I paesaggi di Corot
Nel 1826, in un bosco sotto le cascate delle Marmore, un giovane pittore francese decise che sarebbe diventato un paesaggista. Così Camille Corot divenne il maestro di tutti gli Impressionisti
Da tempo l’immagine di sfondo sulla scrivania del mio computer è un dipinto di Jean-Baptiste Camille Corot. Ritrae l’isola e il ponte di San Bartolomeo a Roma, ed è uno degli innumerevoli studi che il pittore francese, giovanissimo, realizzò durante il suo soggiorno in Italia tra il 1825 e il 1828.
Questi studi di Corot, dipinti spesso su carta, a volte non sono nemmeno finiti e forse mi piacciono proprio per questo: sono il tentativo da parte di un giovane pittore di catturare la luce e i colori dell’Italia. Ero convinto di poter dare molto spazio a Corot nel mio fumetto, invece adesso che sto rileggendo tutto mi dovrò limitare a una tavola (forse due). Per giunta mi sono accorto di non aver mai dedicato a Corot una puntata di questa newsletter, anche se qua e là è comparso già diverse volte. Quindi provo a rimediare.
La via d’accesso all’Italia, per i pittori francesi dell’800, era di solito il Prix de Rome, una borsa di studio che permetteva di risiedere per qualche tempo all’Accademia nazionale di Francia, a Villa Medici. Da qui passarono David, Ingres e anche tanti musicisti come Bizet e Debussy. Recentemente Villa Medici ha aperto le porte anche al fumetto, ospitando due bravissime autrici: Elene Usdin e Catherine Meurisse.
Jean-Baptiste Camille Corot invece non aveva bisogno di una borsa di studio: proveniva da una famiglia benestante e poteva permettersi di viaggiare e vivere in Italia in autonomia, senza sottoporsi ai vincoli dell’accademia. Prima di partire, dipinse un autoritratto da lasciare ai suoi genitori, nel caso gli fosse capitato qualcosa durante il viaggio - che evidentemente poteva essere pericoloso.
A giudicare dalla prima lettera scritta da Roma, nel dicembre del 1825, e indirizzata all’amico Abel Osmond, il viaggio di Corot avrebbe potuto facilmente degenerare in un viaggio di piacere… come vedremo, invece, il soggiorno italiano del pittore fu quasi esclusivamente dedicato al lavoro.
Abel, non passare mai da Bologna. Quella città racchiude troppe seducenti sirene. Sorrido. Mi sono lasciato sedurre dalla più seducente ballerina dell’Opera di Bologna, che ci era stata procurata come sollievo dopo un viaggio penoso e soprattutto molto caldo. […] Me ne resta un ricordo molto piacevole… Le donne di Firenze non sono di una bellezza sorprendente; ma siamo arrivati a Roma muniti di buoni indirizzi. Ti parlerò di una certa Caroline; ma silenzio. Ho delle ragioni valide per non parlartene: non la conosco ancora. Se Dio mi presta aiuto, prometto di raccontarti qualche cosa su di lei.
A Roma Corot prese alloggio vicino a piazza di Spagna, non lontano da Villa Medici. All’inizio pioveva sempre, ma nei primi mesi del 1826 il sole cominciò a splendere alla finestra del giovane pittore.
Non puoi avere idea del tempo che abbiamo qui a Roma. È un mese che ogni mattina vengo svegliato dallo splendore del sole che batte sul muro della mia camera. Ma quel sole diffonde una luce per me sconfortante. Sento tutta l’impotenza della mia tavolozza. Ci sono dei giorni in cui davvero manderei tutto al diavolo.
Nel tentativo di catturare la luce di Roma Corot prese a dipingere en plein air, ad esempio dagli orti farnesiani sul Palatino.
Ben presto la pittura prese il sopravvento su tutto il resto, anche sulla bellezza delle donne romane. Il lavoro di Corot era però accompagnato da momenti di nostalgia per la Francia.
Giuro di lavorare molto durante il mio soggiorno in Italia, al fine di non dover vergognarmi di essere espatriato così a lungo senza riportare indietro niente. Ma sarò molto felice al mio ritorno. Intravedo la gioia che proverò: questo mi dà nuove forze. Certamente, rientrato in Francia, potrò rimpiangere il bel paese d’Italia; ma, almeno, ne avrò degli scorci nel mio atelier. Avrò dei ritratti che mi permetteranno di passeggiare ancora nei suoi dintorni.
Non conosco nessuno a Roma. Sono un vero eremita. Ho potuto conoscere le dame romane solo all’epoca del Carnevale, andando ai balli in maschera.
Con l’arrivo della primavera Corot era pronto a spingersi fuori Roma: risalì il corso del Tevere e visitò Civita Castellana e Viterbo, fino ad arrivare al ponte di Narni e alle cascate delle Marmore. È qui, “dal fondo di uno spesso bosco e al rumore delle cascate”, che Corot trovò la sua vocazione:
Non ho che un obiettivo nella vita, e voglio perseguirlo con costanza: è quello di fare dei paesaggi. Questa ferma risoluzione mi impedirà di legarmi seriamente. Voglio dire in matrimonio.
Per il giovane pittore iniziò un periodo di studio e lavoro indefesso, come spiegò in una lettera all’amico Abel Osmond dell’ottobre 1826:
Noi altri paesaggisti, noi siamo dei diavoli finché siamo tra le montagne. Tutto il giorno a lavorare e, la sera, distrutti, ci è impossibile dedicarci a qualcos’altro.
Al lavoro si accompagnavano molti dubbi sulla bontà della propria produzione:
Tu mi parli bene della mia piccola tavola. Mio povero Abel, convinciti, sfortunatamente per me, che è davvero cattiva e pensa che lavoro e che pena per cercare di fare bene.
Non fare mai della pittura se vuoi vivere tranquillo.
Oggi ci compiaciamo, ci sentiamo dei geni superiori; domani ci vergogniamo delle nostre opere, non siamo capaci di combinare niente. […] Siamo dei folli, si sa.
All’amico che gli chiede conto di eventuali avventure amorose, Corot risponde con un certo distacco:
Mi chiedi novità sulle romane. Sono sempre le più belle donne del mondo che io conosca. Ne possiedo di quando in quando; ma questo costa. Non sono tutte voluttuose… […] Come pittore, amo le italiane; ma per i sentimenti mi oriento sulle francesi.
Proprio come aveva scritto dal cuore dell’Italia, sotto le cascate di Terni, Corot consacrò la sua vita alla pittura, la sposò in un certo senso. Ebbe una vita lunga - morì nel 1875 a 79 anni - e una produzione sterminata. Non abbiamo però molte altre sue lettere, nemmeno dai due successivi viaggi in Italia compiuti dall’artista, nel 1834 e nel 1843. Ci rimangono invece alcuni dipinti dai luoghi che visitò: Napoli, Firenze, Venezia, Genova, Volterra, il lago di Garda e il lago di Como.
L’influenza di Corot sulla successiva generazioni di artisti francesi fu importantissima. Edgar Degas dirà, nel 1883: “È sempre il più grande, ha anticipato tutto…”; e Monet, nel 1897: “C’è un solo maestro, Corot. Noi siamo niente in confronto, niente”1. Entrambi seguirono le impronte di Corot in Italia, con rispettivi viaggi (vedi qui per Degas e qui per Monet), come del resto fecero quasi tutti gli Impressionisti.
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Non sono riuscito a trovare le fonti di queste dichiarazioni, ma mi sembrano credibili.