese novelli sposi: malvisti da tutti, isolati, sospettati di essere delle spie (erano costantemente seguiti da dei detective!). “Io, la moglie unna in un paese straniero!”, scrive Frieda: hun, unno appunto, era l’epiteto con cui la propaganda inglese chiamava i tedeschi durante la guerra.
Appena finito il conflitto, nel 1919, Lawrence partì di nuovo per l’Italia, stavolta diretto a Firenze. Frieda lo raggiunse dopo una visita alla famiglia in Germania. Una volta insieme, per prima cosa Lawrence portò Frieda a fare un giro della città in carrozza al chiaro di luna. E qui Frieda ha uno sguardo su Firenze che non ho trovato in nessuno scrittore maschio:
Passammo Palazzo Vecchio con il David di Michelangelo e tutte statue di uomini. “Questa è una città di uomini”, dissi, “non come Parigi, dove tutte le statue sono donne”.
Percorremmo il Lungarno, passammo Ponte Vecchio, in quella notte illuminata dalla luna, e da allora Firenze è per me la città più bella, la città del giglio, delicata e floreale.
Da Firenze la coppia si spostò a Capri, che a Frieda non piacque per niente: “Era un’isola così piccola che a stento riusciva a contenere tutto il gossip che nasceva in essa”. Così proseguirono per Taormina e si stabilirono in una villa chiamata Fontana Vecchia, che fu la loro base fino al 1922.
La vecchia signora Grazia faceva le compere per noi e amavo guardare Lawrence mentre faceva i conti con lei, il furbo volto siciliano di lei spiava il suo, per capire fino a che punto poteva imbrogliarlo.
“Può imbrogliarmi un po’, ma non troppo”, diceva lui, e la teneva a bada.
La mattina il sole sorgeva dritto sui nostri letti, e avevamo rose per tutto l’inverno e vivevamo al ritmo di una vita semplice, ci alzavamo presto, lui scriveva o aiutava in casa o raccoglieva i mandarini dai piccoli alberi rotondi del giardino o andava a dare un’occhiata ai nuovi figlioletti della capra. Mangiare, lavarsi, pulire il pavimento e prendere l’acqua dall’abbeveratoio vicino al muro, dove un grande serpente giallo veniva a bere prima di rintanarsi di nuovo nel suo buco nella parete.
È di questo periodo il viaggio in Sardegna di cui ho scritto in altre puntate di questa newsletter. Infine, nel febbraio 1922, Frieda e Lawrence lasciarono l’Italia per una meta molto più esotica: l’isola di Ceylon.
Negli anni successivi visitarono l’Australia, gli Stati Uniti e il Messico. Qui Lawrence si ammalò e gli venne diagnosticata una tubercolosi al terzo grado: un anno di vita, massimo due3. Lo scrittore però si riprese e manifestò il desiderio di rivedere il Mediterraneo. Nel 1925 la coppia tornò quindi in Italia, per stabilirsi a Spotorno, vicino Genova. Ma le cose non andavano affatto bene. A Villa Bernarda si erano creati “due campi ostili”: uno formato da Frieda e dalle sue due figlie Barbara e Else, ormai cresciute; l’altro composto da Lawrence e sua sorella Ada. Ci fu anche una breve separazione, durante la quale lo scrittore visitò Capri. Alla fine la crisi si risolse e le cose andarono molto meglio quando nell’aprile la coppia si trasferì a Scandicci, vicino Firenze. Villa Mirenda, dove vissero tra il 1926 e il 1928, è chiaramente uno dei posti che Frieda ha amato di più. Nelle sue memorie ho trovato la descrizione di una giornata di shopping a Firenze:
Che piacere era camminare da Villa Mirenda e a Scandicci prendere il tram per Firenze! Le belle ragazze toscane con i loro capelli laccati e acconciati con cura sul tram… una gallina, seduta, tenuta teneramente dal suo proprietario in un fazzoletto rosso, con destinazione o il mercato o un amico malato. Bottiglie di vino nascoste agli agenti del Dazio, amici che si abbracciano, qualcuno ci vede una qualche relazione ed esclama qualcosa sulla “pasta” per mezzogiorno, e avanti così, mentre navighiamo allegri verso Firenze.
Lo shopping a Firenze era ancora divertente, non era il noioso tran-tran dei grandi negozi… Qui ci sono negozi di carta, negozi di pelle, negozi di profumi, un meraviglioso negozio che non vende altro che nastri, di velluto e seta, di tutti colori e le taglie, a pois o d’oro e d’argento. Un altro negozio, solo gomitoli per l’uncinetto. Poi avere delle scarpe fatte su misura è così comodo… il calzolaio sente che il tuo piede è più importante della misura. E poi il “48”… cosa non abbiamo comprato al “48”!
Marionette e pentole e padelle, porcellane cinesi e bicchieri e martelli e vernici.
