L'inglese che salì sul Vesuvio
Joseph Wright of Derby visse due anni in Italia (1774 e 1775). La girò in lungo e in largo, ma quel che più lo impressionò fu il vulcano partenopeo: lo dipinse più di 30 volte, per tutta la vita
È il più meraviglioso spettacolo della natura.
Per chi segue questa newsletter dall’inizio, l’idea di un Vesuvio attivo non è più una novità. Abbiamo già incontrato vari artisti che l’hanno dipinto, altri che l’hanno scalato per spingersi il più possibile vicino al cratere. Tra tutti questi quello che più ha legato il suo nome al vulcano partenopeo è il pittore inglese Joseph Wright of Derby (la frase con cui abbiamo iniziato viene da una sua lettera del 1774): il Vesuvio fece su di lui un’impressione così potente che subito decise di fermarla in un dipinto, il primo di una lunga serie, circa 30, di vedute del Vesuvio in eruzione, quasi sempre accompagnato da un chiaro di luna. Wright fu infatti il maestro della pittura “a lume di candela”, si dedicò particolarmente cioè al chiaroscuro e a fermare sulla tela i giochi tra luce e tenebra (vedi ad esempio il dipinto An experiment on a bird in an air pump). Aveva anche un forte interesse per la scienza, comprensibile, visto che visse durante l’Illuminismo, e anche questo contribuisce a spiegare il suo interesse per il Vesuvio, che è anche scientifico. Del suo viaggio in Italia ci rimangono delle lettere, un diario e anche un quaderno pieno di disegni1. Molti dei dipinti che ho inserito qui sono stati invece realizzati dopo il suo ritorno in Inghilterra.
Wright arrivò in Italia all’inizio del 1774. Non era giovanissimo come i viaggiatori che incontriamo di solito - aveva 40 anni - tuttavia era un novello sposo: sua moglie Ann Swift, 25enne, viaggiava con lui ed era incinta. Insieme alla coppia viaggiavano anche altri due pittori, John Downman e Richard Hurleston. Non ho ben chiaro il motivo per cui Wright decise di intraprendere questo viaggio in Italia che si prolungò per circa due anni. Sicuramente c’era il desiderio di vedere con i propri occhi i capolavori dell’antichità e le opere di pittori come Raffaello e Tiziano, ma forse c’erano anche motivi di salute. Nelle sue lettere dall’Italia in effetti Wright parla continuamente del suo stato di salute, degli effetti che il clima italiano produceva su di lui, e soprattutto delle condizioni poco agevoli che l’Italia di fine ‘700 offriva al “viaggiatore inglese”.
Wright e compagni arrivarono in nave a Livorno, poi proseguirono in carrozza fino a Roma. Un viaggio piuttosto scomodo, stando alle lettere di Wright: “Le carrozze hanno solo due cavalli” e sono lente, le strade sono piene di sassi, le case povere e le stanze fredde.
Mi ero procurato un largo mantello, come quello che usano gli italiani; mi ha permesso di stare abbastanza comodo giorno e notte, quando mi ci distendo perché non oso svestirmi, dato che i letti vengono rifatti raramente.
Tutti questi disagi si fanno sentire sulla salute della moglie Ann. E qui Wright ci descrive l’intervento di un fantomatico dottore, prontissimo a prescrivere un salasso.
Le tempeste sul mare e gli scossoni sulla terra (alcune parti della strada sono molto brulle) sono state troppo per lei. Ho chiamato un Dottore che ha detto che era necessario scioglierle il sangue, di conseguenza l’operazione fu stabilita per il giorno dopo. Arrivarono il Dottore e il suo Chirurgo. Mai avevo assistito a una sfilata di questo genere, parlavano di Galeno e Ippocrate e di un sacco di altre cose, per nascondere, temo, la loro ignoranza. Comunque la signora Wright sta meglio. Sono contrari alle purghe e le hanno prescritto di bere un liquore che chiamano Sherbett, per diluire il sangue.
Nonostante queste folli procedure, nel luglio del 1774 Ann riuscì a partorire con successo una bimba: Anna Romana (dato che Roma era la sua città natale), prima dei sei figli che avrà insieme a Joseph. La bimba è l’occasione per notare una delle tante differenze tra i costumi inglesi e quelli italiani.
[Anna Romana] ha ora sette settimane, è forte e sana. Guardo con infinito piacere il suo stato infantile e i suoi lenti progressi verso la sensibilità. Prego Dio che possa crescere, mi renderebbe felice - il nostro modo di vestire è così diverso da quello degli italiani, e provoca in loro ammirazione; invece dei vestiti leggeri, comodi e larghi che usiamo noi, loro avvolgono i bambini dalla testa ai piedi, come tante mummie egizie, non possono muovere né i piedi né le mani; col caldo è una cosa sporca e intollerabile, e osservo che quando le creaturine vengono liberate da quella prigionia per la notte, scoprono un piacere che di per sé condanna la pratica.
L’Italia non è esattamente come Wright se l’era immaginata. Prima di tutto è molto più cara di quanto il pittore si aspettasse.
Ci siamo ora stabiliti in stanze molto buone nella parte più salutare di questa città. La casa si trova nella zona più alta2, e dobbiamo salire 109 scalini per raggiungerla, cosa che temo sarà molto scomoda col caldo. Quassù ci sono 40 studenti inglesi e molti nobili, che rendono Roma un luogo molto più caro di quanto mi aspettassi.
