Perso nel Golfo di Napoli
Dalla Riviera di Chiaia, dove Mary Shelley fece nascere Victor Frankenstein, alla grotta della Sibilla Cumana: un viaggio disegnato con un piccolo aiuto dai pittori della Scuola di Posillipo
L’estate è il momento migliore per disegnare fumetti: ci sono più ore di luce, il freddo non ti intorpidisce le dita, mentre gli altri progetti e lavori rallentano. Così, anche se ufficialmente non siamo ancora nemmeno al solstizio del 21 giugno, sto già provando ad aumentare i miei ritmi, nel tentativo di finire il mio fumetto in questi mesi estivi. Non manca tantissimo ma sono sempre molto lento (e in questo post si capirà anche un po’ il perché). Comunque disegno di più e di conseguenza ho pensato di modificare la struttura di questa newsletter: ho meno bisogno di cercare nuove storie di viaggiatori in Italia, mentre ho tante cose da raccontare sulle tavole che man mano vado terminando. In questo e nei prossimi post partirò quindi da una mia tavola per raccontare il lavoro di ricerca che c’è dietro - ormai si sarà capito che la parte di ricerca mi piace moltissimo e che spesso mi ci perdo. Ci sarà sempre una parte gratuita e accessibile a tutti e una, quella con i miei disegni, per chi sottoscrive un abbonamento a pagamento (mensile o annuale). Cosa che si può fare qui:
Bene, finite le comunicazioni tecniche, cominciamo con una citazione importante, direttamente dal Frankenstein di Mary Shelley. A parlare è proprio Victor Frankenstein, lo scienziato protagonista del romanzo, che all’inizio del libro ci racconta un po’ della sua vita, prima di spiegarci come diede vita alla creatura mostruosa che spesso, sbagliando, chiamiamo col suo nome.
Immediatamente dopo la loro unione [i miei genitori] cercarono nel piacevole clima dell’Italia, e nel cambio di ambiente e di interessi che comporta un viaggio in quella terra di meraviglie, un ristoro per il fisico indebolito [di mia madre].
Dall’Italia visitarono la Germania e la Francia. Io, il loro primo figlio, nacqui a Napoli, e da bambino li accompagnai nel loro girovagare.
Frankenstein era dunque napoletano? Sì, ma non da subito. Mary Shelley aggiunse queste note biografiche sul suo personaggio nel 1831, per una nuova edizione di Frankenstein, o il moderno Prometeo. La prima edizione risale invece al 1818, e fu scritta ancora prima, tra il 1816 e il 1817, quando Mary aveva solo 19/20 anni. In mezzo ci sono appunto gli anni vissuti in Italia, dal 1818 al 1823, periodo nel quale aveva soggiornato anche a Napoli insieme al marito Percy.
Gli Shelley abitarono per tre mesi sulla riviera di Chiaia1, “in completa solitudine”, come scrive Mary. I loro alloggi si trovavano di fronte a quelli che allora erano i Giardini reali, e oggi sono la Villa comunale.
Abitiamo a Chiaia, proprio di fronte ai Giardini reali, così abbiamo una vista completa della bella baia, e possiamo sentire l’infrangersi delle onde del mare. Siamo stati sul Vesuvio, a Ercolano, a Pompei, agli Studi2, e così, come avrai intuito, ci siamo trovati bene.
Il soggiorno a Napoli fu per gli Shelley un periodo di riposo e lettura. Dai diari di Mary sappiamo che le sue giornate passavano tra passeggiate nei Giardini reali e letture dell’Inferno di Dante e delle Georgiche di Virgilio. Percy invece ebbe in quel periodo dei problemi di salute, un’indisposizione che si riflette nella poesia Stanzas written in dejection, near Naples (Stanze scritte nello sconforto, vicino Napoli), dove un paesaggio di pace…
Il sole è caldo, il cielo è chiaro
Le onde danzano veloci e luminose,
Isole blu e montagne innevate indossano
La forza trasparente del mezzogiorno color porpora
…non corrisponde allo sconforto nell’animo del poeta:
Potrei distendermi come un bambino stanco,
E pianger via la vita da ogni preoccupazione
che ho portato e ancora devo portare,
finché la morte come sonno non mi rapisca.