Qui Frieda sta parlando dei Grandi magazzini Duilio 48, che erano in via del Corso e hanno resistito fino al 1986 (ora c’è una Coin). Da quello che ho capito erano una specie di outlet dei giorni nostri: originariamente la cifra 48 si riferiva al prezzo degli articoli, un po’ come oggi con i negozi “tutto a 99 cent”.
Venne Natale e volevo fare un albero per tutti i contadini. Dissi a Pietro [uno dei domestici]: “Comprami un albero a Firenze, quando vai al mercato”.
“Cosa?”, disse, “Comperare un albero, signora? An no, non si compra un albero, ne prenderò uno per la signora dal bosco del prete.”
Il giorno di Natale, o meglio la Vigilia di Natale, alle quattro del mattino udii un sussurro sotto la mia finestra: “Signora! Signora!”. Guardai fuori ed ecco Pietro con un bell’albero grande. Lo portò dentro e quanto ci divertimmo io e Lawrence e Giulia e Pietro a decorarlo. C’erano già delle pigne sopra e ci mettemmo intorno carta d’oro e d’argento e Pietro esclamava: “Guarda, guarda, signora, che bellezza!” mentre Lawrence e io continuavamo a riempire l’albero con un sacco di cose brillanti comprate al “48”; fili d’argento che quando ero piccola chiamavamo “capelli di Gesù bambino” e tante tante caramelle. L’albero di Natale sembrava così bello in quella vuota stanza bianca, neanche un po’ cristiano, e quanto amarono i loro giocattoli di legno i bambini dei contadini e con quanta cura li maneggiavano, per quanto li consideravano preziosi. Non avevano mai avuto giocattoli prima. Anche agli adulti piacque l’albero. Avemmo difficoltà per farli tornare tutti a casa.
Firenze fu per noi una tale dolcezza e perfezione, una fioritura dopo l’altra.
Questo fu probabilmente l’ultimo periodo sereno nella vita della coppia. Lawrence iniziò a dipingere e scrisse L’amante di Lady Chatterley4, il suo ultimo romanzo e anche il più famoso: ma è una fama che il libro si guadagnò solo negli anni ‘60, quando fu pubblicato per la prima volta in versione integrale e generò un processo per oscenità. Nel 1928 Lawrence non riuscì a trovare un editore: si limitò a stamparne poche copie alla Tipografia Giuntina5 di Firenze.
Gli attacchi contro L’amante di Lady Chatterley e vari rifiuti ricevuti per quanto riguardava i suoi dipinti aggravarono la salute di Lawrence, che decise infine di lasciare l’Italia. Morì a 44 anni il 2 marzo 1930 a Vence, una cittadina nel sud della Francia. Successivamente le sue ceneri furono sparse nel Mediterraneo. Frieda andò a vivere nel ranch che la coppia aveva a Taos, in New Mexico: insieme a lei partì anche Angelo Ravagli, un ufficiale dei bersaglieri che i Lawrence avevano conosciuto già a Spotorno. Si sposarono nel 1950. Frieda morì nel 1956 a 77 anni.
Apparteneva a qualche altro luogo ora; era la terra e il cielo, ma non più un uomo vivo. Lawrence, il mio Lorenzo che mi aveva amato e io lui… era morto…
Poi lo seppellimmo, molto semplicemente, lo mettemmo via come un uccellino, noi pochi che lo amavamo. Mettemmo fiori nella sua tomba e tutto quello che dissi fu: “Arrivederci, Lorenzo” mentre i suoi amici e io mettevamo tante e tante mimose sulla sua bara. Poi fu ricoperto di terra mentre il sole sorgeva sulla sua modesta tomba nel piccolo cimitero di Vence che guarda sul Mediterraneo che lui aveva avuto tanto a cuore.
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Faccio notare che quando Oscar Wilde provò a fare la stessa cosa, nel 1897, e andò a vivere a Posillipo insieme al suo amante Alfred Douglas, gli fu praticamente impedito di farlo: le famiglie, gli amici e perfino la stampa napoletana fecero di tutto per far cessare quella convivenza scandalosa.
Il libro è stato pubblicato in Italia nel 2003 da Avagliano Editore. Il volume contiene anche molte lettere di Lawrence scritte in tedesco alla madre di Frieda, con cui lo scrittore aveva un ottimo rapporto.
Su questo periodo della vita della coppia si concentra il film Priest of Love (1981) di Christopher Miles, con Ian McKellan nella parte di Lawrence: il film si può vedere integralmente su YouTube.
Il romanzo racconta la storia di una giovane donna, sposata a un aristocratico, che inizia una relazione con un guardiacaccia. Il conflitto tra classi sociali e l’importanza del sesso sono al centro del romanzo; il linguaggio esplicito utilizzato da Lawrence fu fonte di molti problemi: certo nel 1928 non era all’ordine del giorno.
La tipografia ha cessato le attività nel 2009, a un secolo esatto dalla sua fondazione, ma è rimasta invece attiva la casa editrice Giuntina.