Il tour dell’Italia è diventato così di moda, e i nobili inglesi sono così prodighi col loro denaro, che gli artisti soffrono per via della loro generosità.
Ma fu soprattutto il clima a sorprendere Wright. Anche se faceva meno freddo che in Inghilterra, non era proprio quel che ci voleva per la sua salute.
Ho di nuovo avuto gli occhi infiammati, e sono stato molto indisposto per via di mal di gola e raffreddore. Il clima questa primavera è stato molto strano, sempre variabile tra il caldo e il freddo - a volte venti rigidi e asciutti, altre volte piogge violente. In breve, l’aria di Roma non è per niente buona.
L’estate del 1774, in particolare, si rivelò afosissima.
Era da molti anni che non si vedeva a Roma un’estate così calda come l’ultima. Nel mese di agosto il termometro al sole segnava 120 gradi, all’ombra 96 [credo siano gradi Fahrenheit, quindi equivalgono a 48° e 35°]. A Firenze il caldo era così forte da spingere molti in una specie di delirio, e per altri si è rivelato mortale. Non avevo mai sperimentato prima un’afa così intollerabile.
Chissà se il gran caldo influì anche sulla salute del Papa di allora, Clemente XIV, che morì nel settembre del 1774. Wright avrebbe dovuto essere ricevuto da lui, “ma un giorno o due prima del mio appuntamento per essere ricevuto dal Papa, questi fu preso da un’indisposizione, che in breve tempo derubò lui della vita e me dei miei onori”.
Per riprendersi dalla torrida estate romana, e “per soddisfare la mia curiosità e vedere una delle più meravigliose parti del mondo”, Wright decise di passare un po’ di tempo a Napoli. È in questa occasione che vide per la prima volta il Vesuvio, vi salì e subito decise di dipingerlo: “Ci fu in quel periodo una notevole eruzione, di cui intendo fare un dipinto”, scrive in una sua lettera. In realtà non si registrano grandi eruzioni nel periodo in cui Wright visitò Napoli; le più grandi sono datate 1771 e 1776, tuttavia il vulcano era sempre attivo, ed evidentemente lo era abbastanza da impressionare il pittore inglese.
Qualche mese dopo, nella primavera del 1775, il dipinto era pronto e aveva già attirato l’interesse di un acquirente illustre: Caterina II di Russia.
Sono rimasto [a Roma] un mese in più di quanto intendessi per avere una risposta da Mr. Baxter, il Console russo, a proposito del mio dipinto del Monte Vesuvio in una grande eruzione, il più grande effetto che abbia mai dipinto. Se l’Imperatrice deve averlo, deve essere spedito da Livorno a San Pietroburgo, e devo aspettare qui per supervisionare la partenza.
Nei suoi due anni in Italia Wright ebbe Roma come base, e da lì vengono quasi tutte le sue lettere. Nel suo diario, invece, troviamo tutto il resto del viaggio di ritorno, che lo portò a Firenze, Bologna, Venezia, Padova, Verona, Mantova, Parma, Piacenza, Voghera, Alessandria e infine Torino. In queste righe il pittore annota minuziosamente le città e le opere viste, ed è interessante perché ci fa capire che per un viaggiatore inglese di fine ‘700 le cose da vedere erano diverse da quelle che per noi oggi sono imprescindibili. Prendiamo Firenze: Wright la visita in fretta e non cita nessuno dei capolavori che oggi ammiriamo, in generale la trova carina “ma non ha risposto alle mie aspettative”. Dedica molto più spazio a Bologna e perfino a Torino, che trova una delle città “più uniformi e meglio costruite” che abbia mai visitato.
Da un maestro del chiaroscuro potremmo aspettarci poi una venerazione per Caravaggio, invece Wright non lo cita mai. I suoi preferiti sono Paolo Veronese, Raffaello, Correggio, Domenichino e soprattutto Tiziano, ma le opere di questo pittore spesso sono mal conservate: la Danae a Capodimonte “è dipinta meravigliosamente, ma il tempo e gli strati di vernice l’hanno privata del suo bel colore, ora è troppo gialla e macchiata”. Il dipinto di San Giovanni Battista a Venezia, “come molte opere di Tiziano, è diventato marrone e scuro”.
Dopo il suo ritorno in Inghilterra, dal 1776 in poi, le vedute del Vesuvio divennero uno dei temi più frequentati da Wright: pare che ne realizzò più di 30, da punti di vista diversi e, man mano che il viaggio in Italia si allontanava nel tempo, sempre più drammatiche e meno realistiche. Il biografo William Bemrose riporta anche un buffo episodio a proposito di un committente: un vescovo irlandese che aveva ordinato appunto un dipinto del vulcano, ma che al momento dell’acquisto provò a trattare sul prezzo (105 sterline), sminuendo le capacità di Wright nel dipingere il fuoco. L’artista ne fu così indignato che si rifiutò di cedergli il dipinto, che tenne invece appeso in casa sua per tutta la vita.
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Le lettere e il diario di Wright li ho trovati nella biografia The life and works of Joseph Wright, scritta da William Bemrose nel 1885. Uno dei quaderni italiani del pittore è invece consultabile sul sito del Met Museum di New York.
Per com’era fatta Roma allora, immagino che la casa di Wright si trovasse da qualche parte vicino al Pincio, ma non ne ho la certezza!