Va ricordato che solo un paio di mesi prima gli Shelley avevano perso una bambina, la piccola Clara Everina, a Venezia. Tuttavia il clima e la bellezza del golfo di Napoli pian piano fecero il loro effetto, e negli anni successivi la coppia pensò varie volte di tornare a Napoli, senza mai avere l’occasione per farlo. Nel racconto Recollections of Italy (Ricordi dell’Italia, 1824) Mary parla così di Napoli:
Ma Napoli è la vera incantatrice d’Italia. Il paesaggio lì è così squisitamente adorabile, i resti dell’antichità così perfetti, meravigliosi e belli, il clima così congeniale, che tutto sembra essere perennemente avvolto da un’atmosfera festosa, stranamente mescolata con la sensazione di insicurezza ispirata dalla vista del Vesuvio […]
Anche se vi rimase solo pochi mesi, Napoli ha un legame con diverse opere di Mary Shelley. Oltre a farvi nascere Victor Frankenstein, la scrittrice trovò a Napoli alcuni dei materiali per Valperga (1823), romanzo storico ambientato nel ‘300 che racconta la vita di Castruccio Castracani, principe di Lucca. E soprattutto Napoli ha un legame con L’ultimo uomo (1826), distopia ambientata nel 2100 in cui un’epidemia stermina tutta l’umanità. Tutta la vicenda è presentata come una profezia della Sibilla Cumana3. Nell’introduzione al romanzo, Mary racconta che lei e Percy scoprirono accidentalmente la profezia visitando la grotta della Sibilla, in una delle loro escursioni nel golfo di Napoli.
Questa visita alla grotta (o antro) della Sibilla ha un posto particolare nella struttura che sto dando al mio fumetto… ora non entro nei dettagli (un po’ ne avevo già scritto qui), vorrei parlare invece di come è stato complicato “portare” gli Shelley dalla riviera di Chiaia alla grotta della Sibilla.
Sapevo già che sarebbe stato un disastro. In due secoli Napoli e il suo golfo sono cambiati tantissimo. Ho già raccontato in un vecchio post che il Vesuvio era attivo, lo è stato fino all’ultima eruzione del marzo 1944, in più tutta quest’area è stata fortemente edificata, tanto da rendere alcuni dei luoghi attraversati dagli Shelley irriconoscibili. Alcuni di questi hanno cambiato nome o proprio non esistono più. Stando alle lettere di Percy, lui e Mary visitarono il golfo di Napoli in barca, scesero (presumibilmente) nel luogo dove una volta si trovava la città romana di Baiae e continuarono a piedi per visitare il lago di Averno e la grotta della Sibilla. Il loro tragitto lo vedete nella linea tratteggiata nella mappa qui sopra.
Come sempre quando devo studiare una nuova ambientazione vado a vedere come veniva rappresentata dai pittori dell’epoca. È così che ho scoperto un artista che potrebbe a buon diritto meritare un’intero post di questa newsletter. Anton Sminck van Pitloo era un pittore olandese vissuto tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800: arrivò in Italia nel 1811 e dopo un soggiorno a Roma e vari viaggi si era stabilito a Napoli, anche lui a Chiaia, nel 1818. Qui aprì una scuola di pittura e cominciò a dipingere una serie di vedute che seguivano la nuova estetica del Romanticismo.
Attorno a Pitloo si radunò un folto gruppo di allievi che verranno poi racchiusi sotto l’etichetta di Scuola di Posillipo. I soggetti più rappresentati da questi artisti erano vedute del golfo di Napoli e delle varie baie, molti monumenti antichi avvolti dalle erbacce, spiagge, barche, pescatori e onnipresenti lazzari in camicia bianca e berretto rosso.
Sono paesaggi totalmente diversi da quelli odierni. Nel dipinto qui sopra di Giacinto Gigante - il mio preferito tra i vari esponenti della Scuola di Posillipo - si vede ad esempio il tempio di Venere a Baia, che allora svettava solitario davanti al mare, mentre ora è al centro di una trafficata rotonda stradale.
Nel disegnare questa escursione in barca degli Shelley mi sono lasciato prendere la mano